Saggistica: Lettere eretiche
Animalismo e Politica: Un Dibattito
In collaborazione con Osservatorio Politico Animalista e Caccia il Cacciatore
Lettera All’OPA (09-07-04): Una svolta politica per l’animalismo radicale?
LETTERA APERTA ALLO STAFF OPA
Massimo Tettamanti
Marina Berati
Adriano Fragano
Aldo Sottofattori
Filippo Schillaci
Andrea Argenton
“UNA SVOLTA POLITICA PER L’ANIMALISMO RADICALE?”
09.07.04
Caro Max,
scrivo a te che conosco ma mi indirizzo a tutto lo staff OPA, che con l’eccezione di Aldo non conosco. L’altro giorno ho letto un articolo su Repubblica che mi ha fatto sobbalzare.
Repubblica scriveva che, nelle elezioni europee del Nord Est “primo, di gran lunga” era arrivato Fini, ma subito dopo si era piazzato Sergio Berlato, “consigliere ministeriale di Alemanno, incaricato di tenere i rapporti con la potente lobby dei cacciatori” (sic!).
In ducati sonanti: la lobby dei cacciatori é riuscita a mandare a Strasburgo un suo rappresentante che aveva preceduto, nella corsa europea, uno dei più forti cavalli di razza post-fascisti: Adolfo Urso. Pur vivendo lontano seguo sempre gli avvenimenti politici italiani con un senso di sbalordimento e di apprensione.
Pochi giorni dopo ho scoperto che nella regione dove vivo – il Devon del Nord – i cacciatori – che sono una sparuta minoranza – avevano creato un partito “The Country Party Alliance Fighting for Rural Issues”, mascherando la sanguinolenta smania di massacro dietro un paravento di idee bonarie, mielose e buoniste in difesa del cosiddetto Country Side.
Ho pensato, caro Max, che vi state muovendo bene. Mi congratulo con voi.
Avete capito che il tempo dei cani sciolti è finito. Che è terminato il tempo delle masturbazioni ideologiche, delle stravaganti idee riguardanti il destino delle specie umana, delle litanie dei gruppi di preghiera e delle idee utopiche legate a ideologie animaliste estreme che riescono solo a creare gruppi settari e disgregati. Avete capito che se vogliamo aiutare veramente gli animali, bisogna trascendere, andare oltre la minutaglia compassionevole e ideare una nuova strategia in grado di far pesare politicamente la massa di coloro che hanno a cuore il bene del non – umano.
Occorre un nucleo che aggreghi i cani sciolti e tenti – almeno tenti – di creare un movimento – ombrello che dia copertura alle mille anime dell’animalismo.
E questo va tentato con o senza le associazioni.
Il tempo dell’inane chiacchiericcio è finito: o strutturiamo una forza politica – come hanno fatto i cacciatori – o si continuerà a sguazzare nella palude delle piccole cose, validissime per il salvataggio di uno sparuto numero di esseri viventi, ma fallimentare come strategia globale perché incapace di attivare una vera svolta epocale.
Lo ripeto da anni. Come è possibile che una minoranza vilipesa e odiata come quella dei cacciatori abbia una lobby in grado di mandare un suo rappresentante a Strasburgo?
Come è possibile che una lobby di 730.000 cacciatori e le loro famiglie abbia un potere maggiore
di una massa di animalisti che secondo me rasenta i sette milioni?
Io so che in questo paese (l’Inghilterra)- che sicuramente non è il Regno dei Cieli, ma è con la Germania uno dei due paesi più aperti verso il problema della sofferenza animale – appena i cacciatori hanno fatto le loro mosse – che sconfinano con un terrorismo vagamente annunciato – la Lega contro la Crudeltà verso gli Animali (una grande lobby animalista) ha reagito pubblicando immediatamente una pagina intera su diversi quotidiani per informare Blair e il suo governo – sguazzante nel magma miasmatico iracheno – che se non concludeva rapidamente l’iter parlamentare, che avrebbe dovuto mettere fine alla “Caccia alla volpe”, ci sarebbero state ingenti perdite di voti alle prossime elezioni – che si stanno già annunciando foriere di grandi tempeste per il Labour. Ed è stata una messa in guardia sparata su una pagina intera dei quotidiani.
Qui, ogni mossa dei cacciatori o dei vivisezionatori è contrastata da lobby animaliste che rispondono colpo su colpo, autogestendosi da sole attraverso i media.
Non piace ai nostri animalisti la parola “lobby”? Usino allora il termine “gruppo di pressione”.
Bisogna fregarsene delle parole e arrivare ai fatti. Gli animali si aiutano se siamo in grado di creare una forza politica, con gli artigli di acciaio, in grado di determinare lo spostamento di un
notevole numero di voti. Se invece si continua a litigare tra vegetariani e veganiani saremo condannati alla frammentazione del movimento, all’atomizzazione, all’eterne chiacchiere su internet e alla perenne minutaglia, che aiuta molti essere viventi – ed è eticamente nobile e lodevole – ma che non può troncare “con l’ascia” – come dice il Battista – le radici della violenza verso gli animali.
L’idea malsana che la politica faccia schifo e che sia sufficiente il chiacchiericcio su internet e la persuasione veganiana verso limitatissimi gruppi di persone è una strategia suicida e perdente.
Montanelli diceva di turarsi il naso e votare. E lo stesso giornalista – notoriamente di destra – non esitò a votare a sinistra quando il conflitto con Berlusconi divenne insostenibile.
Io sostengo da anni che il sacrificio ideologico vale la vita di milioni di esseri senzienti.
Storcere il naso astenendosi o sostenere partiti schierati contro il non – umano è come tradire gli animali e la natura.
Un esempio della follia astensionista?
Il 49% dei neri d’America se ne infischia di votare.
Alle ultime elezioni di questo 51% di votanti il 90% ha votato Gore e il 10% Bush.
Ma il 49% degli afro americani non votando ha perpetrato un’autentica follia: ha consegnato il potere alla destra guerrafondaia di Cheney, Wolfowitz, Pearl e soci.
Il risultato di questo astensionismo suicida?
La destra ha scatenato la guerra in Iraq.
Ma i soldati mandati a combattere di che colore sono?
Sono in maggioranza neri o ispanici, e figli dei poveri bianchi.
L’astensionismo nero e ispanico ha creato le condizioni affinché i figli dei poveri vengano massacrati in una guerra sponsorizzata da una maggioranza bianca – sostenitrice di oligarchie finanziarie – che ha consegnato il potere a Bush votandolo al 54% – ma assicurandosi che i propri figli non siano spediti in Iraq a farsi sbudellare. Ora che i propri figli ritornano chiusi nei “body bags”, i poveri si rendono conto cosa significhi una manciata di voti: un voto nero compatto avrebbe evitato che Bush vincesse contro Gore.
Storcere il naso verso la politica è suicida.
Se Gianpaolo Pansa avesse scritto ( vedi Espresso del 27-11-03- Bestiario) che erano stati i cacciatori e non gli “animalisti estremi” a gridare “in faccia ai carabinieri “….dieci,cento, mille, Nassyria!..”, ci sarebbe stata una levata di scudi memorabile da parte delle associazioni venatorie. Quando ho evidenziato a un mio caro amico, un “animalista doc”, la cosa, mi ha risposto che quella non era altro che una “goliardata!” Ecco “in nuce” la basilare differenza di approccio.
Quello dei cacciatori è rivolto verso il mondo e verso la modernità dominata dai media.
Quello nostro è dominato invece da una specie di autismo, da un sistema chiuso in se stesso, solipsistico con una visione del mondo paurosamente limitata.
Per me, caro Max, si presentano una serie di possibili scenari.
Si aprono alcune vie percorribili.
La prima è quella di una fondazione di un partito verde – animalista autentico.
Un partito – logicamente – schierato a sinistra che sia: pacifista, antiglobalista, profondamente verde – Kyoto, disposto in maniera risoluta contro la fame del mondo e che sia un baluardo per i diritti degli animali e degli uomini. Ma non un partito veganiano o vegetariano, un partito aperto a tutte le persone che si battono per i diritti animali, un partito che prenda una ferma posizione contro: caccia, vivisezione, allevamenti di ogni tipo, combattimenti degli animali, vivisezione, commercio degli animali, combattimenti, feste, abbandono…ecc….
La seconda è quella della “lobby” (o chiamiamola “gruppo di pressione”) politicamente trasversale, schierata sulle posizioni sopra elencate. Non una lobby veganiana – vegetariana ma una lobby aperta che – simile alle grandi lobby statunitensi – sia in grado di spostare masse di voti da uno schieramento all’altro. E’ lapalissiano che una lobby puramente vegetariana – veganiana avrebbe una forza esigua. Una tale idea è demenziale.
Un esempio? La lobby inglese contro la crudeltà verso gli animali che minaccia di spostare i voti – che generalmente concede ai laburisti (e lo fa anche attraverso il sacrificio ideologico di attivisti orientati a destra) – in un’altra direzione. Se Blair, eternamente esitante, decidesse di procrastinare l’iter parlamentare per concludere la legislazione sull’abolizione della caccia alla volpe, sarebbe duramente punito come è stato punito per la guerra in Iraq.
Molti miei amici non hanno esitato – per la prima volta nella loro vita – a votare per i liberali e per i verdi che si erano espressi contro la guerra. E anch’io ho votato verde.
La terza è quella dell’infiltrazione di massa in un partito. Un’adesione di massa che crei all’interno del partito infiltrato – se così si può dire – una maggioranza che scalzi una minoranza.
Un esempio? L’ingresso di migliaia di nuovi iscritti nel Partito Verde per contrastare – ed eliminare – la presenza della minoranza favorevole alla caccia e alla sperimentazione.
La quarta è quella dell’entrata di gruppi animalisti in vari partiti.
Esempio: la creazione di ARCIANIMALI nei DS per contrastare ed eliminare la presenza dell’ARCICACCIA o la presenza di un folto gruppo animalista in AN per contrastare le posizioni di Alemanno e soci. L’idea che l’animalismo sia solo di Sinistra è errata. Io ho aiutato, in Umbria, una signora – che si dichiarava apertamente di destra – che ebbe 15 cani avvelenati, e sosteneva che gli avvelenamenti erano stati perpetrati da cacciatori comunisti. Una cosa molto probabile.
Ed io che ero stato una vita nel PCI non ho esitato ad aiutarla e a combattere i compagni avvelenatori denunciandoli dappertutto. Anche alla BBC World News.
A coloro che sostengono che il sacrificio ideologico è insostenibile ricordo che una presa di posizione che elimini – o radicalmente limiti -: caccia, vivisezione, combattimenti, allevamenti, abbandoni ecc…pur non essendo che una scheggia nella dinamica dello strazio animale è fortemente auspicabile per la massa di esseri viventi che si riuscirebbe a salvare.
Cerco di evidenziare alcune cifre, con un gruppo di esempi limitati.
Ogni anno, in Italia:
La caccia uccide 250 milioni di animali.
Il mercato italiano delle pellicce massacra 20 milioni di animali.
La vivisezione tortura e uccide oltre un milione di animali.
5000 cani soccombono nei combattimenti.
Per non parlare della pesca che sta distruggendo i nostri fondali marini.
Se il mio sacrificio ideologico riuscisse a salvare una parte di queste povere creature io voterei anche per il Principe Dracula. O Belzebù se preferite. Altri hanno altre idee.
Il sacrificio ideologico per loro è un prezzo troppo alto da pagare. Per me, non lo è.
Qualsiasi movimento o organizzazione che nasca dovrebbe accantonare, per suo interesse, idee bizzarre e controproducenti, e basarsi solo sulla lotta verso i diritti degli esseri senzienti.
Ma di tutti gli esseri senzienti. In poche parole un nuovo movimento oltre a salvare i randagi deve anche combattere – e con grande forza – il problema della fame, della miseria e della schiavitù nel mondo.
Una nuova coscienza sta sorgendo. E questa coscienza avanza inesorabilmente.
Se dovessi evidenziarla con un esempio sceglierei Julia “Butterfly”, la ragazza che visse in cima a una vetusta sequoia di 500 anni – per 737 notti dal 10 dicembre del 1997 – per salvarla.
E’ lei che impersona, secondo il mio modesto parere, la coscienza che avanza.
E’ lei che rappresenta il nuovo sentire – la “coscienza migliore” schopenhaueriana – che si staglia contro il male del mondo senza alcuna titubanza; una nuova coscienza laica che, senza sottofondi religiosi o mistici, anela al bene contro tutto e tutti. E questa consapevolezza avanza malgrado che molti animalisti – che voi conoscete bene, Max – la neghino a priori per i loro motivi ideologici.
Durante la settimana vegetariana inglese Tanit Carey ha presentato uno studio che ci ha informato che nel 2047 tutti i cittadini britannici saranno vegetariani, precisando che gran parte della popolazione sta meditando sulla scelta vegetariana e che il 6% è già completamente vegetariano.
Il massimo numero di vegetariani è in Germania, ma anche in Italia il vegetarianismo avanza.
Se la stampa internazionale continua a parlare di una percentuale di vegetariani che nel mondo rasenta il 35% della popolazione mondiale, qualcosa si sta muovendo.
So bene quello che affermano molti “animalisti” riguardo a questa crescita esponenziale.
Essi sembrano turbati, in un modo autolesionista e inspiegabile, perché convinti che questa tendenza non sia riscontrabile nella realtà. E spiegano – correttamente in un senso – che anche il mercato della carne è in crescita esponenziale. E hanno pienamente ragione – le statistiche sono chiare -: il World Bank ha predetto che il consumo della carne crescerà nel 2020 del 50%. E ha precisato che ci sono, ormai, due volte più polli che esseri umani nel pianeta, oltre a un miliardo di maiali, un miliardo e 300 milioni di vacche e un miliardo e 800 mila di ovini.
Questo è il paradosso: crescita esponenziale dei vegetariani e, allo stesso tempo, del consumo della carne. Ma la crescita del mercato della carne é principalmente dovuta all’aumento sproporzionato delle nascite umane. Nascono ogni giorno 200.000 piccoli nel mondo.
Parliamoci chiaro: aveva ragione Nietzsche quando diceva che siamo una malattia sulla pelle della terra. Nel 2050 si prevede che saremo 9,2 miliardi. Sappiamo però che l’Italia entrerà in recessione demografica già dal 2010 e che nel 2050 saremo circa 8 milioni in meno.
Come dicono i romani: consoliamoci con l’aglietto.
Il paradosso è che mentre cresce il vegetarianismo, con rapidità impressionante, allo stesso tempo aumenta il commercio della carne. Negli ultimi quarant’anni il consumo della carne in Europa è cresciuto da 56 chili a 89 chili per persona all’anno. Se si pensa alla crescita economica del Terzo Mondo è facile immaginare come sia inevitabile che il consumo delle carni di esseri senzienti tenderà a svilupparsi. Ma il fatto innegabile è che mentre aumenta l’orrore, allo stesso tempo e con rapidità sbalorditiva, cresce la coscienza, specialmente tra i giovani, alla “Julia Butterfly”. E questo ci dà grande speranza.
I nodi stanno giungendo al pettine.
Le contraddizioni si stanno sovrapponendo nella storia umana e sono contraddizioni esplosive.
Monoteismi spuri continuano, come morti viventi, a sopravvivere e a predicare l’osceno verbo della proliferazione delle nascite. I veri terroristi sono coloro che infettano il pianeta con idee medioevali e malsane, e lo avvelenano e lo distruggono.
Peter Singer, considerato tra i più influenti filosofi del secolo se ne è venuto fuori, giorni fa, con un gioiello. Ha detto – provocando un pandemonio tra le minoranze fondamentaliste cristiane – che è più giusto sperimentare su un umano in coma che su un cane o su uno scimpanzé in condizioni normali. Ormai tutte le sacre verità tremano. L’iperuranio specista con i suoi valori eterni traballa. Oscilla paurosamente il baldacchino delle mezze verità della specie tirannica egemone sull’orbe terracqueo.
Ma chi è il vero terrorista? Chi avvelena due miseri panettoni e libera qualche visone o chi avvelena il pianeta?
Ormai nel mondo la logora logica specista si sta paurosamente incrinando.
Ho letto, giorni fa, un articolo di Umberto Eco (Espresso 11-3- 04 Bustina di Minerva pag.206),
in difesa degli uccellini, che evidenziava l’essenza del pensiero specista.
Eco scrive: “ Visto che il consorzio umano ammette l’allevamento di polli, di bovini e maiali per poi ucciderli e mangiarli, si può ammettere che in riserve dedicate, lontane dall’abitato, in stagioni precise si possa accettare che qualcuno vada ad uccidere per sport (sic) animali commestibili la cui riproduzione sia salvaguardata e controllata. Ma entro certi limiti…”
Il più letto degli intellettuali italiani nel mondo difendendo gli uccellini – un minuscolo passo avanti – ci ha propinato una difesa della caccia degna dell’Arcicaccia, che è sulle sue esatte posizioni. Massacrare si, ma con intelligenza. Spappolare e sbudellare si ma “cum grano salis”.
E chi lo decreta questo?
Ma il “consorzio umano” lo decreta – spiega Eco – che, simile a un Giove Olimpico, rigurgita eterne, immutabili verità. Eco difendendo gli uccellini ha giustificato la caccia.
E difendendo la caccia ha dato voce ai reprobi come la presidente della Commissione Agricola del Lazio, Laura Allegrini di AN che si è precipitata a proporre l’allargamento delle specie cacciabili e delle aree cacciabili per ottenere un misero pugno di voti.
Ma chi è allora il vero terrorista?
Il vero terrorista, che bisogna combattere con tutte le forze è chi distrugge il pianeta.
Chi rigurgita onde velenose di diossina. Chi distrugge le foreste. Chi massacra esseri inermi.
L’Occidente che avvelena il pianeta, mi ricorda Kieu Sampham, il braccio destro di Pol Pot, che ha dichiarato di non saper nulla dei massacri; era assente, Kieu Sampham, mentre i Khmer Rossi liquidavano un milione di persone, esattamente come l’Occidente che, perversamente, ignora lo sfacelo del mondo.
Fatti?
Un americano produce ogni anno 5.40 tonnellate di carbonio contro lo 0.09 di un nigeriano.
Uno statunitense emette 21.000 CO2, mentre un italiano ne emette 9000 e un abitante della CIAD uno. Basta studiare la classifica delle emissioni di carbonio per capire chi è il vero terrorista nel mondo. Michael Meacher – che è stato ministro dell’ambiente nel Regno Unito dal 1997 al 2003 – è stato di chiarezza cristallina quando ha spiegato che coloro che avvelenano il pianeta dovrebbero essere giudicati da un tribunale internazionale come Milosevic o Pol Pot.
Meacher ha scritto: a causa dell’avvelenamento e del “global warming” 420 milioni di persone vivono in paesi che non sono più in grado di coltivare la terra a causa della desertificazione e mezzo miliardo vivono in regioni che si stanno, con estrema rapidità, desertificando.
Nel 2025 il numero di persone che vivranno in aree trasformate in deserti si raddoppierà.
Tutto l’ecosistema è ormai ha rischio. Le foreste bruciano. Entro il 2050 l’Amazzonia sarà deforestata. Inoltre, ha precisato: ci sono voluti 150.000 anni per la popolazione del mondo per raggiungere il miliardo di persone. Ed era il 1804. Ci sono voluti altri 123 anni per raggiungere i 2 miliardi di abitanti. Ed era il 1927. Ci sono voluti solo 14 anni per raggiungere i 4 miliardi. Altri 13 anni per raggiungere i 5 miliardi. E ancora 12 per diventare 6 miliardi.
Gli scienziati dicono che il livello di estinzione delle specie è cresciuto del 100% a causa della
contaminazione perpetrata dagli umani. Le specie stanno svanendo a una velocità incredibile.
