La tratta delle tartarughe – Il Manifesto 28 Febbraio 2001

Sezione: Racconti

La tratta delle tartarughe – Il Manifesto 28 Febbraio 2001

Giuliano Sadar

Arrivano da oltreoceano dentro containers, ammassate in cassette che contengono sino a quattrocento animali l’una. Molte arrivano moribonde, molte già morte. Le superstiti finiscono in vasche di stoccaggio, a volte in loculi sotto i 15 gradi di temperatura, tenute in stato catatonico di semiletargo, pronte a essere merce disponibile quando il mercato lo richiederà. Sono le “piccole” tartarughe acquatiche. Condannate a morte dalla legge del profitto.

“Piccole” tartarughe tali solo nel primo anno di vita. Le superstiti, sopravissute alle condizioni inumane degli allevamenti intensivi, alle monodiete, al trasporto, e allo stoccaggio (se ne vanno nove su dieci), poi diventano tartarugoni ingombranti e intelligenti dal carapace di oltre 20 centimetri. Che mangiano tanto, e sporcano in proporzione. E la gente se ne disfa. Storia di questi anni, che continua ancora.

Le tartarughe d’acqua sono animali inadatti alla cattività. La maggior parte viene dalle regioni meridionali degli Stati Uniti. Eppure in Italia se ne fa commercio da più di vent’anni. Sono “merce vivente”, in schiavitù dal primo attimo della propria esistenza. Il business è ancora fiorente, e interessa molti soggetti. Quasi 10 milioni di tartarughe “prodotte” ed esportate all’anno nei mercati europei (come animali da affezione) ed asiatici (come “specialità” gastronomiche). La vergognosa “via delle tartarughe” parte infatti dagli Stati Uniti, dagli allevamenti intensivi della Louisiana, sul Delta del Mississippi. Transita poi per gli importatori europei, e termina con l’acquisto. Dove diventano, secondo molti venditori di animali, “tartarughe nane”. Che non esistono.

Mercato fiorente, quindi lobby agguerrita. Che risponde colpo su colpo a ogni misura protettiva. Che negli Stati Uniti per anni ha cercato di opporsi al divieto emanato nel 1975 dal governo americano di vendere tartarughe dalla dimensione del carapace minore di quattro pollici (circa 10 centimetri). Cioè esemplari non adulti. La misura era nata per impedire il diffondersi del batterio della salmonella (300.000 casi all’anno allora negli USA, il 17 per cento ritenuto causato da contatti con le tartarughe). Roba da incubo per i profitti: Dalle 150 turtle farm della Louisiana, che soddisfavano un mercato USA-Canada di 13 milioni di piccoli l’anno, 100 hanno chiuso baracca. La National Turtle Farmers’ and Shippers’ Association , che riunisce gli allevatori, aveva cercato poi di introdurre l’escamotage dei contenitori sferici di plexiglas, sterili, larghi cinque centimetri. Un’angusta tomba di plastica dove le tartarughine “salmonella free” avrebbero dovuto rimaner chiuse sino all’acquisto. O alla morte, se nessuno le avesse acquistate. L’escamotage non passò. Gli allevatori americani però, sfruttando il fatto che la legge USA impedisce la vendita solo sul mercato interno, e non pone condizioni restrittive sulla qualità degli allevamenti, hanno giocato la carta dell’esportazione. Ed ecco quindi dal 1976 riversarsi sul mercato europeo milioni e milioni di tartarughe, della specie Trachemys Scripta Elegans, quelle denominate “dalle orecchie rosse”. In Italia l’importazione ha avuto un incremento esponenziale alla fine degli anni ’80, sino ad arrivare nei primi anni ’90 al milione l’anno. (Cifra spropositata? Fate l’equazione: grande mortalità, grande turnover, grandi guadagni). Le Trachemys Scripta Elegans sino al 1997 si vendevano nei negozi di animali in Italia. Sino al 1997, perché, dopo lunghe battaglie di associazioni ambientaliste, le “orecchie rosse” sono state inserite nella lista delle specie protette contenuta nell’allegato II Cites (Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione). E quindi la Comunità Europea (regolamento 2551/97) ne ha vietata l’importazione.

Problema solo apparentemente risolto: le Trachemys Scripta Elegans hanno continuato a venir vendute in Italia. Ci sono i “depositi” ancora da smaltire e un fiorente commercio di contrabbando. E poi la beffa: gli allevatori statunitensi hanno iniziato ad allevare ibridi come la Trachemys Scripta Scripta o Scripta Troostii, che differiscono di poco dalle “orecchie rosse” e vengono chiamate con dolcezza ben degna di altre situazioni: “cugine”. E qualche anno fa si è dato il via alla cattura e all’allevamento di altre specie, fra cui le varie Pseudemys (Concinna, Nelsoni, Floridana), la Cuora Galbifrons o la timidissima Graptemys Kohni. Tutte specie più difficili da allevare della Trachemys, quindi destinate a soccombere se non curate nel modo appropriato.

Tutte specie che, fra qualche anno e qualche milione di cadaveri opera dell’homo faber, diventeranno “minacciate di estinzione”.

Giuliano