In 10 anni la popolazione dei gorilla, nell’aera del Congo, è diminuita del 70%.
Nel 1994 erano 17.000 ne sono rimasti solo 5000.
Il “global warming” distrugge, ogni anno, un milione di specie – tra piante, animali, uccelli e insetti e almeno 150.000 umani. Le immagini satellitari ci rimandano continuamente il monitoraggio della distruzione che dissolve annualmente la Foreste Pluviali, i polmoni della Terra. Ogni anno scompaiono 10.000 miglia quadrate di foreste: un aumento del 40% dal 2002. E questo disastro è in gran parte causato dalla smodata necessità di carne dell’Occidente. I bovini nell’Amazzonia sono diventati 57 milioni raddoppiando il proprio numero dal 1990 al 2002. L’importo di carne verso l’Europa dal Brasile è cresciuto dal 40% al 74% in 12 anni.
Il vero terrorista?
L’ha indicato il Pentagono in un recente studio.
Davanti all’indifferenza della destra americana per il destino del mondo, lo stesso Pentagono ha reagito spiegando al presidente più ottuso della storia americana che negare il “global warming” – per mantenere l’attuale livello di qualità della vita degli USA – avrebbe portato alla catastrofe planetaria. Il Pentagono ha spiegato che la cecità della classe dirigente – e aggiungerei l’indifferenza e l’ignoranza del popolo – creerà uno scenario apocalittico da sopravvivenza “darwiniana” della specie.
Nel rapporto si legge che:
dal 2007 terribili tempeste devasteranno le coste del mondo e che gran parte dell’Olanda rischierà di finire sommersa dal mare.
Dal 2010 al 2020 il clima europeo cambierà drammaticamente e la Gran Bretagna sarà esposta a un clima siberiano.
Ci saranno guerre tremende a causa della desertificazione e della fame.
Rivoluzioni e sommosse sconvolgeranno India e Indonesia.
La guerra per la mancanza dell’acqua mieterà un gigantesco numero di vittime.
Nei prossimi 20 anni il pianeta non riuscirà più a sostenere la sua popolazione in crescita a un ritmo vertiginoso.
I paesi ricchi dell’Occidente si trasformeranno in fortezze per respingere le ondate migratorie di masse disperate e affamate per la desertificazione e per la mancanza d’acqua.
Spaventose ondate migratorie si riverseranno verso l’Europa dall’Africa e dal Sud America verso gli Stati Uniti.
La proliferazione nucleare, ormai inevitabile dopo il crollo del potere sovietico, creerà scenari d’inferno e gli ordigni nucleari saranno utilizzati da Stati asiatici, mediorientali o africani.
La temperatura raggiungerà costantemente i 33 –35 gradi e 400 milioni di persone rischieranno la morte. Il Bangladesh sarà sommerso dal mare e la Cina sperimenterà condizioni terribili.
Il Pentagono ci ha sorprendentemente propinato l’immagine di un mondo futuro – anzi già presente – ove ricchi “bunkerizzati” resistono all’attacco dei poveri resi folli dalla fame e dalla miseria. Un’ immagine descritta con grande accuratezza da Paul Virilio, che immagina le megametropoli bunkerizzate alla “Blade Runner” pullulanti sulla terra. Negli Stati Uniti – ci dice l’urbanista francese – oltre 30 milioni di americani già vivono nelle “gated communities”: la borghesia e gli “yuppie” hanno già creato i loro campi di concentramento dorati per contenere le invasioni barbariche dei nullatenenti.
Hanna Arendt ha scritto che progresso e catastrofe sono le due facce della stessa medaglia: nulla di più vero.
Ma davanti alla possibile catastrofe planetaria, annunciata dal Pentagono, Bush preferisce ignorare l’avvertimento per mantenere il livello di vita del suo popolo – o parte del suo popolo – e, quindi, preservare i suoi voti.
In ducati suonanti: meglio non rinunciare all’aria condizionata che salvare il mondo.
Se c’è un caso che dimostra che l’indifferenza politica di un popolo può condurre all’Apocalisse
quello è il caso americano.
Ma non sono terroristi coloro che distruggono il pianeta, terroristi sono coloro che liberano visoni o cani dai laboratori della sperimentazione.
La criminale indifferenza per il destino del pianeta e del non –umano è evidenziata da Mosca che sta tentando di vendere 843 milioni di ettari di foreste.
La Russia ha il 22% delle foreste del mondo che sono determinanti per la stabilità climatica
e per la biodiversità, e assorbono il 15% delle emissioni globali di diossina e monossido di carbonio producendo ossigeno per l’Europa e per il mondo.
Ma ora sono in vendita: tutto è in vendita nel tempo del capitalismo trionfante.
L’assassino globale si aggira indisturbato, Max, e se vogliamo vedere il suo volto criminale è sufficiente esaminarci ogni mattina allo specchio. I “serial killer” globali siamo noi.
L’Hannibal Lecter del mondo è la nostra specie.
Bisogna difendere il mondo creando un nuovo movimento che protegga tutti gli esseri viventi e il pianeta. Ma questo non si può fare con minoranze suscettibili, nevrotiche, che orbitano, come nomadi chiuse, nel labirinto autistico della compassione e dell’angst.
E’ necessario che nasca un nuovo movimento che trascenda la galassia animalista, senza ignorarla, ma che non rimanga impigliato tra le grinfie dell’inanità che è foriera di fallimento.
Bisogna aprirsi al mondo con un programma che attacchi il ventre molle della violenza verso gli esseri viventi e che dia battaglia solo dove – in un dato momento storico – sia tatticamente possibile farlo. Dal nucleo di questo movimento qualcosa di notevole può germogliare.
In questo momento storico, se si vuole creare qualcosa di politicamente valido e aggregante, è possibile attaccare il ventre molle della violenza verso gli animali costituito da:
caccia
sperimentazione
sadismo e maltrattamenti
ecomafia
zoomafia
abbandoni
bracconaggio
business delle pellicce
combattimenti
allevamenti
feste
corride
pesca incontrollata
ecc…ecc…
Lo so, non è tutto, ma non è neanche poco. Stiamo parlando di milioni di animali salvati.
Fare tutto subito non è possibile: le avanguardie che vogliono tutto immediatamente mi ricordano le sparute minoranze sessantottesche pronte a innestare la propria leadership su ipotetiche masse per condurle verso il sole nascente del comunismo occidentale (con sfumature maoiste).
E sappiamo tutti come finì.
Un’avanguardia non può precedere le masse di anni luce: spingersi troppo in avanti equivale a una forma di solipsistica follia.
Il discorso essenziale è questo: “E’ possibile iniziare – almeno – un ampio dibattito nell’animalismo “radicale” per capire se esista la seria volontà di organizzarsi in qualcosa di politico?”
La via che avete intrapreso con l’OPA, l’Osservatorio Politico animalista è per me quella giusta, ma la mia paura è che troverete un muro d’indifferenza da parte dei “coltivatori dei campetti d’ossa” e dovrete affrontare un muro di micidiale indifferenza. Molti animalisti preferiscono continuare con l’eterno chiacchiericcio e la minutaglia compassionevole che – pur essendo eticamente giusta – non risolve il problema globale.
Pasolini ha scritto, riguardo al papa:
“Quanto bene tu potevi fare! E non l’hai fatto:
non c’è stato un peccatore più grande di te.”
Si, caro Max, bisogna sporcarsi le mani nella politica e sguazzare nell’inferno degli onorevoli e dei senatori. E non è una cosa piacevole (l’ho esperimentata sulla mia pelle) ma assolutamente necessaria. E se non ci sporcheremo le mani saremo noi i grandi peccatori.
Un abbraccio
Paolo Ricci
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RISPOSTE
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Animalismo italiano e anglosassone
Adriano Fragano
08-09-2004
Ho letto la lunga requisitoria di Ricci e vi ho trovato alcuni spunti interessanti di riflessione.
Il grande problema che ho riscontrato nel testo di Ricci è il voler paragonare una cultura anglosassone con una prettamente mediterranea come quella italiana, Ricci dovrebbe sapere benissimo che in Italia i metodi inglesi di pressione non funzionerebbero. Inutile stupirsi infatti per un Berlato che va al Parlamento Europeo, la lobby dei cacciatori non è così sparuta e minuta come si pensa, dietro alla lobby fatta da individui che si dilettano a sparare a tutto ciò che si muove, c’è una classe politica compiacente che spalleggia NON i singoli cacciatori, ma l’industria armiera italiana, l’indotto produttivo della caccia è enorme, gli interessi (abbigliamento, armi, munizioni, cani da caccia, allevamento delle prede, aziende agro-faunistiche etc…) è spaventosamente allettante. E’ questo il motivo per cui Berlato va a Bruxelles al posto di qualcuno che difende gli animali. L’animalismo NON conta assolutamente nulla dal punto di vista politico, perché non ha un peso economico rilevante nel Paese. Che facciamo? Minacciamo i politici di non votarli più? Il voto animalista è tra i più frammentati del pianeta, non abbiamo una merce di scambio.
Non vi sono industrie dietro l’animalismo, ergo non vi sono classi di potere che spingono i politici ed operare per gli animali. Infiltrare un animalista nei partiti? Pazzia. Dove lo trovate un vero animalista che è disposto a scendere a compromessi quotidiani senza divenire lui stesso un prezzolato? Non credo sia una strada percorribile.
A mio avviso è basilare formare un gruppo di pressione animalista e NON un partito animalista, lasciamo la politica ai politici, creiamo un gruppo importante con un peso economico rilevante, saranno poi i politici a venire da noi e non viceversa. Portare un animalista in parlamento sarebbe come liberare un fagiano in una riserva di caccia; creare un gruppo nazionale di pressione invece potrebbe costringere la classe politica a prenderci in considerazione. La questione – mi rendo conto – non è né semplice né immediata; però ragionandoci sopra credo si potrebbero trovare delle soluzioni percorribili.
Premessa: l’animalista tipo – essendo anche un cittadino tipo – non ha alcun peso per politico tranne che per due elementi: il portafogli ed il voto
1) essendo dei consumatori dovremmo far pesare il nostro consumo consapevole sulle industrie, boicottando e informando in modo coordinato ed intelligente, potremmo orientare i consumatori ed influenzare le grandi catene alimentari nazionali, non solo, questo criterio potrebbe estendersi a tutti i comparti commerciali. Per fare ciò è indispensabile creare un comitato consumatori vegetariani, solo così si potrebbero fornire servizi ed informazioni ai vegetariani/vegani/animalisti e fare pressione su mass media e politici.
2) il voto. Come cittadini abbiamo un’arma in mano: il voto. Esercitare questo nostro diritto in modo coordinato e consapevole potrebbe portare grandi frutti. Attualmente gli animalisti, in Italia, disperdono i loro voto in mille rivoli inutili senza concentrarsi su obiettivi comuni. In questo caso sorgerebbero di sicuro moltissime resistenze di carattere politico ed ideologico, non tutti infatti sarebbero disposti a votare candidati appartenenti a partiti politici poco rispondenti o lontani dalle proprie convinzioni.
Istituendo un ufficio consumatori vegetariani, potremmo fornire servizi ed informazioni ai vegetariani che spesso si sentono abbandonati a se stessi e senza supporto, potremmo avviare campagne contro i prezzi esagerati dei prodotti vegetariani, potremmo influenzare l’elettorato ed i politici.
Scegliendo dei candidati animalisti (o vicini all’animalismo, ad esempio candidati vegetariani) potremmo creare un gruppo di politici da votare disposti ad appoggiarci, NON provenienti da vari partiti ma da UN solo partito che verrebbe stravolto dal suo interno per far fronte alle nostre crescenti richieste. Non si può pretendere di cambiare lo status quo politico italiano, ma si può – a mio avviso – cambiare un partito politico che è ancora abbastanza piccolo per subire un urto animalista, e che (a grandi linee) ha (o aveva, o dovrebbe avere) nel suo dna un’empatia con la nostra causa
Saluti animalisti
Adriano Fragano
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Ragionamenti intorno a due ipotesi deboli
Aldo Sottofattori
09-09-2004
Un paio di mesi or sono ho avuto a Monza un interessante scambio di vedute con Adriano Fragano. In quella occasione mi ha descritto come vede il problema della crescita dell’animalismo, argomento che ha ripreso nella risposta a Ricci.
Convengo con lui che l’insistenza con la quale Ricci sottovaluta la lobby dei cacciatori trascura quel complesso commerciale/industriale che ne costituisce la considerevole forza. Poiché società moderna e affarismo sono sinonimi, ne deriva che la forza dei cacciatori va ben oltre quel numero, comunque tutt’altro che sparuto, di 700 mila unità che Ricci insistentemente richiama. Penso inoltre che, per circolazione di denaro, i 700 mila di oggi siano più influenti del numero doppio di ieri.
Detto questo, vorrei dire che mi sfuggono alcuni passaggi di Adriano. Non comprendo bene se lui sottoscrive oppure no alcune soluzioni di Ricci. Cercherò di esprimermi con più chiarezza possibile in modo da facilitare sue eventuali e ulteriori precisazioni.
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Illustrare la differenza tra l’animalismo italiano e quello inglese è necessario. Ma lo stimolante scritto di Ricci è impostato proprio sulla prospettiva di rendere il primo simile al secondo. Perciò il problema non è tanto dimostrare se siano diversi, quanto piuttosto se possa essere iniziato un processo che permetta (oppure no) questo passaggio.
Ricci propone 4 soluzioni…
1. Una lobby che abbia influenza sulle scelte del Parlamento.
2. La creazione di un partito animalista.
3. L’entrismo in più partiti
4. L’entrismo in un partito
Mi sembra, (ma non sono sicuro di aver compreso bene) che Adriano sottoscriva due possibilità: la prima e l’ultima.
Per quanto riguarda la prima, cosa significa infatti agire “sul portafogli e sul voto” se non invitare alla costruzione di una lobby? La lobby è l’azione sul Parlamento attraverso l’influenza esercitata mediante relazioni “sporche” (in senso formale, non morale) esterne al Parlamento. Il coordinamento di una massa estesa di consumatori vegetariani potrebbe essere un sistema per influenzare la politica negli stessi modi in cui lo fanno, per esempio, i cacciatori. Ma allora, mi chiedo, non è questo un tentativo di ripercorrere il modello anglosassone? A giudicare da alcuni esempi (vedi la PeTA in America) non mi sembra un modello da perseguire. Su questo vorrei tornare dopo.
La seconda proposta di Adriano ruota intorno all’ipotesi di cambiare i connotati di “un partito politico abbastanza piccolo per subire un voto animalista e che ha o dovrebbe avere nel suo dna un’empatia con la nostra causa.” Ma a questo punto non comprendo bene. Non contrasta questa dichiarazione con quella fatta in precedenza (A mio avviso è basilare formare un gruppo di pressione animalista e NON un partito animalista, lasciamo la politica ai politici, creiamo un gruppo importante con un peso economico rilevante, saranno poi i politici a venire da noi e non viceversa.)?
Ritengo questi due aspetti piuttosto importanti, perciò partirò da essi per illustrare il mio punto di vista.
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L’ipotesi della lobby a me non piace per le ragioni che ho già spiegato in occasione dell’incontro a Monza. Giudico l’animalismo un’idea contigua alle grandi rivoluzioni concettuali (che in genere preannunciano, magari con molto anticipo, altri tipi di rivoluzioni) avvenute nel passato e mi sembra un’operazione molto debole ridurlo a una specie di sindacato di consumatori. Se l’animalismo possiede davvero i caratteri della grande prospettiva, deve essere accompagnato da idee forti che possono essere seguite da soluzioni secondarie del tipo prefigurato da Adriano, ma non possono certo essere da esse caratterizzate o fondate. A ciò va aggiunto che se i soldi (o il portafogli) svolgono una certa influenza “fuori” del movimento, alla lunga, se non sono supportate anche da alte idealità, finiscono per influenzare anche il “dentro”. In proposito ricordo, a puro, titolo d’esempio che quando il PCI incominciava a tradire la causa del socialismo, i comunisti dentro le coop erano tali solo di nome e niente di fatto già da molto tempo e ragionavano come normali manager di un ente di distribuzione con un pragmatismo insopportabile. Avevano, insomma, fatto scelte “realistiche” con decenni di anticipo.
La LAV non è un esempio moderno di ente puramente gestionale in cui le idealità si sono, non dico dissolte, ma almeno (lasciatemelo passare) indebolite? Per ritornare all’esempio della PeTA, ci ricordiamo di quella bella pagina web in cui la grande organizzazione, con l’accompagnamento di una disgustosa retorica patriottarda, mandava cibi vegetariani agli eroi che andavano a combattere in Irak.
Ora, LAV e PeTA, pur offrendo l’immagine che offrono, continuano tuttavia a fare animalismo (nei modi in cui lo sanno fare). Mi chiedo cosa accadrebbe se l’idea di animalismo ruotasse intorno a qualche ufficio di consumatori vegetariani…
Comprendo che questa ipotesi possa nascere dalla considerazione che l’animalismo oggi combina poco o nulla. E condivido con Adriano l’angoscia che deriva da questa percezione ma prima di adottare alternative dubbie, per non dire pericolose, dovremmo tentare di prefigurare gli sviluppi e gli effetti secondari delle nostre idee.
Consideriamo anche che il “vegetarismo spontaneo”, cioè quello che può essere promosso mediante banchetti, filmati, geremiadi e, a questo punto aggiungo, promozioni varie di una lobby veg**, possiede un limite anche se Ricci contina a essere convinto che nel 2050 metà della popolazione italiana sarà vegetariana (chissà quale sociologo ha messo in giro questa scemenza). Il gelato alla vaniglia, il capuccino con la brioche, la frittata sono cose buone e non c’è verso di spostare tanta gente verso la rinuncia con modalità simili a quelle pubblicitarie. Senza una forte motivazione ideale queste scelte NON si fanno! Anzi, talvolta non si riescono a fare neanche con quella.
Per concludere questa parte dirò che la questione animale non può essere risolta con il “consumo consapevole”. Se al mondo avessi una sola certezza, sarebbe appunto questa.
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Anche la seconda proposta, quella di influenzare UN partito politico che è ancora abbastanza piccolo per subire un urto animalista, e che (a grandi linee) ha (o aveva, o dovrebbe avere) nel suo dna un’empatia con la nostra causa, mi lascia abbastanza perplesso. Un partito che risponde a certi requisiti esiste? Adriano mi permetterà di scherzare? Allora dico che mi cimento a fare lo psicanalista e deduco che il suo inconscio l’ha indotto a pensare, senza esporsi, ai verdi. Non male, considerando che qualcun altro, recentemente, ha scommesso sul gruppo fantasma “Patto Segni” ;-).
E allora ragioniamo sui verdi. Possiamo chiederci perché gli animalisti si ostinino a vedere in un partito irrimediabilmente specista un gruppo di persone che possano avere un’empatia con la causa animalista. Quante batoste dovremo prendere per capire chi sono e cosa vogliono quelli? Quante delusioni dovremo patire per capire che non ci sono affatto affini? Ma anche se tra i verdi vi fosse una componente più vicina alle nostre posizioni antispeciste, si può davvero pensare, come sembra credere anche Paolo Ricci, che tutto il partito sia disponibile a farsi fagocitare (o influenzare, o trasformare da gente che piomba dall’esterno con l’intento di mandare in pensione la vecchia guardia e sostituirla integralmente? Quelli hanno denti di ferro, se non li avevano all’origine, se li son fatti crescere o impiantare frequentando una autentica classe sociologica (i politici) fatta di gente con i denti di ferro. Vi immaginate la fatica? No, non penso che sia una posizione sostenibile. Senza pensare che il lavoro di adattamento a una realtà presistente è cosa terribilmente complicata. Non è meglio partire ex-novo?
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Per queste ragioni penso che anche questa non sia una strada percorribile. Poi, e qui condivido in pieno le perplessità di Adriano, non avrebbe senso neanche fare entrismo in più partiti per le ragioni da lui stesso accennate. Perciò ritengo che alla fine il discorso debba scivolare sull’unica domanda che per me ha senso: è plausibile che gli animalisti abbiano un partito loro? Come rispondere alla domanda topica? Io qui mi arresto. Spero che il dibattito possa indagare questa possibilità che è ancora il tremendo tabù di tutto l’animalismo.
Saluti animalisti
Aldo Sottofattori
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Perchè il lobbysmo non funziona
Eliseo Zanetti
10-09-2004
Ho letto l’intervento di Paolo Ricci ed ho rilevato l’intenso desiderio di uscire dal panorama stantio che tutti conosciamo bene e di promuovere un salto di qualità nella lunga battaglia della difesa dei diritti degli animali. Il messaggio è lungo e bene articolato e contiene elementi interessanti di analisi anche se presenta alcuni punti intorno al concetto di comportamento politico che devono essere chiariti. Cosa significa ‘svolta politica per l’animalismo radicale’? Cosa bisogna intendere per svolta politica, o meglio, comportamento politico? Le quattro soluzioni presentate da Ricci – lobbysmo, entrismo in uno o più partiti, costituzione di un partito autonomo – sono davvero alternative tra le quali si può quasi scegliere in termini di intercambiabilità? Oppure sono mutuamente incompatibili essendo di natura diversa? Corrispondono tutte ad una ‘svolta politica’ o sono invece proposte fatte di ‘stoffa’ differente? Soltanto dopo aver analizzato questi aspetti si potranno pensare i modi per mezzo dei quali l’invito di Ricci può veramente concretizzarsi in una prospettiva inedita e carica di conseguenze.
Ebbene, ritengo che i suggerimenti dell’autore della lettera appartengono in realtà a due classi molto distanti tra di loro. Un conto è la pratica lobbysta, un altro è quella politica.
La pratica lobbysta si configura come un rifiuto di una effettiva posizione politica perchè riconosce alla classe dei politici la responsabilità ultima di prendere posizione in seguito alla presentazione organizzata di determinati interessi. Penso che questa pratica si adatterebbe bene all’associazionismo animalista ‘conservatore’. Se i dirigenti delle associazioni fossero persone intelligenti, orientate, sì, alla sopravvivenza delle loro organizzazioni ma attente al fine ultimo che giustifica la loro esistenza – la salvaguardia degli animali in termini di protezionismo – essi si sarebbero già impegnati in una seria ricerca per autoconferirsi la funzione di lobby, o gruppo di pressione, considerando che non hanno la forza di dichiarare alla società civile che loro si tirano fuori rispetto agli usi scellerati degli animali trattati come oggetti. Dunque, dovendo proporre soluzioni di ripiego che limitino, non eliminino, lo strazio degli animali, essi potrebbero ‘rivolgersi’ alla classe politica negli stessi termini con i quali le altre associazioni a carattere lobbysta si rivolgono allo Stato per otterere l’appagamento di interessi i quali, si badi bene, non presuppongono lo stravolgimento della società ma l’adattamento ad essa con il tasso più alto possibile di soddisfazione.
L’‘animalismo radicale’ al quale Ricci si rivolge non è però caratterizzato – almeno mi sembra – da intenti protezionisti ma liberazionisti. Non chiede, per esempio, che gli animali siano trattati bene quando vengono portati al macello ma pretende che la vergogna dei macelli finisca. I liberazionisti sanno di aspirare ad un obiettivo lontano ma nella sostanza, agiscono oggi pensando al domani. Il fatto che lavorino per attenuare i lati più odiosi del maltrattamento, non significa che non abbiano sempre presente lo scopo finale. È questo che li rende diversi dai volontari delle associazioni storiche. Questi fanno discorsi millenaristi del tipo… ‘verrà un giorno in cui… ma oggi muoviamoci in accordo con le regole e le leggi di questa società’; quelli, invece, vivono la tensione quotidiana di un evento scandaloso che vorrebbero rimediare da subito, anche se ciò che possono fare è limitato dalle circostanze; tuttavia, se vien offerta loro l’occasione, sono in grado di spingersi verso soglie di intervento che gli associati di certe organizzazioni non accetterebbero mai.
Ecco perchè la proposta lobbysta dovrebbe essere subito depennata. L’animalismo radicale – il liberazionismo – ha bisogno di farsi politico esso stesso: deve assumere in proprio il ruolo di diffondere i suoi valori attraverso pratiche politiche, cioè per mezzo di una azione autonoma che sancisca diritti che la società specista non è in grado di accettare se non in termini caricaturali. L’animalismo radicale non può strutturarsi in associazione, se non in via transitoria in attesa di un successivo grande passo; il suo approdo inevitabile si configura forzatamente come movimento politico, altrimenti decade.
Vorrei precisare che la ‘forma associazione’ implica l’accettazione dei valori di base della società nel cui seno essa si colloca. Si può affermare che la prassi liberazionista condivida i valori di base con la società specista? Non lo credo. Penso che l’animalismo sia oggi quanto di più profondamente antisistema si possa immaginare perchè tende a scardinare tutte le categorie politiche elaborate in molti secoli dai più arditi riformatori. Il fatto che il movimento sia in ritardo, non significa che questa non sia la sua strada naturale, quella che prima o poi dovrà imboccare. Dunque il soggetto collettivo che se ne fa carico è un soggetto molto marginalizzato se non addirittura estraneo alla società specista, con tutte le conseguenze del caso.
Mi sembra di sentire un’obiezione: impiegando l’espressione ‘molto marginalizzato’ si fornisce un’immagine deprimente. E’ vero ma non serve a niente nascondere la verità e tentare di rimediare questa condizione tentando di adattarsi ad una ‘realtà immaginaria’, cioè la possibilità di soddisfazione di giustizia da parte del sistema politico. Conviene piuttosto prendere atto di una situazione iniziale infelice e cercare di risalire la china contando sulle proprie forze. Il movimento animalista non troverà mai delle corrispondenze politiche a cui appoggiarsi. Non ha senso, allora, strutturarsi come gruppo di pressione per esercitare una possibile influenza su strutture politiche che non possono accettare valori che non sono loro propri.
Spero di aver chiarito il motivo per cui ritengo fuori luogo propugnare il lobbysmo; ora tenterò di chiarire il concetto di ‘movimento politico’ secondo il mio punto di vista.
Già perchè ora si potrebbe immaginare un partito animalista che si presenta alle elezioni e che sostiene in Parlamento la causa degli animali. Non è proprio quel che penso, anzi, una tale concezione è molto lontana da ciò che ritengo dovrebbe essere lo strumento attivo principale della causa animalista.
A parte l’oggettiva difficoltà di far eleggere in Parlamento una sparuta minoranza di persone che sarebbero ignorate e irrise persino dai gruppi ritenuti erroneamente affini, per esempio gli ambientalisti, una tale soluzione rischierebbe di riportare in un ambiente sordo risorse preziose che invece dovrebbero coordinare l’azione nella società. L’azione dell’animalismo radicale dovrebbe svolgersi nel sociale, nella propaganda, nella ricerca di energie fresche da immettere nel ciclo della riproduzione culturale del movimento animalista, nella progettazione pianificata di atti di disturbo in una società insonnolita e insensibile, secondo una pratica certamente non violenta rispetto alle persone ma vigorosa e rivolta alla ricerca di forme efficaci di conflitto nei confronti di chi ha gravissime responsabilità nelle attuali tragedie delle ‘persone senza rappresentanza’.
Penso che questa prospettiva darebbe risultati migliori rispetto a quelli che le associazioni perseguono con le loro inascoltate lamentazioni. Un movimento organizzato che riuscisse ad ottenere anche una parte di limitato consenso sociale su temi così grandi, un consenso comunque maggiore rispetto a quello di cui oggi gode, costringerebbe a quei provvedimenti che quando vengono richiesti dai protezionisti producono solo moti di compassione quando non addirittura scherno. ‘Vedete – direbbe qualcuno fingendo di attribuire le sue insulse iniziative protezionistiche al proprio senso di umanità anziché, come nei fatti avverrebbe, alla speranza di rabbonire un movimento diventato maturo – abbiamo fatto queste riforme, abbiamo adottato queste misure di miglioramento del benessere animale ma a quei fanatici non basta ancora…’. Sì, penso che la risolutezza potrebbe ottenere subito quel poco che attualmente il movimento sogna come soglia minima senza però essere, a differenza di oggi, colpevolmente ed irresponsabilmente cooptato nelle dichiarazioni inaccettabili del ‘minor male’.
Dunque, non partito inteso come struttura istituzionale ma come organizzatore di movimento e di lotta per il riconoscimento di diritti animali che aspiri anche ad una società radicalmente rinnovata, poichè sappiamo, e questo Ricci lo dice con giusta convinzione, che non potrà esserci pace per gli animali se non si riesce a creare la pace tra gli uomini. Poi con la crescita del movimento si potrebbe, con opportune precauzioni, pensare anche a scelte istituzionali – anche se forse esistono fondati motivi che rendono problematica questa ipotesi – ma oggi è presto per prevedere fatti così lontani.
Insomma un movimento politico animalista dovrebbe preservare quell’immenso patrimonio costituito dai valori etici innovativi maturati in un lungo processo di consapevolezza ma dovrebbe anche inserirli in pratiche di organizzazione oggi tristemente assenti.
Quanto precede esclude le altre proposte ‘politiche’ di Ricci, quelle che prevedono ‘entrismo’.
Credo che siano entrambe sbagliate perchè l’entrismo significherebbe, di fatto, contraddire quanto ho sostenuto circa la natura movimentista e antiistituzionale che un tale soggetto politico dovrebbe avere. Tuttavia quella che prevede l’entrismo in più partiti è sbagliata per un ulteriore motivo. Essa disperderebbe forze già esigue che richiedono di essere concentrate; temo che Ricci si faccia prendere dall’entusiasmo quando dice: ‘L’ingresso di migliaia di nuovi iscritti nel Partito Verde per contrastare – ed eliminare – la presenza della minoranza favorevole alla caccia e alla sperimentazione.’ Migliaia di iscritti? Allo stato attuale non esistono se non nelle speranze degli ottimisti ad oltranza che comunque sono lontani dalla realtà attuale.
Riassumendo, scartata l’ipotesi non politica, cioè il lobbysmo, e quelle politiche inadeguate perchè deboli e filoistituzionali, cioè gli entrismi, rimane l’ultima proposta, la fondazione di un partito secondo il modello a cui ho accennato.
Bene, spero di aver chiarito il mio pensiero sul ‘cosa’. Il ‘come’ è prematuro e subordinato a scelte che devono essere ancora compiute.
Eliseo Zanetti
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Questo non è che l’inizio
Giuseppe Podat
Nocara
30-09-2004
22 settembre 2004
Caro Paolo,
– Ho letto con attenzione la tua lettera aperta : “Una svolta politica per un animalismo radicale” e la trovo ben congeniata, ottimamente documentata e sicuramente puntuale nel cogliere le problematiche che affliggono i nuovi movimenti politici animalisti.
Ti poni, giustamente, il quesito se proporsi come lobby, partito politico a se stante o “infiltrarsi” all’interno di realtà già esistenti, escludendo la seconda per ragioni intuitive, sposerei la prima e la terza in ordine temporale:le lobby diventano voci autorevoli e ascoltate intorno alle quali si aggrumano gruppi di simpatizzanti, in moneta sonante voti, assolutamente appetibili dai partiti tradizionali, i quali vi offriranno ampi spazi, con grande agibilità, al proprio interno.
Assolutamente da sfruttare, facendo bene attenzione ai personaggi da inserire, gente che non si faccia comprare e che non perda di mira le proprie idealità: insomma che non si scolorino, non si omogeneizzino al partito ospitante anzi dovrà avvenire esattamente il contrario: l’animalismo dovrà connotare in modo deciso e palese l’aggregazione al cui interno agiscono i vostri rappresentanti.
La politica fa schifo solo perchè i politici fanno schifo; la politica è, attualmente, l’unico strumento attraverso il quale si possono apportare cambiamenti etici e sociali; soggetti politici limpidi e onesti, se sopravvivranno, daranno luogo a una politica veramente onesta, siamo il paese di Macchiavelli, si dovrebbe attuare il contrario del suo pensiero politico: il fine perseguito con mezzi limpidi.
Il sacrificio della propria ideologia mi sembra una boutade:ha fiato corto, mi sembra più una mossa tattica, che rinuncia preventivamente ad una buona strategia politica, che dovrebbe sorreggere e sottendere il movimento animalista: si abdica, a priori, ad un radicamento del vostro ragionamento politico per un atto o atti che sanno più di iniziative personale piuttosto che presa di coscienza del fenomeno animalista.
Butterfly, la Giulia della giungla, figura cristallina e ammirevole mi ricorda più una sessantottina parigina che gridava:” non è che l’inizio”.
La prassi politica è molto più dura, prosaica e sofferta ma è quella che crea e radica il movimento: in questo passo mi pare che tu contraddica la tua filippica nei confronti dei gruppuscoli e dei cani sciolti dell’animalismo, un piccolo cedimento romantico nella tua ben strutturata analisi.
W Giulia la Farfalla, piccola grande ikona, ma la politica è ben altra cosa!
Dici:”Ma chi è il vero terrorista? Chi avvelena due miseri panettoni e libera qualche visone o chi avvelena il pianeta?”
Entrambi, solo che il prima è un dilettante e il secondo un professionista: il primo soccombe e il secondo vince, altro inciampo vecchio romantico!
Non ti distrarre dal tuo solido ragionamento!
La tua analisi sul mondo ormai antropizzato è inattaccabile, oserei dire perfetto, verissimo che un mondo alla Blade Runner è ormai prossimo, infatti nel film non compaiono animali, se non erro, e se lo profetizzano gli scrittore stai certo che si avvererà.
In una mia precedente risposta alla lettera da te inviata a Mr. Singer, e nella quale, questi, proponeva, come provocazione, la sperimentazione su esseri umani ammalati e terminali più accettabile che la vivisezione su animali sani, affermavo che tutto ciò mi richiamava più una forma di ragionare aberrante, di selezione della razza: che sopravvivano solo i migliori, in culo ai più deboli e indifesi; molto nazi, lascia perdere, qualche coglione potrebbe metterla in pratica, magari già lo fanno: non è questo il problema da porre.
Il problema è l’uomo e la sua posizione dominante sulla terra: oramai è diventato un piccolo dio egoista che tutto può distruggere, non solo gli esseri senzienti ma anche se stesso, pericoloso e feroce despota, disposto a tutto, pur di soddisfare le sue immediate e miserevoli “voglie” ( voler appropriarsi a tutti i costi di tutto, altrimenti niente per nessuno!)
La grande questione su cui ragionare non è tanto proteggere questo o quella razza, questo e quell’animale, il problema è come, in prospettiva, gli umani possono convivere con la natura; come far sì che nessuna specie domini sulle altre; come avere un mondo più equilibrato; come, e qui mi permetti una provocazione, reintrodurre la selezione naturale: l’altro giorno, il gatto nero che si è magnato la tartarughina, s’è pappato, parzialmente, anche un merlo in giardino.
Ho preso i resti del merlo e li ho seppelliti e al gatto ho solo lanciato un piccolo sasso, sbagliando la mira.
Il gatto che mangia il merlo fa incazzare, ma no si ammazza il micio; il cacciatore che ammazza il cervo viene autorizzato, il cane che scanna il padrone viene soppresso: c’è logica in tutto questo?
Si, l’antropocentrismo.
Ma così non si va da nessuna parte: sono sempre gli umani che menano il gioco: uccidono, proteggono, torturano, addomesticano, tutto in funzione loro.
E’ un circolo vizioso, spezziamolo: via verso un neonaturismo.
E allora?
“Si, caro Max, bisogna sporcarsi le mani nella politica e sguazzare nell’inferno degli onorevoli e dei senatori. E non è una cosa piacevole (l’ho esperimentata sulla mia pelle) ma assolutamente necessaria. E se non ci sporcheremo le mani saremo noi i grandi peccatori.”
Questo, Paolo, non è che l’inizio.
Giuseppe Podat
Nocara
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Alcune precisazioni
Adriano Fragano
01-10-2004
Cari amici,
ho letto con interesse l’opinione di Aldo Sottofattori dell’8 settembre 2004 (data casuale?).
Vorrei quindi fare delle precisazioni in merito a quanto lui scrive, ed in merito alla lettera di Eliseo Zanetti del 19 settembre 2004.
Quando dichiaravo “lasciamo la politica ai politici” intendevo tutto ciò che ruota purtroppo attorno alla politica ed impedisce la cura degli interessi dei cittadini di una democrazia rappresentativa come la nostra.
Vorrei far notare ad Aldo ed Elseo che anche fare lobby è un atto politico, anche “infiltrare” persone animaliste all’interno di un partito è un atto politico.
Se dovessi dare una definizione di politica potrei dire che essa è sicuramente una teoria del diritto e della morale che si applica allo Stato e che ha come fine ultimo il controllo della vita della società e quindi il controllo del potere; se assumiamo per buona questa definizione molto generica e poco professionale, allora anche un gruppo di pressione di cittadini è uno strumento politico, anche una protesta o un gruppo di persone che si prefigge uno scopo che riguarda lo Stato è uno strumento politico.
Il problema è chiarire cosa si intende per politica. Essa non è prerogativa esclusiva dei politici, ma è alla diretta portata del singolo cittadino che fa politica nel momento stesso in cui compie un atto semplice come quello di acquistare un prodotto cruelty free.
Con Aldo a Monza parlai di associazione di consumatori per la tutela dei diritti dei consumatori vegetariani, vegani e animalisti, questo strumento è assolutamente politico (e con questo rispondo ad Eliseo), e lo è nella misura in cui i consumatori si coalizzano per difendere i propri diritti, o meglio, per riappropriarsi dei propri diritti, e per fare pressione su chi esercita il potere.
Detto questo la frase “lasciamo la politica ai politici” rientra in un ragionamento ben diverso e riguarda esclusivamente i giochi di potere della politica, giochi dai quali noi semplici cittadini-consumatori siamo esclusi. Ecco spiegato perché non ritengo che l’animalismo debba entrare nei partiti in modo generalizzato, ma che potrebbe invece entrare in un piccolo partito e minarne l’operato dalle fondamenta. NON perché si crede in quel dato partito, ma perché è alla portata, e può rappresentare un buon trampolino di lancio per poter avere accesso all’esercizio del potere (tornando alla mia definizione di politica).
Inoltre vorrei sottolineare che il pensiero animalista è rivoluzionario, e come tale non può entrare a pieno titolo nella vita politica di un sistema che intende cambiare, pena l’abbandono dei principi stessi del pensiero rivoluzionario. Ciò che si può fare è permeare, influenzare, sfruttare lo status quo per poi cambiarlo.
Rimane però un problema ancora irrisolto e grave. Eliseo (come molti altri) parla di movimento animalista, io non vedo nessun movimento animalista in Italia. Un movimento credo debba almeno presupporre delle linee guida, dei principi fondanti condivisi da tutti gli aderenti al movimento stesso, dovrebbe inoltre includere delle forme organizzate al suo interno utili per decidere le strategie e per organizzare la vita del movimento, tutto questo non esiste in Italia in ambito animalista, dato che tutti (singoli, associazioni, gruppi) si muovono indipendentemente ed in ordine sparso.
Mancano quindi i principi fondamentali dell’animalismo in Italia, chi può definirsi animalista? Ed in base a cosa?
Quali sono i principi fondamentali da osservare per potersi fregiare dell’appellativo di animalista? Un vegetariano è animalista? Un carnivoro che fa volontariato in un’associazione animalista lo è?
Fino a quando non si stileranno dei precisi principi da rispettare, non si potrà parlare di movimento animalista e non si potrà parlare ovviamente nemmeno di politica animalista.
Saluti animalisti
Adriano Fragano
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Alessandro Rossi: Quattro tesi contro la lobby (09-10-2004)
09-10-2004
L’intervento di Adriano Fragano è importante per tre ragioni:
chiarisce alcuni dubbi che il precedente intervento lasciava in sospeso;
riflette un’impostazione molto diffusa nel pensiero animalista;
presenta nodi concettuali ineludibili;
Ora è possibile comprendere meglio il modello di ragionamento e le sue eventuali debolezze.
Consideriamo il passo centrale della relazione:
… politica è … una teoria del diritto e della morale che si applica allo Stato e che ha come fine ultimo il controllo della vita della società e quindi il controllo del potere; se assumiamo per buona questa definizione molto generica e poco professionale,…
Questa citazione non è affatto generica e poco professionale; è pertinente. Tuttavia costituisce una definizione di “politica” che recupera la visione apologetica che la società borghese ha di se stessa. Infatti, l’espressione: “… come fine ultimo il controllo della vita della società e quindi il controllo del potere” descrive la versione idealistica che i “sistemi democratici” propagano per autorappresentarsi affermando che, per mezzo della politica, la società si autogoverna. Secondo questa visione, il potere sale dal basso ovvero dalla società, acquista una dimensione politica attraverso partiti e istituzioni, e quindi ridiscende verso il basso. La chiave interpretativa sta tutta nella locuzione “controllo del potere” – da leggersi: “controllo sul potere” – che implica che il potere sia controllato, cioè “regolato” da cittadini liberi e consapevoli.
Se così fosse, il problema che stiamo dibattendo si porrebbe nei termini di quella egemonia culturale che gli animalisti potrebbero tentare di conquistare nella società, considerato che il potere risiederebbe nel popolo. La politica sarebbe lo spazio in cui si ratifica una deliberazione presa da decisori liberi e coscienti. Lo spazio politico sarebbe espressione indiretta della società, ma pur sempre una sua concreta emanazione, cosicchè avrebbe senso affermare che i cittadini, con il loro impegno e partecipazione alla cosa pubblica, costituirebbero l’altra faccia della politica, quella informale ma, nello stesso tempo, più importante, se non addirittura “portante”.
Una visione realista e supportata dall’esperienza nonchè dalle aporie insolubili cui i sistemi democratici vanno incontro, rileva invece che questi sistemi sono organismi nei quali una entità corrotta si perpetua attraverso un condizionamento rigoroso degli umani, i quali non fanno altro che chiedere quello che il sistema vuole che essi chiedano. Lo spazio di questo intervento non consente di approfondire tale convinzione, ma occorre ammettere che anche una trattazione circostanziata non aprirebbe facilmente varchi in chi possiede un’altra considerazione dei modelli democratici. Non rimane altro che offrire quello che riteniamo un punto di vista alternativo e che ormai da tempo costituisce la coordinata principale del lavoro di ricerca di Rinascita Animalista. Sulla base dei nuovi presupposti, la definizione deve essere modificata leggermente nella forma ma profondamente nella sostanza. Ne deriva la seguente proposizione:
Tesi 1: “La politica è la costruzione di un sistema di diritto instaurato dallo Stato e ha come fine ultimo il controllo della vita della società e quindi l’esercizio del potere.”
La modifica non è di poco conto. L’“esercizio del potere” e la diversa caratterizzazione dello Stato comportano una reinterpretazione della espressione “controllo della vita della società”. Non è la società che gestisce sia pur indirettamente se stessa attraverso il controllo del potere, ma è la politica – cioè un sistema generatore di diritto istituito dalla macchina statale – che controlla la società.
Dunque il Potere inteso come “soggetto” staziona in alto; da lì governa la società e attende al potere inteso come “pratica di dominio”. Esso perimetra il luogo delle pretese valide e poi gestisce le “domande legittime”. Il gioco realizzato crea nel “cittadino” l’illusione di essere l’arbitro delle sue richieste. Un gioco truccato costruito sulla più sfacciata eteronomia. In realtà è la stessa libertà di immaginazione che è bloccata nella società borghese. La “cultura” è predisposta per costruire menti standardizzate che possono oscillare entro un range molto definito. Non a caso elettori di destra o di “sinistra” possiedono un notevole grado di somiglianza e l’elemento principale che li contraddistingue è una specie di senso di appartenenza caratterizzato da tradizioni in via di affievolimento.
Inoltre: la società umana nell’epoca del trionfo del capitalismo è costituita da una infinità di sott’insiemi in perenne conflitto di interessi. Questo è il conflitto che costituisce la croce e la delizia del Sistema. E’ croce perchè ingenera notevolissimi problemi di governabilità, ma è anche delizia perchè proprio la presenza diffusa degli spiriti egoistici e conflittuali produce il combustibile di una realtà drogata, destinta a un rapido declino storico, ma talmente capace di inebriare le menti da renderle cieche al punto di non riconoscere pratiche sociali autodistruttive. Compito di una politica altrettanto cieca è quello di rendere compatibili le pretese, o quanto meno, di creare un equilibrio tra la costellazione delle diverse esigenze. E’ scontato che le pretese di gruppi forti otterranno vantaggi notevoli, le pretese di gruppi deboli otterranno vantaggi ridotti.
Questo è il quadro in cui, svanito il sogno democratico, gli interessi vengono fatti rappresentare da quel ripiego chiamato “lobby” 1. La lobby costituisce un gruppo di pressione già predigerito dal sistema politico. Ciò che essa desidera rientra nel quadro della legittimità; deve solo essere compatibilizzato con le esigenze di altri gruppi che partecipano alla spartizione dei beni. Essa non ha valori suoi da rappresentare giacchè incorpora quelli comuni, dunque scontati. Valori “naturali” che, in quanto tali, non devono essere discussi e neanche pensati. E in effetti, la lobby non è un vettore di valori bensì di nudo interesse.
Il ragionamento esibito potrebbe apparire approssimativo. Infatti nella società degli umani vi sono delle eccezioni. Sono costituite da coloro che identificano quell’area estesa, ma anche altamente differenziata al suo interno, che si muove per cause nobili. Portatori di pace, animalisti, ambientalisti, alternativi… insomma tutti soggetti che sinceramente vorrebbero un mondo diverso dall’attuale e non si stancano di gridarlo a gran voce. Queste persone costituiscono un bel numero in assoluto, ma percentualmente sono una parte estremamente minoritaria della popolazione. Tuttavia il loro problema non consiste nel numero, quanto nella credenza di poter determinare delle svolte sociali con la semplice testimonianza delle loro istanze ignorando il fatto che le relazioni di dominio, la cui imperfezione è testimoniata dalla loro esistenza, sono comunque abbastanza possenti per impedire che essi possano contaminare l’altra parte della popolazione con la forza delle idee.
Immaginiamo che parte di queste persone portatrici di valori autenticamente incompatibili con quelli esistenti nella struttura sociale decidano, disponendo di generici sostegni in Parlamento, di praticare l’azione di lobby. Essi potrebbero sperare, confutando la tesi 1, di promuovere dei piccoli cambiamenti da rinforzare con mosse successive fino al punto di “conquistare la bastiglia”. La classica ed errata visione riformista2. In altri contesti, il procedimento che tale visione sottintende è sempre stato storicamente falsificato. Per le ragioni già addotte. Se, per riprendere il tema principale del dibattito, l’animalismo liberazionista decidesse di intraprendere la strada indicata dall’amico Fragano, potrebbe ottenere anche notevoli risultati sia pure con molta difficoltà, ma otterrebbe risultati limitati alla mensa per vegan o a pochi altri obiettivi di mero protezionismo 3. Insomma si incamminerebbe in condotte-binario-morto, cioè risultati non suscettibili di perfezionamento ulteriore. Questo perché mentre la mensa ai vegan, o una seria legge di protezione degli animali di affezione o, persino, l’accompagnamento gentile dei bovini nelle mani del boia sono norme plausibili in quanto componibili con altri interessi, altri obiettivi sono in assoluto fuori portata perché non appartengono al “regno del possibile” della società specista.
Riassumendo. L’animalismo liberazionista non può pensare di ottenere la benchè minima soddisfazione alle sue pretese dalla società che non riconosce i suoi valori di fondo; nè, del resto, la società specista può trovarsi un giorno antispecista per graziosa presa di distanza da abiti criminali millenari. La società specista non può scoprirsi un giorno antispecista per aggiustamenti successivi. Essa potrebbe accettare le condotte-binario-morto se qualche cartello animalista decidesse di costituirsi e dare vita a una notevole azione di lobby, ma non può accettare le condotte liberazioniste perché fanno parte di una dimensione incompatibile non solo con la cultura dell’opinione pubblica – anche, certo – ma soprattutto con potenti forze che governano le menti e le volontà e fanno sì che le scelte si orientino sempre contro gli animali 4.
Riprendiamo un passaggio di Fragano.
Il problema è chiarire cosa si intende per politica. Essa non è prerogativa esclusiva dei politici, ma è alla diretta portata del singolo cittadino che fa politica nel momento stesso in cui compie un atto semplice come quello di acquistare un prodotto cruelty free. … allora anche un gruppo di pressione di cittadini è uno strumento politico, anche una protesta o un gruppo di persone che si prefigge uno scopo che riguarda lo Stato è uno strumento politico.
La Tesi 1, se vera, consegna la citazione e tutte le proposizioni equivalenti al più puro idealismo. A dispetto di una tradizione illusoria nata nel ’68, non è vero che “mangiando un gelato faccio politica”. La politica è attività della “classe politica” e va intesa come amministrazione, come conservazione delle strutture sociali e dei rapporti di dominio esistenti; essa costituisce lo strumento regolatore di una mostruosa realtà bloccata. Come è possibile “fare politica” chiedendo al nemico di contraddire se stesso? Se si pone una pretesa “raccordabile” con i valori fondamentali del sistema vuol dire che si consegna semplicemente alla politica il compito di valutare la plausibilità della richiesta sulla base della costellazione degli interessi che la politica stessa, e solamente lei, deve regolare; se pone una pretesa “incompatibile” allora si sbaglia procedura, luogo d’azione, interlocutore.
Dato allora per scontato che l’animalismo pone pretese “alla lunga incompatibili” con il sistema politico-sociale entro il quale agisce, quale procedura, luogo d’azione, interlocutore dovrà scegliere? La risposta presuppone un’idea alternativa di “politica”. Non occore inventare niente:
Tesi 2: “politica” è anche l’azione di un soggetto che si istituisce come antagonista allo stato di cose esistente per cambiare la società partendo dai fondamenti, sia pure in una prospettiva temporalmente indefinita, e disvelando i meccanismi di condizionamento in cui essa è stata gettata.
Questa seconda attività “politica” la si compie, a differenza della prima, infrangendo, con uno strumento politico organizzativo adeguato, le regole del gioco che molti pretendono eterne e immutabili 5. Dunque la procedura è il conflitto, non la collaborazione con le strutture politiche istituzionalizzate; il luogo d’azione è la società le cui pratiche speciste devono essere sistematicamente disturbate e nella quale deve essere condotta un’opera capillare di proselitismo; l’interlocutore è chiunque a sua volta rompa i fondamentali legami di alleanza ideologica e culturale con la società specista.
Del resto, Fragano stesso enuncia una proposizione che è possibile accettare come fondamentale:
Tesi 3: …il pensiero animalista è rivoluzionario, e come tale non può entrare a pieno titolo nella vita politica di un sistema che intende cambiare, pena l’abbandono dei principi stessi del pensiero rivoluzionario.
L’enunciato è così preciso che non richiede aggiustamenti di sorta fotografando in termini perfetti il ruolo dell’animalismo rispetto alla società attuale. Tuttavia è possibile che sia stato esibito come concessione retorica non ben ponderata nelle sue conseguenze. Con ogni probabilità Fragano non enuncia il suo asserto in un contesto logico-letterale; esso sembra piuttosto un’affermazione enfatica per definire qualcosa di molto eclatante sul piano culturale ma compatibile, via riformista, con una società e un sistema politico che perderebbero via via le loro caratteristiche speciste in virtù del lavorìo di lungo periodo delle istanze animaliste. Ciò si deduce da alcuni passaggi della sua relazione.
(1) Vorrei far notare ad Aldo ed Eliseo che anche fare lobby è un atto politico, (2) …anche “infiltrare” persone animaliste all’interno di un partito è un atto politico. (3) … [si] potrebbe invece entrare in un piccolo partito e minarne l’operato dalle fondamenta. NON perché si crede in quel dato partito, ma perché è alla portata, e può rappresentare un buon trampolino di lancio per poter avere accesso all’esercizio del potere (tornando alla mia definizione di politica).
Sulla base degli assunti precedenti (Tesi 1-2-3), il primo capoverso enuncia una proposizione non sostenibile. Fare lobby NON è un atto politico. Lo sarebbe, invece infiltrarsi, all’interno di un partito. Tuttavia, assumendo nuovamente le tre Tesi, è assurdo che si possa lavorare all’interno di un sistema politico che ripudia approcci rivoluzionari al problema animale, oltrechè umano. Così, i due capoversi successivi diventano plausibili solo come ipotetico atto di disturbo all’interno delle file del nemico, ipotesi assai stravagante allo stato delle cose, ma da tenere sempre presente come possibilità tattica.
Allora? Allora è difficile immaginare che si possa uscire dalla palude dello specismo senza la fondazione di un partito che faccia organizzazione, cultura e movimento avendo ben chiara la funzione che si autoattribuisce: l’inizio di un processo di fuoriuscita dalla società specista e la crescita di un soggetto politico che agisca in opposizione allo stato di cose esistente per cambiare, in tempi lunghi, le basi della società, infrangendo le regole del gioco e disvelando i meccanismi di condizionamento che descrivono la realtà attuale e le sue “eterne e immutabili” leggi.
Ora però sopraggiungono ulteriori complicazioni ben condensate nei passaggi seguenti dell’amico Fragano:
– Rimane però un problema ancora irrisolto e grave. … io non vedo nessun movimento animalista in Italia. Un movimento credo debba almeno presupporre delle linee guida, dei principi fondanti condivisi da tutti gli aderenti al movimento stesso, dovrebbe inoltre includere delle forme organizzate al suo interno utili per decidere le strategie e per organizzare la vita del movimento, tutto questo non esiste in Italia ……. – Quali sono i principi fondamentali da osservare per potersi fregiare dell’appellativo di animalista? Un vegetariano è animalista? Un carnivoro che fa volontariato in un’associazione animalista lo è? – Fino a quando non si stileranno dei precisi principi da rispettare, non si potrà parlare di movimento animalista e non si potrà parlare ovviamente nemmeno di politica animalista.
In effetti, senza direttrici definite, tutt’ora mancanti, ogni azione politica è paralizzata. Inoltre è anche possibile commettere formidabili svarioni nella pratica quotidiana e creare l’effetto indesiderato di alimentare distruttive tensioni tra militanti con orientamenti affini. Le recenti e gravi conflittualità tra gruppi che fino a poco tempo fa collaboravano non sono forse attribuibili all’assenza di direttrici definite? E’ possibile, a titolo d’esempio, pubblicare “Dichiarazione di Guerra” e intrattenere rapporti con personaggi equivoci? Ogni risposta possibile – sì-no-no,ma-sì,se-puòdarsi – deve poggiare su ben altri presupposti rispetto a quelli fin qui esibiti dalle parti in causa. Quelle che Fragano chiama “direttrici definite” altro non sono che le fondazioni teoriche ancora inesistenti del movimento. Gli animalisti hanno perso troppo tempo dietro impianti di filosofia morale (Regan, Singer) che alla lunga sono diventati stucchevoli e insopportabili. Non è il momento di trasferire l’interesse dalla filosofia morale alla filosofia politica? Non è giunta l’ora, preso atto che lo specismo esiste, che si incominci a pensare come deve essere combattuto?
Ma quale “soggetto” deve preoccuparsi di dare corpo a tali direttrici? Esiste una sola risposta: quello che ritiene di doverlo fare. L’allargamento della base del consenso è importante per garantire un futuro fecondo di possibilità, ma una volta assodato che per condizioni storiche, politiche, culturali, finanche caratteriali, non è possibile superare una soglia di consensi adeguata, allora le risorse umane che decidono di tentare la via, provvedono da sé. Devono tentare un coraggioso bootstrap. Stilano i principi e li diffondono. Se sono fecondi, se interpretano esigenze potenziali fino a quel momento latenti, si propagano quasi spinti da una forza invisibile e inizia un processo ricco di prospettive. Se non sono fecondi il tentativo fallisce. Ma la situazione non può peggiorare rispetto all’attuale immobilismo. Invece, in caso si riesca a risvegliare attenzione e interesse, si passa a definire le forme di organizzazione e a decidere i programmi con le relative tattiche e strategie per perseguirli. Dunque il problema non è più: “com’è triste lo stato delle cose!”, bensì “esistono degli attivisti che sentono necessità di avviare un processo di trasformazione della realtà?”. L’esperienza nasce quando persone che si pongono la seconda domanda si incontrano e decidono di dare una forma e un supporto teorico, materiale e organizzativo alla Causa. Dunque:
Tesi 4: “L’edificazione di un soggetto politico trova fondamento in se stesso e non altrove.”
Alessandro Rossi
1 Occorre considerare che diversi filosofi della politica hanno ben rilevato come la lobby prefiguri più che una componente della democrazia rappresentativa in senso stretto, una specie di ritorno al medioevo, somigliando a quelle strutture che allora prendevano il nome di corporazioni. Cioè strutture interposte tra gli individui e il sovrano.
2 Ogni “Presa della Bastiglia” non presuppone la caduta della testa del re, ma è sicuro che implichi un necessario trauma di passaggio.
3 Per ben che vada. Il fatto che la legislazione italiana presenti poche norme e fondamentalmente inapplicate dimostra che anche a questo livello i risultati si otterrebbero con estrema difficoltà, ma dipenderebbero in qualche modo dalla forza con la quale verrebbero richiesti.
4 Non solo contro gli animali, ma il discorso viene qui limitato al contesto della discussione. In realtà le liberazioni degli animali e degli umani sono tutt’uno: affrancamento da una tradizione infinita di offuscamento sulle ragioni della sofferenza e dell’alienazione.
5 Può sembrare una battuta divertente immaginare di cambiare alcunchè in un contesto sociale bloccato e potente, ma un soggetto politico che intende operare una grande trasformazione di valori non deve porsi problemi di tempo o agire come se dovesse ottenere risultati per il giorno dopo. Il suo scopo, all’inizio, consiste nell’aprire un “regno del possibile” nell’immaginario collettivo
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Lettera aperta
Due parole sul dibattito per la struttura politica del movimento animalista.
Francesco Guerini
24-10-2004
Agli attivisti del movimento animalista
Cari Amici, ormai sono anni che seguo (da lontano) il fervore dell’attività animalista sul web e attraverso le azioni materiali di tutti voi. Seguo anche le varie liste di discussione e le scaramucce che ogni tanto si verificano e credo di voler, una volta, dire la mia (e accompagnarla con qualcosa di concreto).
Essendo quel che siamo sappiamo che:
UNO) La maglia organizzativa che ci vuole cittadini e consumatori di un certo tipo limita di fatto la nostra (e l’altrui) libertà di scegliere e di consumare, vincolandola a una stuttura che non risponde a bisogni reali, non solo materiali, l’unica forma di alternativa è l’astensione: NON mangio carne e latticini, NON vesto lana, NON compro da aziende che opprimono la vita, eccetera; il boicottaggio come prima arma del dissenso è adottabile da chiunque (nel mondo occidentale) e tutti noi l’abbiamo adottata.
DUE) La Politica locale e nazionale non è ancora attenta alle questioni del rispetto animale. I partiti, ad oggi, sono ciechi, sordi e muti e con essi il cittadino medio comune che, pur essendo sostanzialmente in accordo con molte delle richieste che gli animalisti fanno alla società, non aderiscono o non trovano modo di collegarsi alla rete animalista.
Sul primo punto siamo già attivi e attenti mentre sulla questione politica e sociale il movimento animalista in Italia non ha ancora riscosso l’attenzione che meriterebbe. Pur essendo ancora giovane penso di aver maturato un’idea sulle possibili cause di questo ritardo.
La questione del rapporto con i cittadini.
Mi capita spesso di osservare un certo comprensibile romanticismo nell’atteggiamento di alcuni (molti?) attivisti e aderenti: un voluto distacco tra NOI e (diversi kilometri sotto) LORO, i vegetariani e i non vegetariani, gli animalisti e i non animalisti, quasi ci fosse del godimento a marcare una differenza che ci rende migliori, romantici spettatori di un disastro causato dagli altri.
E questo è un grave difetto di stampo sinistrorso, una sagace vignetta di Altan ne delinea bene il profilo:
«la costituzione è in pericolo!»
«interveniamo, o ci riserviamo il piacere di dire che l’avevamo detto?»
Affinchè le cose cambino un grande fetta di cittadini comuni deve potersi avvicinare ai problemi e scoprire che su molte cose la pensa esattamente come noi: quanta gente in Italia approva la caccia? Quanta ama la vivisezione? Il fatto che materialmente gli italiani in massa non modifichino i propri comportamenti in modo da evitare pesanti conseguenze per gli animali non significa che non potrebbero appoggiare iniziative di questo genere o scegliere di acquistare prodotti cruelity-free;
Molti attivisti questo l’hanno capito e penso ai comitati di cacciailcacciatore che sono ben fatti e ben organizzati, le informazioni sono raccolte e diffuse col preciso intento di informare il maggior numero possibile di cittadini, anche mettendo in secondo piano la questione prettamente animalista. Cacciailcacciatore fa leva sulla pubblica sicurezza come argomento per la diffusione del dissenso con una strategia sicuramente efficace. L’importante è l’obiettivo finale: salvare vite animali.
La questione del rapporto col mondo politico.
Premesso che dell’ambiente politico italiano si è legittimati a pensare molte cose, dalle buone alle cattivissime, credo che se gli animalisti italiani non prendono in considerazione di relazionarsi strutturalmente con la politica tutto diventa molto più complesso. Non mi riferisco solo ai singoli animalisti ma alle organizzazioni.
Recentemente la lettera di Paolo Ricci sulle tre vie percorribili ha generato un piccolo maremoto, si stanno attualmente scrivendo diverse risposte alla “lettera aperta allo staff OPA” e devo dire che anche lì son molto ben visibili i difetti di un certo attivismo intellettuale sinistrorso attento alle questioni di principio più che agli obiettivi. La cosa mi sconforta alquanto, soprattutto perchè su un sito web con un target il più vasto possibile si fanno interventi francamente incomprensibili (ma da non capirci nulla) a chi non abbia solide conoscenze in filosofia e scienze politiche. Questo è veramente seccante, soprattutto se si pensa che le grandi multinazionali coprono tutti i loro sporchi affari semplicemente attraverso una comunicazione ben studiata e noi non siamo nemmeno in grado di parlarci tra di noi. Assolutamente inconcludente, immaginiamo un comune cittadino che volesse per curiosità avvicinarsi alle questioni del rispetto animale doversi snocciolare una pippata incomprensibile: scapperebbe a gambe levate.
Personalmente credo che le associazioni animaliste debbano cercare un rapporto strutturale con il mondo politico e cominciare a far pesare il buon numero di elettori che oggi possiamo vantare. I vegetariani sono il 5% della popolazione, con gli animalisti non vegetariani la percentuale aumenta. Non sono cifre trascurabili.
Personalmente credo che in cambio del miglioramento di migliaia di vite animali (milioni?) anche io, iscritto ai DS e alla Sinistra Giovanile, sarei disposto, come Paolo Ricci, a votare per Belzebù anche se certamente molto malvolentieri. Ovviamente ci sono delle contraddizioni in questo, ma altrettanto ovviamente posso nel frattempo attivarmi per evitare di giungere ad una situazione tanto dolorosa; c’è ancora il tempo per instaurare un dialogo con i partiti che già ci semi-rappresentano, alcuni di noi hanno già incominciato a farlo a livello locale.
Non è una follia cercare di riformare il proprio partito cercando di renderlo più giusto nei confronti di tutti (e forse più semplice che creare un partito animalista); in alcuni casi è più facile che in altri: le stesse statistiche OPA dimostrano che alcune aree del centrosinistra sono più avvicinabili del resto dell’arco parlamentare; e proprio lì potrebbe essere possibile intervenire, proponendoci come movimento numeroso e determinato.
Per fare questo occorre un’organizzazione politica di tutti gli animalisti che sia in grado di esibire un coordinamento e una massa unitaria di voti in grado di fare la differenza, di essere finalmente uno dei bacini elettorali lusingato e coccolato dai partiti (oltre che un capace ed efficiente strumento di consulenza e consiglio).
L’avremo notato tutti: cosa sono le “malefatte” evidenziate dall’OPA se non generose concessioni a piccoli e grandi gruppi elettorali? Perchè noi Animalisti non dobbiamo permetterci di vendere (si, vendere) il nostro voto in cambio di una politica più giusta per migliaia (milioni?) di animali? Perchè solo noi dobbiamo avere questi sconvenienti scrupoli morali? Siamo migliori degli altri? Certamente no, se consideriamo la nostra dignità personale più importante di migliaia (milioni?) di vite animali.
Scrivo tutto ciò perchè credo che il movimento animalista italiano, se privo di un coordinamento politico, non potrà sostenere nessuna battaglia efficace, frustrato dall’assenza di una rappresentanza (in realtà credo anche che se la sinistra non si apre all’animalismo è destinata a sparire, ma questa è un’altra storia). Sappiamo cosa possiamo fare individualmente: è la nostra vita di ogni giorno e non è sufficiente (la condizione animale peggiora nonostante l’aumento dei vegetariani). Se manca uno strumento collettivo non ci sono speranze di ottenere miglioramenti strutturali e l’unica chance attuabile da subito è la lobby politica e va accettata in mancanza di strumenti meno indigesti.
L’OPA è l’ideale punto di partenza per gestire questo coordinamento politico in grado di concretizzare e diffondere le richieste che i gruppi animalisti fanno ai partiti.
Ovviamente do da subito la mia disponibilità per tenere i contatti con la rappresentanza politica locale del mio partito.
A presto
Francesco GUERINI
czec@ecorete.it
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Roma 4 Novembre 2004
Una domanda: Quale è lo scopo dell’Osservatorio Politico Animalista?
Paola Bozzi
04-11-2004
Caro Staff di OPA e CacciaIlCacciatore,
tempo fa vi avevo fatto una domanda sollecitata da alcune provocazioni colte nella lista animalista di peacelink:
Quale è lo scopo, l’obiettivo ultimo dell’ Osservatorio Politico Animalista?: solo documentare passivamente quello che fanno i politici; oppure anche orientare e stimolare la nascita di un movimento politico o di una forza sociale, chiamiamola pure Lobby animalista, antitetica alla lobby dei cacciatori e di tutti i “nemici” politici degli animali?
La domanda era sorta dopo un’affermazione fatta da un’interlocutrice nella lista che mi aveva fatto notare, con tono polemico, che CacciaIlCacciatore non è un sito riguardante il problema animale ma è rivolto piuttosto al problema della sicurezza dei cittadini messi in pericolo dai pallini “vivaci” dei cacciatori sparati nelle campagne e in vicinanza di abitazioni.
Leggendo queste affermazioni ho pensato che anche se il sito fosse rivolto solo ai cittadini e non agli animali, avrebbe, comunque, il fine implicito di combattere la caccia e a guadagnarci saremmo comunque tutti, uomini e animali. Inoltre, conoscendo i promotori so che il sito non è rivolto solo ai cittadini, e che le modalità di comunicazione usate hanno la valenza tattica di portare la problematica della caccia al comune cittadino, il che vuol dire cercare il suo appoggio per combatterla.
Escludere a priori un’apertura verso coloro che vivono ancora in un’ottica antropocentrica e carnivora vuol dire rinunciare a comunicare le nostre idee sul fronte più difficile, che è quello di coloro che ancora la pensano diversamente, ed è composto dalla gente comune e disinformata.
Purtroppo l’Italia – più di molti altri paesi occidentali – ha una cultura fondamentalmente antropocentrica e carnivora, sia per il retaggio culturale e religioso di stampo cattolico, sia per la “grande” tradizione culinaria. Il non umano è, infatti, da noi considerato un grande serbatoio di risorse prive di anima, mere cose da consumare e manipolare a piacimento.
Questo atteggiamento culturale è dovuto in parte anche alla mancanza di informazione e di sensibilizzazione a certe problematiche legate all’ambiente e al rispetto di piante e animali, che dobbiamo imparare a riconoscere come esseri viventi che reclamano diritti.
Come è possibile abbattere queste barriere culturali che sembrano invalicabili?
Innanzitutto comunicando, nella maniera più ricettiva e aperta possibile, messaggi comprensibili a tutti, non solo agli animalisti. Sarebbe perciò necessario utilizzare una comunicazione semplificata con strumenti di mediazione linguistica capaci di far recepire il messaggio biocentrico e antispecista in maniera non aggressiva mediante un linguaggio comprensibile alla stragrande delle persone.
Oltre a sviluppare un lavoro politico, bisognerebbe fare innanzitutto un lavoro culturale profondo e difficile, che richiede la sospensione momentanea di parte delle nostre posizioni più dure. Questo senza perdere o snaturare le caratteristiche essenziali del movimento.
La cultura antispecista e i suoi obiettivi sono il traguardo finale da raggiungere, ma i mezzi da utilizzare per raggiungere quel traguardo potrebbero essere differenti ed esulare temporaneamente dalla nostra visione etica.
Se vogliamo che i nostri valori trovino il giusto spazio, il giusto significato e il logico sviluppo in una società ancora arcaica e reticente verso tematiche animaliste, dobbiamo utilizzare mezzi adeguati che trascendano la concezione manichea dei “pochi ma buoni”. Dobbiamo diffondere le nostre idee ovunque, accogliendo nei nostri gruppi chi ancora non riesce vedere la realtà con nuovi occhi e aiutare a pensare l’alterità non umana in una nuova prospettiva etica. Per questo serve un grande e difficile lavoro di dialogo e mediazione culturale.
I cacciatori si muovono uniti tatticamente, e seguono una loro visione a volte demagogica (ad esempio quando si travestono da ecologisti e protettori della natura per far presa sul comune cittadino); essi hanno una loro cultura e sanno benissimo come trasmettere i loro messaggi; sono capaci di pressioni politiche strategicamente perfette, e pur essendo una minoranza – equivalente all’1% della popolazione italiana- si muovono come una lobby vincente. Pur avendo diverse tendenze politiche i cacciatori riescono ad ottenere comuni obiettivi politici, esercitando pressioni sui partiti di ogni colore a seconda delle realtà regionali e delle contingenze legislative.
I cacciatori mai rinunciano alle scelte politiche personali e ai loro “valori” ma uniscono le loro forze al momento giusto secondo la logica universale delle lobby vincenti, che dice:
“Tu avrai i nostri voti se farai come ti chiediamo”.
Perché i cacciatori vincono le loro battaglie politiche e gli animalisti no?
Forse perché riescono ad avere un’identità e degli obiettivi univoci e non pluralisti come accade agli animalisti, che tendono ad essere dispersivi soprattutto nel metodo?
La debolezza degli animalisti sta nell’impossibilità di comunicare e unirsi tra loro?
C’è tra noi una letale incapacità di unirci strategicamente?
Forse gli animalisti sono immobilizzati dal loro senso di giustizia morale che non gli permette di agire seguendo strategie coerenti – e, forse, secondo loro “machiavelliche” – come quelle dei cacciatori?
La petizione non è già una forma di lobby?
Perché la lobby politica animalista non dovrebbe funzionare, mentre si pensa che le petizioni funzionino e uniscano migliaia di persone che hanno posizioni comuni su determinate questioni, anche internazionali, come ad esempio la caccia alla balena?
Il boicottaggio turistico che deriva da questa protesta non è già una forma di pressioni lobbystica?
Le lobby affrontano i problemi singolarmente, ed usano lo stesso meccanismo della petizione, ma con una marcia in più: la pressione politica.
Perché le petizioni funzionano e le lobby politiche no?
La moltitudine delle persone che firmano in tutto il mondo contro la caccia alle balene o i massacri delle piccole foche non formano, de facto, una lobby?
Mi sembra che CacciaIlCacciatore, stia, in effetti, organizzando delle lobby “animaliste” composte da comitati di cittadini che si attivano per contrastare la “lobby” della caccia; questi “gruppi di pressione” non stanno unendo solo animalisti ma anche cittadini e operatori turistici.
Secondo il mio parere questa potrebbe essere la tattica vincente.
In questi comitati, infatti, vengono accolti tutti coloro che vogliono battersi contro la caccia per i più svariati motivi, anche per interessi economici e non solo etici.
Il mio motivo personale è profondamente etico: per me l’animale e la pianta hanno i diritti di una “persona” e perciò sono degni di rispetto. Ebbene, nella lotta io sarò – probabilmente – affiancata da un albergatore che non desidera vedere i suoi profitti polverizzati dall’orrore che provocano gli stermini dei cacciatori. Ma nel momento in cui l’albergatore difenderà gli animali anche lui comincerà a guardare con nuovi occhi il problema e forse diventerà animalista.
Sicuramente al mio fianco si schiereranno molti carnivori, li cacceremo?
O li aiuteremo a scoprire con nuovi occhi il mondo animale e vegetale?
Si legga la testimonianza del sabotatore inglese, intervistato da Ricci, che entrato nel movimento da carnivoro, si è, dopo qualche anno, convertito al veganismo, passando attraverso il vegetarismo.
Una lobby che si batte contro la caccia è, inesorabilmente, una notevole riserva di potenziali animalisti.
Quanti tra i componenti di questi comitati sono animalisti?
Quanti animalisti potenziali?
Quanti sono vegetariani?
Quanti sono vegetariani potenziali?
Cercando un obbiettivo comune, si uniranno anche le idee.
Queste forme lobbystiche embrionali si porranno obbiettivi politici e creeranno forme di pressione e, senza rinunciare alla propria visione politica, agiranno per il bene degli umani e degli animali, cercando di ottenere un cambiamento radicale.
Quello che manca al movimento animalista è un nucleo forte e orientatore capace di produrre cerchi concentrici di assorbimento culturale delle idee dei vari movimenti che più si avvicinano alla sua visione (ad esempio le idee dei gruppi no global, di sinistra, dei gruppi giovanili, dei circoli culturali ecologisti o di controinformazione sociale.)
Due anni fa lo stesso Partito dei Verdi, aveva proposto nei suoi programmi l’apertura e la gestione di Forum animalisti, ma forse per mancanza di organizzazione la cosa è rimasta lettera morta. Perché non riproporre qualcosa del genere?
Io parlo da osservatrice con nessuna competenza politica, ma seguo l’andamento delle varie correnti animaliste, e purtroppo non vedo mai un momento di unione, di conciliazione, di simbiosi per il raggiungimento di obiettivi comuni. E penso che questo sia uno dei più grandi limiti e ostacoli da superare da parte del movimento.
Il movimento animalista si presenta come un grande caleidoscopio senza forma stabile.
I cacciatori, invece, la hanno. E sono politicamente e strategicamente solidi.
Nell’animalismo impera la frammentazione e i più si battono da soli, come cani sciolti in battaglie lunghe e frustranti.
Ma la forza esiste principalmente nel numero e nell’organizzazione.
Manca uno spazio culturale omogeneo di comunicazione e identità, questo è il grande problema, forse bisognerà lavorare molto sulla costruzione di questa identità.
L’Osservatorio Politico dovrebbe monitorare e unire le tendenze del movimento rispetto alla battaglia politica animalista, e fungere da mente organizzatrice del programma. CacciaIlCacciatore invece, che è la parte pratica di questo programma, dovrebbe realizzare gli obiettivi secondo specifiche strategie.
Se i Comitati anticaccia riusciranno a nascere e a diffondersi significherà che il progetto della svolta politica animalista sarà già in atto e, a quel punto, l’OPA potrà monitorare e raccogliere le opinioni dal movimento che, forse, riuscirà a crescere e a uscire dal suo autismo compassionevole pieno di potenziale energia rivoluzionaria.
Cerchiamo di unire le idee e le forze al più presto!
Grazie…ai promotori e a coloro che stanno tentando, attraverso l’apertura di questo scambio di idee, una svolta politica e culturale.
Paola Bozzi
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Lettera aperta allo staff OPA
Adriano Fragano
10-11-2004
Ringrazio Alessandro Rossi per quanto ha scritto, molto di ciò che argomenta è di assoluto interesse, ma credo che alcune sue analisi delle affermazioni da me fatte in precedenza siano troppo soggettive.
Se tentassi di rispondere punto per punto, il risultato sarebbe tedioso per tutti, quindi mi limiterò semplicemente a chiarire il mio punto di vista che si diversifica da quanto afferma Alessandro soprattutto nel metodo e non nel merito. Non so se questa mia potrà essere una risposta esauriente, forse non lo è, ad ogni modo vorrei almeno tentare di chiarire alcune tematiche.
La definizione di politica fornita nel mio precedente scritto, descrive assolutamente una visione idealistica che la società democratica ha di se stessa, come giustamente afferma Alessandro, la questione è squisitamente teorica e non pratica, ciò che le società democratiche enunciano è sostanzialmente diverso da ciò che poi mettono in pratica, un esempio eclatante è la passata elezione del Presidente degli Stati Uniti (eletto di nuovo questa volta a furor di popolo!!). In questo sono perfettamente d’accordo con Alessandro: il potere è controllato dalla politica che in questo modo gestisce la società, il singolo ha – a causa di questo meccanismo perverso – solo l’illusione dell’indiretto controllo del potere, in realtà non può nulla o quasi. La visione Orwelliana di Alessandro del sistema democratico (… rileva invece che questi sistemi sono organismi nei quali una entità corrotta si perpetua attraverso un condizionamento rigoroso degli umani, i quali non fanno altro che chiedere quello che il sistema vuole che essi chiedano) è assolutamente condivisibile e veritiera; l’eventualità dell’affermarsi di un’egemonia culturale animalista in seno alla società capace di fornire forti spinte socio-culturali atte a determinare il cambiamento del sistema, non ha, posta l’accettazione di quanto detto fin’ora, nessuna possibilità di successo.
La definizione di politica fornita da Alessandro fotografa uno stato di fatto, sarebbe giusto dire che è più pertinente, realistica; egli sottolinea un elemento di basilare importanza: “la società umana nell’epoca del trionfo del capitalismo è costituita da una infinità di sott’insiemi in perenne conflitto di interessi”. Il nocciolo della questione è esattamente questo. L’esercizio della politica, abbiamo appurato, è votato all’esercizio del potere, ma mai come oggi, esercitare il potere in uno Stato capitalista significa legarsi saldamente all’economia di mercato. Nessun Governo avrebbe la minima possibilità di esistere in una società consumistica come la nostra, se non legato saldamente alle vicissitudini dei grandi gruppi che controllano la vita economica del paese (inutile parlare dell’insistenza di chi ci governa attualmente nel voler abbassare le tasse…). Il paradigma dello stato-azienda, contrapporto allo Stato sociale, la dice lunga su questo legame, il successo di imprenditori che di colpo si inventano politici prima, e uomini di governo poi (definirli uomini di Stato sarebbe francamente troppo), è il risultato di tale fusione di interessi. In questo contesto quanto sottolineato da me sulla questione lobby è giustificato dal fatto che una lobby (ottima la definizione di Alessandro) rappresenta un gruppo di pressione accettato e digerito dal sistema, coccolato e assecondato dalla politica in quanto portavoce di poteri economici rilevanti, loro si, vero carburante di una democrazia nell’era del consumismo (lascerei perdere la questione del declino storico in tempi rapidi di tale sistema, lo si diceva già più di cento anni fa…).
La metodologia di approccio al problema che propongo credo sia ora più facile da condividere, fermo restando che il pensiero animalista è e rimane rivoluzionario, io credo che lo scontro frontale (se fine a se stesso), la costituzione di un partito animalista (perché è questo di cui parla Alessandro), la contrapposizione netta di interessi, in una prima fase NON porterebbero a nessun risultato, per il semplice fatto che culturalmente il pensiero animalista è troppo debole per sostenere lo scontro di interessi che si scatenerebbe in una società complessa e “poco lineare” come quella italiana.
Il problema (se può essere definito tale) è che il mio intento NON è quello paventato da Alessandro nella sua esposizione dei fatti, la questione animalista dovrebbe, a mio avviso, fare ciò che fino ad oggi pochi hanno fatto: imparare dal passato. I libri di storia sono pieni di tentativi più o meno plateali, più o meno diretti, di cambiamento della società, mai nessuno è però riuscito completamente se non grazie ad eventi storici di portata catastrofica come ad esempio un conflitto armato mondiale. Con tutta la buona volontà non credo di riuscire ad immaginare cosa potrebbe apportare la formazione di un partito animalista in una società come quella italiana attuale, credo invece che sarebbe molto importante esercitare subdolamente ciò che il dualismo politica-economia ci richiede come cittadini-consumatori, ossia una forte lotta improntata sul potere di spesa che di riflesso condizionerebbe le scelte politiche. In questo modo si potrebbe avviare una sorta di conflitto strisciante, imperniato su azioni a tutto campo che potrebbero portare l’attenzione dei mezzi di informazione ad occuparsi massicciamente dell’attivismo animalista, come avviene in Inghilterra, in questo modo si eviterebbe di tradire i presupposti dell’animalismo fondando un vero e proprio partito politico e “sporcandosi le mani”, e si otterrebbe l’unica cosa che davvero conta in questo momento per l’animalismo in Italia: il riconoscimento.
Il “bootstrap” di cui parla Alessandro, dovrebbe limitarsi a conferire un’identità all’animalismo, stilarne le regole, organizzarlo, solo così si potrebbe evitare di cadere nelle mille contraddizioni odierne, non è raro sentir parlare di animalisti che mangiano carne, la domanda è quindi: se c’è ancora gente che crede che anche chi mangia carne sia un animalista, come si può solo pensare di costruire qualcosa?
Ecco il perché del titolo: cambiare le regole del gioco… giocando. L’animalismo dovrebbe chiedere e pretendere, non pensare di sostituire, ma esercitare il potere dal basso forte del portafogli e della matita elettorale di migliaia di cittadini che ora sono isolati e spaesati, senza riferimenti, disorganizzati. Organizzazioni di consumatori, associazioni di cittadini, gruppi di pressione etc… potrebbero fare da elemento aggregante per tutti coloro che sanno cosa vogliono, ma non sanno come fare per ottenerlo.
Impariamo dai cacciatori: una lobby forte ed organizzata di persone con un grande giro d’affari ed interessi economici che premono sulla classe politica in modo massiccio e completo (da destra a sinistra allo stesso modo), pronti a votare chi assicura loro ciò che vogliono. L’animalismo rispetto alla caccia ha dalla sua parte la forza dei numeri, ma è totalmente diviso e disorganizzato, se solo si riuscisse a canalizzare la potenzialità di spesa e di influenza politica degli animalisti italiani, si otterrebbero dei risultati incredibili, in una società sempre più pilotata dalle indagini statistiche, le possibilità di riuscita aumentano giorno per giorno.
Bootstrap:
1. definire regole identificative dell’animalismo
2. aggregare gli animalisti in comitati di cittadini e consumatori
3. coordinare le proteste sotto l’aspetto economico e politico
4. fase di boicottaggio
5. avanzamento richieste politiche
Saluti animalisti.
Adriano Fragano
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In attesa che le illusioni si rivelino…
Mario Traverso
25-11-2004
Studia prima la scienza, e poi seguita la pratica, nata da essa scienza. Quelli che s’innamoran di pratica sanza la scienza son come ‘l nocchier ch’entra in naviglio sanza timone e bussola, che mai ha la certezza dove si vada.” — Leonardo da Vinci
E’ curioso notare come certe volte vi siano strane inversioni di posizione. Adriano ha correttamente denunciato l’immaturita’ del movimento suggerendo che, forse, questa parola e’ priva di referente reale. Altri, pur consapevoli della situazione reale, hanno, con una certa dose di provocazione, considerato scontata o quantomeno possibile una soluzione ancora prematura. Ma un organismo che nasce macilento ha modo di sopravvivere?
Un partito movimentista, antagonista, antisistema, conflittuale adeguato al portato rivoluzionario dell’antispecismo e’ l’unica soluzione per tentare una svolta dalle prospettive non ancora calcolabili. Per suo mezzo l’animalismo diverrebbe maturo e portatore diretto delle proprie istanze senza offrire deleghe. Tuttavia Sandro ha un bel sostenere che:
L’esperienza nasce quando persone […] si incontrano e decidono di dare una forma e un supporto teorico, materiale e organizzativo alla Causa.
Purtroppo questi soggetti non incontrandosi e non decidendo dimostrano di non esistere. Oppure, se esistono, non possiedono la fermezza programmatica e le capacita’ organizzative necessarie per reggere esperienze innovative per piu’ di una settimana.
La natura degli animalisti non permette di fare ancora passi in avanti. Per dare origine ad una organizzazione politica occorrono militanti che sappiano ragionare in modo politico e gli animalisti non sono in grado di fare questo e pertanto neanche di fondare quello. La maggior parte di loro si attiva su progetti locali e non sa immaginare qualcosa di ampio e organizzato. Quand’anche dimostri visioni piu’ larghe, rimane pur prigioniero di un occasionalismo senza sbocchi. Sia l’anima protezionista che quella piu’ impegnata liberazionista si ricompattano all’interno di una logica culturalista. Dicono che una ipotetica societa’ vegetariana nascera’ quando tutti gli umani interiorizzeranno l’etica che le corrisponde e non comprendono che giocano con una vuota tautologia. Ogni anima, secondo questo schema, va conquistata tramite una pratica della testimonianza. Cambia poco se si ricorre ad un timido banchetto o ad una liberazione. L’esigenza di quiete personale degli attivisti del primo tipo e il generoso e rischioso impegno di quelli del secondo si incontrano in una logica della contingenza che non modifica la sostanza delle cose e confluiscono in una triste assenza di disegno strategico. A dire il vero non e’ un vizio tipico degli animalisti perche’ sotto questo aspetto sono uniformati ad altri gruppi di protesta sociale che da tempo hanno accettato lo stile impotente della predicazione, non importa se con parole o con atti. Possiamo dire che dopo il crollo delle ideologie, nel tardo XX secolo, l’azione per il cambiamento si e’ indebolita fino quasi a scomparire.
L’animalismo in Italia si sviluppa nel tempo del Pensiero Debole e matura una psicologia che ne costituisce l’ostacolo vero. Ne abbiamo un esempio anche in questo ambiente. Il dibattito non decolla. E’ tenuto in vita dagli amici di Paolo Ricci, dalle insistenze di Aldo che ci ha intimato di produrre un articolo a testa e dall’idea di Adriano che si precisa sempre di più man mano che ritorna sull’argomento. In effetti negli ambienti animalisti la radicalita’ della questione animale non sembra veramente sentita, ma soltanto dichiarata. Se qualcuno espone ragionamenti razionali si ostenta disinteresse, quando non ostilita’. Non si sente, in generale, la necessita’ del confronto e ci si vieta cio’ che dovrebbe essere obbligo: l’analisi delle posizioni altrui per individuarne le eventuali debolezze. Neanche le proprie posizioni vengono approfondite. Spiace dirlo, ma in coerenza con i tempi del parlar facile, si dichiarano le proprie preferenze senza poggiarle su niente che non sia altro che mero desiderio. Talvolta si ricorre alla banalizzazione dei problemi e delle relative risoluzioni. Un esempio e’ apparso anche in queste pagine:
“le grandi multinazionali coprono tutti i loro sporchi affari semplicemente attraverso una comunicazione ben studiata e noi non siamo nemmeno in grado di parlarci tra di noi”
Ecco che si invoca la semplicita’ dell’argomentare, ma si trascura il fatto che la comunicazione semplificata della pubblicita’ parla al cervello arcaico dell’uomo proprio per inibire le facolta’ del ragionamento. L’indicazione e’ in contraddizione con la pretesa della crescita della consapevolezza tanto invocata da coloro che optano per la critica radicale della societa’ esistente; consapevolezza che impone piuttosto uno sforzo colossale di messa a punto di concetti di rinnovamento.
Anche l’intervento di Ricci e’ indicativo. Esso ha di sicuro un merito: la chiara percezione di come la questione animale non possa essere separata dalla rinascita di un progetto globale per l’uomo. Tuttavia il suo intervento non crea piu’ danni di quelli che intende rimediare? A parte la mescola di opzioni che come ha ben precisato Eliseo sono disomogenee, quel messaggio e’ la testimonianza piu’ evidente di una perdita di lucidita’ analitica tipica di tempi in cui si naviga a vista senza bussola, sestante e timone. Accenna ad un partito verde-animalista, ma chissa’ perche’ un partito animalista dovrebbe essere verde e non rosso, come consiglierebbe il fatto che stiamo parlando di diritti. Rivendica un partito logicamente schierato a sinistra, per poi affermare che l’idea che l’animalismo sia solo di sinistra e’ errata, e questo per appoggiare l’idea bizzarra di creare …la presenza di un folto gruppo animalista in AN per contrastare le posizioni di Alemanno e soci. Interpreta il veganismo-vegetarismo come indicatore-metafora di ogni radicalismo dannoso e inidoneo che alienerebbe le simpatie verso la rappresentanza di nuovi diritti. Ma non e’ strano rivolgersi a gruppi radicali chiedendo di spegnere la loro radicalita’? E poi espande il terreno della discussione, introducendo questioni troppo lontane per essere integrate, fino al punto in cui il bandolo della matassa viene perduto. Questo dimostra che l’approccio politico risulta difficile anche in chi lo esige. Figuriamoci se ci spostiamo in ambiti in cui per formazione culturale o per motivi anagrafici si manifesta allergia al solo sentir pronunciare quella espressione.
In questo quadro generale appare il ragionamento di sostegno all’ipotesi della Lobby animalista proposto da Ricci. Adriano e Francesco hanno avuto il merito di delucidare l’opzione in termini piuttosto precisi. Quello che essi propongono è un modello operativo ed è altra cosa dal parlare per slogan tipico dell’ambiente animalista. In particolare, l’ultimo intervento di Adriano risulta assai chiaro e ora si puo’ affermare che le sue tesi risultano ben delineate.
Vale comunque la pena di osservare che i due interventi non riescono ad aprirsi ad un vero confronto con la tesi opposta. L’incapacita’ appare netta nell’intervento chiuso e un po’ ostile di Francesco, mentre molto meno nel discorso aperto e animato da spirito dialogico di Adriano. Ma anche in questo caso il confronto si spinge solo fino a un certo punto evitando le stringenti conclusioni dell’intervento di Sandro e scivolando verso la conseguenza predefinita: la lobby animalista. D’altra parte non c’e’ da scandalizzarsi o sorprendersi. Le opzioni ultime di ognuno riposano su atti di fede e se atti di fede incongrui si incontrano danno luogo a petizioni di principio. In altre parole, per quanti sforzi razionali vengano compiuti per confrontare i punti di vista, non si riesce a raggiungere l’inesistente nocciolo razionale che assegnerebbe la verita’ a una delle parti in causa.
Fermo restando che l’ipotesi del partito è oggi irrealizzabile perche’ non si puo’ obbligare un movimento a sentire cio’ che non sente, non rimane altro che sostenere l’opzione di Adriano e Francesco. Ad un patto pero’. Che siano preliminarmente chiarite le situazioni le quali, realizzandosi, dimostrino che l’azione di lobby si rivela inconcludente. In altre parole si pretende il principio di falsificazione! E’ giusto sostenere i progetti altrui con convinzione e onesta’ se questi dimostrano di ottenere un consenso diffuso, ma fino a quando? fino a che la forza delle cose non si incarichi di dimostrare l’eventuale illusorieta’ della prospettiva scelta. Se si nega questo, il concetto di razionalita’ dell’agire umano crolla verticalmente. Possiamo permettercelo considerato che agiamo in nome del popolo massacrato?
Dunque, Francesco, se dopo averle tentate tutte, ma proprio tutte, non si caverà una pietra dal buco saremo almeno autorizzati a dire “l’avevamo detto!”? E, soprattutto, a quel punto avra’ senso prefiggersi una strada diversa?
Mario Traverso
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Necessità di un partito animalista
Francesco Caci
01-12-2004
Quando, prima delle elezioni, si formano le coalizioni, ogni partito cerca di far sì che il programma della coalizione si rifaccia il più possibile alle proprie tesi, essendo però cosciente del fatto che dovrà rinunciare a molte delle proprie istanze.
Ed è proprio questo il punto cruciale: se su dieci punti programmatici un partito ha la possibilità di farne accogliere solo tre, quali si adopererà a far passare, e a quali invece rinuncerà?
Per quanto noi possiamo tentare di “contaminare” con le nostre tesi i partiti in cui finora abbiamo militato nella speranza di dare voce ai senza voce nelle istituzioni, QUESTE NOSTRE ISTANZE NON COSTITUIRANNO MAI ELEMENTO DI CONTRATTAZIONE POLITICA AL MOMENTO DELLA STESURA DEL PROGRAMMA DI GOVERNO.
Sono quindi assolutamente convinto che sia arrivato il momento di creare un vero e proprio partito animalista. Se ciò non accadrà continueremo a non concludere nulla.
Considerate che nell’ambito di un sistema uninominale quale il nostro, anche un 3% di consensi elettorali è in grado di determinare la maggioranza di governo!
Francesco Caci
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IDEOLOGIE SPURIE, DIGOS, ARRESTI, LOBBY E LA GUERRA CHE VIENE
Paolo Ricci
04-01-2005
Il problema serio è che qualcosa che nasce, come l’animalismo radicale, venga immediatamente annientato alle prime difficoltà. Nel movimento animalista radicale (chiamiamolo così) c’è la possibilità che le difficoltà esperimentate – come gli arresti domiciliari, la Digos e l’incredibile eruzione di anatemi anarcoidi verso eroi caduti – portino ad una ulteriore frammentazione del movimento o addirittura al suo annientamento. Concludere il dibattito – largamente ignorato – in questo momento è cosa corretta. Fatto questo prendiamo atto della devastante desolazione, scuotiamo i sandali – come invita a fare il vangelo – e muoviamoci verso altre direzioni.
Il pericolo è restare impantanati nelle sabbie mobili della follia ideologica, del ciarlare inane internettiano, nella bolgia del rock n’roll anarcoide destinato, col tempo, alla sua solita estinzione naturale. Prendiamo atto che queste monadi, che orbitano nel firmamento dell’animalismo come schegge impazzite – hanno la capacità incredibile di rigettare qualsiasi forza emergente e di alienare profondamente e irreversibilmente tutto ciò che si spinge – timidamente – verso di loro.
E’ il gioco del campo di ossa ove ogni fesso è re. Ove ogni nevrotica è regina. Ove ogni squilibrato è imperatore. Tutto ciò, pur essendo una cosa tristissima, è parte del gioco dei movimenti nascenti. Trasformare eroi in “giuda nazisti” è il gioco scellerato di movimenti che vanno costituendosi. Ne sappiamo noi qualcosa che abbiamo vissuto il Sessantotto.
In quegli anni una pletora di gruppuscoli folli cercava di instaurarsi come testa pensante di ipotetiche masse. All’animalismo radicale succede la stessa cosa. Uno contempla frastornato l’orrore suicida che trasforma nel vero nemico, non il cacciatore o il vivisettore, ma l’animalista che non è d’accordo, che cerca nuove vie, che cerca più vaste alleanze. E tutto questo ricorda la lotta sciagurata tra stalinisti e troschisti. Ricorda Trozsky divenuto una raffigurazione del male più pericolosa degli stessi nazisti. E poi vinse Stalin e sappiamo come tutto è finito. Il mondo va così. Prima il chiacchiericcio – atrocemente ampliato da Internet – che esalta ogni singola follia, poi, col passare del tempo, si cambia. Ci si trasforma. Si capisce meglio. Si matura.
Ricordo che alcuni amici – che nel Sessantotto si rifiutavano di entrare a casa mia perché detestavano, come le Guardie Rosse di Mao, le raffigurazioni dell’arte moderna borghese – approdarono più tardi ad altri lidi; ed ora sono con Fede, Bondi, Cicchito e la ciurma previtiana a tessere lodi a Mediaset, al libero mercato e al grande leader che ci ha salvato dal comunismo.
Magari, qualche feroce lapidatore del “reprobo” Max Tettamanti, un giorno diventerà segretario dell’Arcicaccia. Io, i grandi rivoluzionari li vidi arrivare una volta in Albania in due bus differenti. Fu un grande momento di ideologia fantozziana. Un gruppo giunse con mogli, amanti e bambini per ricevere il placet di Hoxha; un altro – sempre con coniugi, rampolli e concubine, esitava, tentennava a ricevere la benedizione, voleva essere convinto, perché in quel momento (era il 1978) tendeva ideologicamente più verso Pechino e c’era aria di scisma tra Albania e Cina.
Il leader dei marxisti “albanesi” lo rividi anni dopo in America mentre tesseva lodi ai Repubblicani reganiani e mi disse: “Il popolo non ci ha voluti e io ora faccio soldi a palate!”
La guida che mi accompagnò in giro per l’Albania e mi distrusse pontificando per tutto il tempo e suggerendo tesi astruse su una eventuale rivoluzione italiana che doveva unire le masse rurali e la classe operaia approdò come il pio Enea, con le prime carrette galleggianti, ai lidi italici.
“E il libro di Enver Hoxha che mi suggerivi sempre di leggere “Avec Staline” te lo sei portato dietro, cara?” le chiesi “Vai a fotterti tu, Stalin e Hoxha!” mi rispose. Depositò le natiche su un bianco divano e si mise a guardare la Carrà davanti al televisore. E non ha più smesso ed anche adesso segue estatica Bonolis e le gemelle Lecciso. Così va il mondo. Certo quando esistono contrapposizioni così letali come quelle esistenti tra Tettamanti e i gruppuscoli che lo osteggiano non c’è altra via che prendere altre direzioni: navigare verso altri lidi. Qualsiasi altra via è errata. Occorre un taglio drastico. Il florilegio delle infamie internettiane continuerà ma quello è parte del gioco. Bisogna ignorare e procedere. Bisogna stoicamente sopportare e trascendere.
Traverso dice una cosa giustissima quando scrive che il dibattito sulla svolta politica è stato ignorato. Spiega: “Noi abbiamo scritto solo perché ce l’ha imposto Sottofattori.”
Spiega che il dibattito ha avuto luogo solo perché gli amici di Ricci (sic) hanno scritto e noi siamo stati costretti a rispondere. Molto edificante!
Vorrei precisare a Traverso che io conosco bene solo Paola Bozzi e Aldo Sottofattori, Matteo Preabianca non l’ho mai incontrato, Francesco Guerini l’ho visto una sola volta a Monza, Max tre volte a Milano, Monza e a Varese e la Berati non ho mai avuto il piacere d’incontrarla.
Prendiamo atto che la cosa, come scrive giustamente Traverso, non interessa a nessuno e chiudiamo questa parentesi desolante. La svolta politica non desta interesse perché c’è solo la necessità di preservare i campetti d’ossa e chiudercisi dentro per scrivere le eterne, inani chiacchiere e le pippate professorali su Cartesio che non aiutano assolutamente nessuno. Però una cosa vorrei dirla a Traverso e agli amici di Rinascita Animalista: il discorso sulla lobby è stato già assimilato ed è già in parte funzionante. Chi doveva udire ha udito. Questo solo mi interessava e non provocare la solita tempesta di insulti. E credo che la tempesta di insulti sia stata evitata solo grazie a Sottofattori perché immagino, dai toni – ma forse è solo un’impressione – che alcuni suoi amici fossero pronti per la solita rissa ideologica.
Importante è ora capire quanto sia forte la “struttura embrionale” che si sta muovendo nella direzione della “lobby”. Perché se la “struttura embrionale” soccombe intimorita dagli eventi e affonda nel silenzio offeso allora è tutto finito. Se coloro che l’hanno avviata restano silenti per un lungo periodo e poi riprendono la lotta allora va bene; allora tutto si definirà meglio. Ma se gli iniziatori della svolta svaniranno alle prime difficoltà, allora è “buonanotte ai suonatori”, arriveranno i pagliacci, calerà il sipario e sarà notte. Anche se la notte non durerà a lungo. Il discorso animalista non può essere soggetto alle restrizioni della follia demenziale attuale. Certe cose troveranno necessariamente uno sbocco. L’animalismo e la difesa del pianeta sono onde anomale inarrestabili. Non saranno i campetti di ossa con le loro filosofie surreali ad ostacolare quello che giungerà, improvviso, “come un ladro nella notte.”
L’arresto domiciliare della Berati e la Digos a casa di Tettamanti, di Sottofattori e di altri?
Via…è inutile spiegarlo noi siamo il paese che siamo. La Berati finisce agli arresti domiciliari mentre Dell’Utri ci propina sermoni socratici in una tenda – teatro tra la borghesia plaudente e giovani mercenari estatici. Qui, dove vivo, il povero Blunkett è stato maciullato dalla stampa – fogna, massacrato dall’opposizione per un evento irrisorio mentre da noi Cesarone Previti, romano verace e pittoresco, imperversa in Parlamento e Andreotti è considerato un nume tutelare.
Sorprenderci per la Berati? Ma via…noi siamo il paese che concede spazio ai delinquenti, e massacra i giudici con il consenso popolare. E non è vero che i nostri politici sono corrotti, noi, popolo, siamo corrotti se concediamo ancora oggi – dopo la devastazione prodotta dal governo di centro destra – un consenso vastissimo a Berlusconi. Il Polo in un paese democraticamente compiuto sarebbe al 3% non al 46-47% come è oggi da noi. In un paese democratico Previti e soci sarebbero finiti da tempo in gattabuia. E qualcuno avrebbe buttato le chiavi della cella.
Da noi è la Berati che finisce agli arresti domiciliari e non Mattioli che apre i parchi ai cacciatori.
Cosa che in Inghilterra avrebbe scatenato un’insurrezione armata.
La classe politica è espressione di un popolo. O parte di un popolo.
E se siamo una “Repubblica delle bandane” perché sorprenderci per gli arresti domiciliari della Berati? Ma è parte del grande gioco che ci relega nel mondo al 42mo posto della corruzione mondiale e al settimo di quella europea. Quelli siamo. Guardiamoci allo specchio. Anche se va riconosciuto che come gli americani – che in 48 milioni detestano Bush – siamo un popolo diviso con una opposizione ridicola e fatalmente suicida composta da uno schieramento che va dai troschisti di Rifondazione agli allegri democristiani di Mastella.
Nell’animalismo non ci sono scorciatoie.
La grande battaglia della “caccia alla volpe” (disprezzata dalle somme intelligenze animaliste nostrane perché insignificante) che è effettivamente marginale, è ancora in corso, non è ancora conclusa. E stiamo parlando di un paese che ha un livello altissimo di vegetariani, vegani e agguerriti animalisti. Per vincere la battaglia della “caccia alla volpe” ci sono voluti circa 80 anni.
Pensate che tutto cominciò nel lontano1822 – il primo presidente della Lega fu George Greenwood eletto nel 1925-26 – e che oggi, agli albori del 2005, la battaglia non è ancora conclusa perché Blair, intimorito dalla forza dei pro-caccia, vuole procrastinare l’esecuzione della legge. Il “Parliament Act” del 18 Novembre 2004, quindi, non ha ancora chiuso la controversia.
E se questi sono i tempi per ottenere una vittoria marginale immaginate cosa ci vorrà per smuovere la gente verso la chiusura dei macelli. Quelli che pensano a una scorciatoia pensano forse al terrorismo. Ma quello è un terreno minato. Non percorribile anche se, prima o poi, brutalmente, ci investirà. Quello che ho notato e che mi ha colpito nella lotta contro la “caccia alla volpe” (e di molte altre specie) è il fatto che già nel lontano 1979 il manifesto elettorale dei laburisti si impegnava per l’abolizione della “caccia alla volpe”. Se qualcuno riuscisse a spingere uno dei nostri tentennanti partiti, tipo i DS, ad accettare una sostanziale condanna della caccia sarebbe un miracolo. Ma le somme intelligenze animaliste hanno decretato che quella è una perdita di tempo, perché la caccia sta morendo da sola (ed è falso dal momento che la LAC ci ha informato che “Il numero dei cacciatori in Italia da circa 5 anni si è stabilizzato intorno agli 800.000” che, nel 2002, i cacciatori sono stati 800.457, che nel 2000 erano 801.835 e nel 2001 erano 791.848 e quindi sono in crescita di quasi 10.000 unità) e i macelli sono cosa più oscena dei massacri venatori. Giusto! Ma gli inglesi hanno capito che certe vie sono percorribili in questo momento storico e altre sono sbarrate dall’orrore del tempo. Piace ai vegani inglesi concentrarsi solo sulla “caccia alla volpe”? Certo che no! Ma seguono un disegno strategico a scalare perché sanno che una cosa tira l’altra e la lotta fortemente aggrega.
Quello che i signori nostrani dei campi d’ossa non capiscono é che una lotta del genere – marginale che sia – unisce fortemente, mentre le pippate tra devoti vegani e figli della luce su internet non aggregano altro che i loro poveri ego ammalati di protagonismo e producono il nulla assoluto.
Rispondo sinteticamente sui vari punti sollevati dai vari interventi su OPA.
Vorrei precisare che l’idea che io non abbia capito la differenza tra anglosassoni e italiani mi sembra bizzarra e assicuro Fragano di averci, invece, riflettuto profondamente.
La differenza tra me e Fragano é che io ho vissuto in entrambi i paesi per moltissimi anni, e che gli italiani mi hanno sempre colpito per la loro capacità di organizzazione nelle lotte sindacali e nelle manifestazioni politiche e non credo, nella maniera più assoluta, che non siano in grado di mettere insieme una “lobby” in difesa degli animali. La verità è che non la si vuol fare. Ma questa è un’altra cosa. Delle quattro proposte fatte nella mia lettera:
Una lobby trasversale che punti a risolvere i problemi risolvibili, in questo dato momento storico, attaccando il “ventre molle” della struttura economica – politica della violenza contro gli animali.
La creazione di un partito animalista
L’entrismo in più partiti attraverso raggruppamenti interni ai partiti tipo ARCIANIMALI
L’entrismo in un solo partito con l’ingresso in massa in un partito tipo i VERDI
ritengo la “Lobby” la soluzione più valida.
Opzioni significano scelte. Se qualcuno non l’ha capito e usa i toni che usa è affare suo. La supponenza saccente non aiuta quando non si capiscono le cose. Riguardo alla confusione sulle varie proposte, e la “mescola di opzioni disomogenee” vorrei precisare che anche il mio cane Max ha capito che opzioni significano scelte e che si può prendere una via o un’altra, o alcune vie insieme, oppure si può anche non prendere una nuova via e restare nel “panorama stantio” della palude dei figli della luce attendendo Godot. E se si resta nella palude poi non si possono aiutare le oche. La prosopopea non aiuta quando non si capiscono le cose o non si vogliono capire ed è sintomo – come dice giustamente Traverso – della “perdita di lucidità analitica, tipica di tempi in cui si naviga a vista senza bussola”.
Detto questo dopo aver letto Francesco Guerini mi sono convinto che il suo tentativo all’interno dei DS è un tentativo serio e giusto. Coinvolgere la “Sinistra giovanile” mi sembra una cosa molto valida. Che riesca – data la notoria ottusità dei diessini riguardo al problema animale – è un’altra cosa. Guerini avrà irritato i nostri rivoluzionari animalisti (si fa per dire) ma io trovo il suo tentativo ragionevole. Se in ogni realtà politica apparisse qualcosa con l’intento di difendere gli animali sarebbe una cosa ottima.
Anche in AN? Si anche in AN.
Un esempio? La nascita di una “lobby gay” in AN.
Sono rimasto esterrefatto dalla nascita di un simile aggregato. Mi sono detto: come è possibile che dopo le dichiarazioni del ministro post -fascista – ex – Salò Tremaglia riguardo i “culattoni”, i gay di destra abbiano creato qualcosa nel cuore di AN?
La risposta è arrivata lapidaria dal creatore della corrente: “Abbiamo creato un raggruppamento gay in AN per sensibilizzare il partito verso i nostri problemi.”
E questa è sicuramente una via percorribile che non esclude le altre.
Anzi quelle elencate sono tutte vie percorribili che non escludono le altre.
Sul Partito animalista ho seguito le tesi di Preabianca e di Caci. Se si potesse creare un partito sarebbe una gran cosa, ma è fattibile?
Il discorso di Caci che afferma che un tale partito prenderebbe sicuramente un 3% non è poi così peregrino. Anch’io sono convinto che un partito Verde – Kyoto animalista (e non rosso come dice Traverso) prenderebbe un notevole numero di voti. E ha ragione Caci quando porta l’esempio del 3% e fa pensare a Mastella. Se i signori dell’Ulivo si sono messi a pecoroni davanti allo “statista” campano per timore di perdere le elezioni, significa che ogni voto conta e che un partito del genere può diventare, in un’Italia politicamente profondamente divisa, l’ago della bilancia. Ma un partito del genere definendosi rosso perderebbe una massa notevole di voti. Un partito del genere se mai sorgerà dovrà combattere con tutte le sue forze contro la distruzione del pianeta, la fame nel mondo e il massacro animale e delle specie. E sarebbe “de facto” un partito di sinistra.
Se gli amici di Sottofattori hanno intenzione di muoversi nella direzione di un partito di movimentista – animalista (di estrema sinistra come afferma Traverso) o qualcosa del genere è meglio che se lo scordino. Una formazione del genere è battuta già prima di partire. Ed io non capisco come certe persone non lo capiscano. La mia impressione è che Preabianca e Caci dicano cose differenti da Traverso (che parla di un partito “rosso”) riguardo a una futura forza politica. Io penso che i tempi per un formazione politica non siano ancora maturi, ma un apparato del genere col tempo potrà manifestarsi. Sicuramente non un’entità “movimentista” animalista (di estrema sinistra) perché quella sarebbe, come ho detto, sconfitta in partenza. E averla pensata dimostra – come dice lo stesso Traverso – la “perdita di lucidità analitica, tipica di tempi in cui si naviga a vista senza bussola”.
Quello che si evince dalle risposte è che molti non hanno letto quello che ho scritto.
O si sono distratti. O l’hanno interpretato male sospinti da Sottofattori che voleva provocare un dibattito (spero non per il gusto del conflitto dialettico – ideologico che non frega a nessuno).
Ed è inutile spippare per ore davanti al nulla. Non serve a niente e offende il Bambino Gesù.
Sul discorso di Zanetti che una lobby possa essere “solo adattata all’associazionismo conservatore” rispondo che la lobby inglese è fortemente oscillante a sinistra e che le lobby possono essere di destra, di sinistra, di centro o totalmente trasversali. Limitare l’animalismo ai “Viet Cong” è un idea demenziale. Ma di demenza l’animalismo radicale ne rigurgita quantità inaudite. Il discorso poi che una lobby possa riguardare solo le associazioni esistenti mi sembra profondamente errato. Ognuno può creare gruppi di pressione e mi pare che questa idea sia già stata recepita dal momento che sta provocando l’indignazione scriteriata del “blackblochismo” animalista. Il discorso per me incomprensibile è quello dell’abbandono della politica – perché “sporca” – alle frange venatorie che la utilizzano con perversa capacità. La risposta di Traverso è totalmente l’opposto di tutto quello che penso. E’ l’essenza dell’immutabile “panorama stantio”
che condanna Zanetti. Ed è inutile che mi ripeto, a queste tesi ho già risposto mille volte come ho risposto a Sottofattori riguardo alla crescita del vegetarismo. Aldo è convinto che la crescita dei vegetariani e dei vegani me la sono sognata in una notte di luna piena ma io invece – che leggo anche la stampa borghese – la notizia l’ho letta su almeno tre quotidiani inglesi, su due riviste americane, su Repubblica e l’Espresso, l’ho sentita riferita dalla TV inglese e riportata anche da Singer e da tanti altri pensatori animalisti. Io penso che il mondo cambi. E cambi in meglio e in peggio allo stesso tempo. Mi ha sorpreso che tra i bambini intervistati in un recente sondaggio oltre l’85% si siano espressi contro qualsiasi violenza verso gli animali. Ma quello che mi ha meravigliato di più è stato un sondaggio SWG” (www.agcom.it)- sull’Espresso 25-11-04 – dove gli italiani invitati a cambiare i dieci comandamenti hanno inserito, al posto dell’ottavo, un nuovo comandamento: “Rispetta la natura e gli animali”. Una piccola cosa per i sommi intelletti animalisti, ma una cosa notevole per me che spero in una sempre maggiore aggregazione attraverso la persuasione; e penso che i Preabianca, i Bozzi, i Guerini, i Caci, i Podat vadano seguiti con grande attenzione e rispetto, perché sono esempi di quello che pensa la gente comune (anche non animalista) che vuol cambiare le cose. E se non si accolgono e integrano nel movimento animalista le idee anche dei Preabianca, dei Bozzi, dei Guerini, dei Caci e dei Podat allora si resta nella palude stantia descritta mirabilmente da Zanetti.
Anche il fatto che il numero dei cani e dei gatti stia superando il numero dei bambini presenti nelle case è un’altra spia del cambiamento. E questo sta avvenendo in parecchi paesi industrializzati. Capisco che questo in un’ottica animalista è un cattivo segno perché aumentando gli animali domestici aumentano il randagismo e i maltrattamenti. Ma io lo vedo anche come una maggiore disposizione umana verso gli animali che ci hanno accompagnati da millenni e pensare, come fanno alcuni, alla loro estinzione è sintomo della cecità politica che ci sta portando alla sbando.
Una amico con il quale ho scambiato miliardi di e-mail, mi ha parlato spesso di un lavoro che sta portando a termine con un gruppo di ideologi marxisti animalisti. Il discorso all’incirca è questo: poiché la politica è “sporca” e non bisogna contaminarci bisogna attendere che il pensiero elaborato da questi pensatori veda la luce del giorno, dopodiché l’animalismo non sarà più lo stesso. Insomma, da quello che sono riuscito a capire attraverso gli oscuri pronunciamenti emanati – con immensa parsimonia – dal mio amico due o più tomi stanno nascendo, direi germogliando, che sconvolgeranno il mondo degli esseri senzienti.
Bene…io umilmente dico: nell’attesa di questa manifestazione epifanica di sapienza animalista non possiamo fare qualcosa di utile che salvi – nel frattempo – milioni di animali per poi mettere la “lobby” (o quello che si vuole fare) in cantina o in qualche polveroso solaio?
Quando i tomi degli ideologi saranno pronti allora il mondo cambierà e non ci sarà più bisogno di lobby, partiti autonomi ed entrismo politico ecc…ecc…
A quel punto seppelliremo tutte queste idee malsane che sono originate dalla mia debole testa e si procederà con la nuova Grundrisse animalista.
A questo proposito, ricordo, sempre nel ’68, che un compagno – grande ammiratore di Kim Il Sung e ora in forza a Mediaset – mi diceva che era sbagliato che gli “homeless” prendessero una tazza di brodo dalla “Salvation Army” perché ritardava la rivoluzione (sic). Io gli rispondevo che era giusto che la bevessero, perché era ragionevole che i poveri sopravvivessero con qualsiasi aiuto; quando poi sarebbe giunta la rivoluzione con le sue chiome fulgenti, allora avremmo messo in soffitta la Salvation Army con le sue valide vecchiette, i suoi tromboni e le sue chitarre di Dio…ah sancta simpilicitas!
Certo viene da ridere…Traverso dice: “Che facciamo, minacciamo i politici di non dargli il voto?”
E cosa fanno i gay, gli ebrei, i cristiani di Bush, gli arabi in America? Cosa fanno Bertinotti e Mastella quando ricattano? Non minacciano con la forza che origina dai loro voti?
Ma certo… rimaniamo nell’iperuranio incontaminato dei figli della luce attendendo la rivoluzione predetta per il vicino 3035. Nel frattempo moriranno milioni di animali?…
Ma si… gridiamo come urlò Simone di Monfort mentre il suo esercito scannava credenti e Catari: “Il signore riconoscerà i suoi!”
E poi facciamola finita con la storia che i cacciatori sono vincenti perché ci sono i grandi interessi economici dietro. Nel paese dove vivo – che non è un entità geografica esistente su un altro pianeta – ma è parte integrante dell’Europa: la stampa di destra, i conservatori, la nobiltà feudale, la Camera dei Lord, il Principe Carlo e i reali, il proletariato agricolo, il sottoproletariato al servizio della cavalleria feudale catafratta hanno mosso l’Acheronte come Giunone – sospinti e sovvenzionati dagli ingenti capitali delle grandi multinazionali che sostengono le attività venatorie – per bloccare il “Parliament Act” che ha messo fine alla “caccia alla volpe” e sono stati sconfitti. Dire che i poteri economici dominanti abbiano l’ultima parola nelle scelte politiche è completamente assurdo. Tutte le grandi rivoluzioni hanno vinto contro i poteri economici dominanti. Se il popolo vuole una cosa ed esiste una leadership “adeguata” le battaglie si vincono. L’Ucraina, piaccia o non piaccia, è un esempio. Dire che Berlusconi rimanga sempre al potere perché dispone di mezzi mediatici potenti ed è sorretto da grandi interessi economici é sostenere che il mondo sarà sempre in mano ai ricchi. E questa è un’imbecillità. Per di più questo detto da un membro del “politburo” di RA è una cosa che più antimarxista non esiste. La storia della imbattibilità dei cacciatori è una forma congenita di vigliaccheria; è roba da figli della luce, da impotente ghetto vegano. E’ roba da pippate tipo: “loro vincono sempre ma noi siamo nel giusto”. Il classico motto dei perdenti. Su un punto Fragano ha ragione quando scrive delle associazioni per la tutela dei diritti dei consumatori vegetariani e vegani e afferma che “questo strumento è assolutamente politico e lo è nella misura in cui i consumatori si coalizzano per difendere i propri diritti, o meglio, per riappropriarsi dei propri diritti, e per fare pressione su chi esercita il potere.”
A questo rispondo: per questo esistono le lobby che si autofinanziano e proteggono gli interessi dei soci. Le lobby esistono per dare forza a questi progetti, altrimenti come si organizza una cosa del genere? Con le pippate su internet? Le lobby servono per questo e anche per pagare l’avvocato della Berati. Servono per difendere gli interessi di un gruppo che può essere radicaleggiante, moderato, di destra, di sinistra o trasversale. Ed è meglio che qualcuno si faccia spiegare come funzionano invece di raccontare fesserie.
Le vuole veramente aiutare le oche Sottofattori? E allora pensi politicamente perché proteste irritate su internet non servono a nulla. Ed è bene che cominci a capirlo.
E finiamola anche con la mitologia dell’animalismo di sinistra.
Il socialismo reale era chiuso ai problemi della natura e degli animali quasi di più del capitalismo trionfante. Io visitai in passato molti paesi comunisti, anzi li visitai quasi tutti: Cuba, Cina, Albania, Russia, Bulgaria, Romania, Germania dell’Est, Ungheria Cecoslovacchia, Polonia… e quando chiedevo degli animali mi rispondevano sempre che era un problema inesistente. Roba da piccoli borghesi. Mi sono chiesto più volte se i marxisti – animalisti abbiano mai letto quello che scrisse Friedrich Engels riguardo i vegetariani e il mangiar carne nel suo scritto intitolato “ Parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia”; lo hanno letto?
Hanno letto cosa scrissero i fondatori del Marxismo riguardo l’esplosione demografica che più tardi avrebbe devastato la terra?
Anch’io ho letto con attenzione le pagine del giovane Marx nella “Grundrisse” riguardo al processo di oggettivazione della natura e le profetiche parole di Engels riguardo all’impossibilità umana di assoggettarla; ma è ben povera cosa. Il socialismo reale – come il capitalismo – si è comportato da assassino verso il non umano. E quando lo storico Pokrovskiy cercò di mettere in guardia la leadership bolscevica del rischio della devastazione dell’ambiente fu rapidamente messo a tacere dal potere sovietico. Le parole devono essere misurate: si può dire che l’animalismo sia prevalentemente di sinistra, come si può dire che i cacciatori umbri e toscani – massacratori di tutto ciò che vive – siano prevalentemente di sinistra. La sinistra ha fatto assai poco per gli animali. Ed é tempo di trascendere le ideologie e puntare direttamente a risultati immediati che salvino dalla morte e dallo strazio milioni di esseri senzienti.
Primum servare deinde philosophari: Max e la Berati hanno ragione.
Riguardo al progetto globale dico questo:
Se qualcosa nascerà – e io sono sicuro che nascerà ma non dal “panorama stantio” dell’animalismo radicale nostrano – avrà connotati globali.
Ormai il problema è salvare il pianeta e i suoi abitanti. Salvare la terra e chi la abita dai cani alle tartarughe, dagli alberi agli uomini, dalle oche ai gatti. Per Verde – Kyoto intendo qualcosa che riveda radicalmente i rapporti tra l’umano e il non umano prima che sia troppo tardi. La lotta deve riguardare la fame nel mondo (il sistema economico infame che costringe miliardi di persone alla morte) e il nostro rapporto con gli animali e la natura che abbiamo devastato. Battersi solo per gli animali è errato. Bisogna battersi per gli tutti gli esseri senzienti e la terra che li ospita.
Una nuova organizzazione di natura animalista dovrebbe avere una visione più ampia e deve far riflettere su quello che sta accadendo nel mondo.
Tempo fa lessi un articolo sull’ “Observer” di Johnathan Dimbley, un giornalista particolarmente attento ai problemi del pianeta. Il giornalista spiegava nel settimanale letto da 400.000 persone che il terrorismo, il “global warming”, e la fame nel mondo erano inestricabilmente tessuti insieme. Dimbley, dopo un viaggio in Etiopia – cercando di capire la guerra e il terrorismo che verranno -, spiegava che la popolazione affamata è composta da moltissimi laureati e da giovani che seguono la televisione satellitare e che usano Internet; e che questi giovani sono teste pensanti interessate ai risvolti politici del mondo. Questa massa giovanile – secondo l’inglese – è esposta continuamente a martellanti messaggi che condannano gli USA e l’Occidente indicando il piano di sviluppo economico occidentale come la causa prima dei grandi mali che generano stermini nei loro continenti. Dimbley ci informava che le accuse spietate contro gli Americani e l’Europa le aveva sentite, non nelle strade di Baghdad o Kabul, ma ad Adis Abeba la capitale di una nazione di 70 milioni di persone delle quali almeno il 50% di fede ortodossa. E affermava che gli stermini dell’Aids e della fame produrranno un nuovo terrorismo perché le “distorsioni grottesche” economiche causate dal capitalismo globale fanno sì che se in Africa giunge un dollaro di aiuti ne escono due per le barriere commerciali, i sussidi e i debiti. Ci sarà un momento – spiegava il giornalista – quando i poveri rigetteranno il sistema infame dei ricchi e qualcosa accadrà. Dimbley passava poi ad analizzare la seconda possibilità che potrebbe generare il terrorismo futuro: il “global warming”; e si chiedeva cosa accadrà quando i poveri avranno le loro terre completamente desertificate e noi vedremo i ghiacciai dissolversi e i fiumi in piena e le onde anomale devastare le nostre coste e le nostre città? E si chiedeva: “Periremo in qualche Armageddon siberiana o sahariana? O ci troveremo intrappolati nelle spire di una demente crescita maltusiana che ci priverà di cibo e di acqua?” E citava il presidente della Banca Mondiale che allarmato da quello che stava osservando affermava: “Se arriva un marziano e vede come mandiamo avanti le cose su questo pianeta, riparte subito e quando torna a Marte dice: non preoccupatevi per quelli là perché si stanno distruggendo da loro stessi”.
Sempre più il film le “Dodici scimmie” – ispirato da un “corto” francese “La Jetée” – sembra profetico. Solo che questa volta non avremo tempo per rifugiarci nelle viscere della terra.
A una precisa domanda sul terrorismo Veltroni, giorni fa, ha risposto: “Il terrorismo si combatte diffondendo la prosperità.”
La domanda conseguente è: “E se la prosperità non si diffonde nel mondo cosa accadrà?”
La popolazione mondiale si è raddoppiata in 50 anni. Allo stesso tempo le emissioni velenose di diossina sono quadruplicate; usiamo sei volte più acqua che nello scorso secolo. Per il 2050 si prevedono tre miliardi in più di persone sul pianeta. L’eco sistema sta saltando, ma gli scienziati ci dicono che la terra ne i suoi abitanti può ancora essere salvata se ci muoviamo in tempo. Vandana Shiva, la biologa e ambientalista indiana ci ha invitato ripetutamente ad evitare ulteriori disastri. Lester Brown, fondatore del Worldwatch, é stato lapidare: se non si cambia ci accelererà il processo di riscaldamento, si innalzeranno i mari, si moltiplicheranno i tifoni e gli tsunami. E ha spiegato che la Groenlandia perde 51 miliardi di metri cubi di acqua ogni anno e che lo spessore dei ghiacci nel Mar Artico è diminuito del 40%; e se si arriverà alla fusione dei ghiacci il livello dell’acqua del mondo salirà di 7 metri. Gli Inuit – che abitano l’Alaska, il Canada, la Groenlandia, la Chukotka e la Russia ci hanno messo in guardia confermando che il ghiaccio che si sta squagliando nei loro territori provocherà molto presto, in altre parti del mondo, catastrofi. In questi giorni si sta parlando del “global dimming” l’oscuramento della luce solare che accelerando il processo di desertificazione sulla terra contribuisce alla morte di centinaia di migliaia di persone. Jeremy Rifkin ci ha messo in guardia ripetutamente dicendo che se non cambiamo ci saranno tempeste, alluvioni, uragani; se non riduciamo le emissioni nocive catastrofi immani ci attendono. Ognuno di noi produce cinque tonnellate di emissioni velenose all’anno.
Per fermare questa tendenza apocalittica che sta distruggendo il pianeta bisognerebbe ridurre le emissioni mefitiche del 60%. Ma questo è impossibile perché per Bush il controllo dell’emissioni provocherebbero perdite di posti di lavoro negli USA. Siamo nelle grinfie di cristiani folli. Dipendiamo da una pazzia generalizzata e onnipervadente . Ormai esercitiamo una pressione sull’ambiente che è tra le 1000 e le 10.000 volte superiore a quella esercitata dagli uomini degli albori. La velocità delle estinzione è tra le 100 e le 1000 volte superiore a quella naturale. La nostra specie ha avuto sempre il ruolo del “killer sterminatore” ma ora ha raggiunto livelli stratosferici di annichilimento. Le specie viventi ai limiti dell’estinzione sono 15.589. Entro il 2010 un decimo delle specie volatili potrebbe essere estinto e un ulteriore 15% a rischio di estinzione. L’Antartico fiorisce – cosa che non si verificava da 10.000 anni – ma la sua vita marina rischia la fine. I pinguini rischiano lo sterminio e hanno lo stesso diritto delle oche a essere difesi.
Terrorismo? Ma questo è il vero terrorismo. Questo è terrorismo “specista”.
Il terrorismo eversivo ha ucciso 24.000 persone dal ’68. Ed è condannabile.
Ma il terrorismo “specista” che uccide ogni anno 240.000 persone non è più condannabile?
Tutti però tacciono mentre consegnano ai loro figli una terra devastata.
Quando arriverà l’arresto delle correnti calde atlantiche che mantengono l’equilibrio climatico in Europa allora tutti si sveglieranno. E mentre scrivo Carlisle è inondato dalle acque. Quando l’Inghilterra esperimenterà un clima siberiano allora gli inglesi finiranno di guardare “The Big Brother” e si renderanno conto dell’orrore.
Oltre a questo sappiamo cosa succede ai poveri. Agli innocenti.
Quelli che pensano che il capitalismo sia la forma finale della storia è meglio che se lo tolgano dalla testa e pensino a quello che ha detto Marx riguardo la storia che riproducendo modelli obsoleti si trasforma da tragedia in farsa. Certo non si ritornerà a forme superate e stantie, massacrate dagli eventi e relegate nel mondezzaio della storia – nelle quali molti di noi hanno creduto – ma il futuro, se ci sarà, avrà connotati fortemente anticapitalisti e vegetariani.
Davanti a quello che vediamo accadere nel mondo crediamo veramente che le cose si siano concluse con la vittoria finale dei conservatori guerrafondai di Bush e degli yuppie mercenari di Berlusconi? Ma via… su questo pianeta un bambino su sei soffre la fame e per la fame ogni sei secondi ne muore uno, 640 milioni di piccoli vivono in condizioni tragiche, 180 milioni eseguono lavori di natura schiavista, 1,2 milioni sono vittime del vergognoso traffico infantile, 2 milioni sono oggetto di sfruttamento sessuale, 3,6 milioni sono uccisi nei conflitti religiosi e interetnici del terzo mondo. Inoltre, 800 milioni di persone sono a rischio per la fame. 1 miliardo e 440 milioni di persone vivono con due dollari al giorno.
A questo si aggiunge il pauroso strazio animale: 1500 animali massacrati ogni secondo 48 miliardi uccisi ogni anno.
Terrorismo? Ma ce l’abbiamo davanti agli occhi è il sistema mondiale economico che privilegia una minoranza di nevrotici che galleggiano su un vascello fatiscente in un oceano di strazio.
E’ il sistema che condanna miliardi di esseri viventi a una morte oscena.
Occorre qualcosa che nasca e affronti questi immani problemi. E che li unisca in maniera globale.
Lobby, partito di RA, movimento, organizzazione…quello che si vuole ma questi problemi sono tessuti inestricabilmente.
E io dico – Digos o non Digos – se si distrugge la terra e i suoi abitanti tutto è lecito per difenderla. Tutto!
Paolo Ricci
18-1-2005
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POLITICA E ANIMALISMO.
ROMA 27 FEBBRAIO 2005: UN COLLOQUIO NOTTURNO TRA MAX TETTAMANTI E PAOLO RICCI.
27-02-2005
Proposta di legge, Lobby, animalismo suicida, caccia e una nuova visione.
RICCI: Caro Max prima di tutto un piacere vederti. Mi sorprende che non indossi la divisa da nazista delle Shutzstaffel – SS. Ti sei ricreduto? Peccato il nero ti donava… stavi proprio bene con gli stivali lucidi e il frustino…
Ho letto che le trattative ai tavoli tra animalisti e vivisettori vanno avanti da almeno un anno e mezzo. Avete concluso con la revisione del decreto legislativo 116/92 che regolamenta l’uso degli animali nei laboratori, e la proposta di legge, presentata nel dicembre 2004 da Giulio Schmidt, la n. 5442.
Mi piacerebbe chiederti una cosa: se tu dovessi spiegare con grande semplicità le conclusioni dell’accordo riguardante la vivisezione, che diresti?
Esprimendoti in termini semplici affinché anche la casalinga di Voghera possa capire riusciresti a spiegarmi quello che è accaduto?
MAX: Caro Paolo, quello che è successo è notevolmente complicato nei dettagli tecnici ma molto semplice nell’essenza. Un politico, Giulio Schmidt, ha pensato fosse possibile riunire intorno a un tavolo antivivisezionisti, ditte farmaceutiche e vivisettori dell’Università italiana per trovare quello che lo stesso Schmidt ha definito “il massimo compromesso possibile tra le parti”.
Perché questa idea è sensata? Perché la vivisezione è principalmente regolamentata da leggi europee e da protocolli internazionali e NON è possibile abolirla a livello nazionale.
Un tavolo di lavoro del genere coi cacciatori ad esempio è improponibile in quanto la caccia si può abolire a livello nazionale e quindi né noi, né loro accetteremmo di trovare una soluzione INSIEME.
L’idea era quella di vedere cosa era possibile fare considerando i forti limiti nazionali.
RICCI: Quello che mi colpisce è la divisione che l’accordo ha creato, da una parte una maggioranza che concorda con la posizione tua e della Berati, dall’altra una minoranza molto ferma sulle sue scelte. La cosa positiva è il tono abbastanza controllato: se non si precipita nella violenza verbale tutto è possibile. Io rispetto le posizioni della Galbiati o di Sottofattori – che conosco personalmente – e in un senso il mio cuore – ma non la mia testa – è dalla loro parte (nel senso della volontà di liberare in maniera radicale gli animali dalle sevizie e dallo sfruttamento umano); però non capisco una cosa, attenendosi a crudi fatti della realtà – e a quello che ci è possibile ottenere nel “hic et nunc” storico del momento – ammesso che tu e la Berati abbiate concluso un accordo “inverecondo”, cosa suggeriscono di fare tutti coloro che si sono attestati sulle posizioni di Oltrelaspecie, Rinascita animalista, UNA, Animalisti Italiani ecc…? Oltre a gridare il loro sdegno con striscioni e cartelli inquisitori davanti ai laboratori di vivisezione, che intendono fare? Hanno delle proposte alternative? E se l’accordo dovesse crollare che cosa accadrebbe? In ducati sonanti: qual è la strategia del fronte del “NO”, rifiutare l’accordo e fare cosa?
MAX: L’accordo ottenuto, detto in tre frasi è:
1) Abbiamo la possibilità di abolire tutti i campi di vivisezione che sono abolibili a livello nazionale.
2) Abbiamo la possibilità di avere antivivisezionisti a far parte di un osservatorio nazionale sulla vivisezione
3) Abbiamo la possibilità di impedire al vivisettore di “autoautorizzarsi” a fare vivisezione (cosa che adesso avviene nella maggioranza dei casi)
Questo è quello che, forse, riusciremo a ottenere.
Forse qualcuno ha pensato che questa legge fosse considerata un punto di arrivo della battaglia antivivisezionista. Ma questa idea è palesemente fasulla. Al limite possiamo considerarlo un passo avanti, non un punto finale.
Infatti sia io che Marina abbiamo una valanga di progetti futuri già attivi, alcuni locali, altri nazionali, altri internazionali. Progetti scientifici, legislativi, economici, ecc.
Però possiamo creare dei precedenti nazionali importanti anche in vista della loro esportazione in altre nazioni con cui abbiamo già contatti e scambi di informazioni.
Non ho la minima idea di come voglia affrontare il discorso vivisezione chi è contrario alla proposta di legge su cui abbiamo lavorato.
Abbiamo provato a organizzare un dibattito pubblico per gli attivisti per confrontarci sia nei contenuti della legge sia nelle iniziative future, ma hanno rifiutato il dibattito.
È un problema loro, sai perché? Perché non capiscono la base del movimento animalista, quella base silenziosa, che si occupa di risolvere problemi concreti, che è la vera forza dell’animalismo.
Base però che è poco su internet e quindi non si sente, non si vede, non appare…
Non so cosa vogliano fare, né sinceramente, me ne frega molto…
RICCI: Cosa succede se non viene approvato il nuovo PDL sulla vivisezione?
MAX: Mi arrestano per omicidio, ah ah ah. Non prendo neanche in considerazione questa possibilità. Sarebbe la fine. Nessun politico vorrà mai più avere a che fare con gli animalisti o
far leggi a favore degli animali. Schmidt sta facendo molto per la vivisezione e riceve insulti
principalmente dagli animalisti.
RICCI: Quello che mi ha colpito in una tua lettera è l’abbandono del termine “animalista” che consideri obsoleto, superato… o forse troppo riduttivo? Se tu chiedi ad un animalista: “Cos’è un animalista?” ricevi tante risposte come se chiedessi ai comunisti “Cos’è un comunista?”.
Io vorrei capire una cosa: secondo te un vegetariano “etico”- quindi non “salutista”- è un animalista?
MAX: Un vegetariano etico può essere animalista oppure può fare questa scelta alimentare e di vita per evitare il furto di risorse nei paesi poveri. Generalizzando però direi che un vegetariano etico è, nella stragrande maggioranza dei casi, un animalista. Io cerco di non usare più il termine animalista perché per me l’animalismo è morto. Soffocato in un mare di litigi fra associazioni, in un mare di personaggi squallidi che hanno dimenticato la priorità di salvare animali affogando in un mare di seghe mentali inutili. Io da questo movimento ne sono uscito, ne sono fuori.
Non mi classificherò più come animalista perché è ormai un termine sporcato.
Nessuna conferenza, nessun progetto, nessun aiuto ad associazioni che ti pugnalano alle spalle.
Cercherò nuove alleanze e nuove strade per gli animali.
RICCI: Arriviamo al punto. Io penso che se i vegetariani e i vegani fossero uniti politicamente (in uno schieramento trasversale puramente pro animali) l’accordo ottenuto da te e la Berati sarebbe stato di maggiore portata. Io penso che senza un progetto politico articolato non si va da nessuna parte. Tu cosa pensi?
MAX: Sicuramente sì, ma non credo che l’attuale movimento per gli animali sia in grado di unirsi.
RICCI: Se non c’è possibilità di unire il movimento animalista troppo disgregato al momento, da dove si prendono le forze?
MAX: Al di fuori, per progetti specifici. Ad esempio per la caccia: agriturismi che vengono disturbati dai cacciatori, persone che vivono in campagna e hanno paura a uscire, coltivatori che hanno paura di andare nei campi, ecc. ecc.
RICCI: Uscire dall’animalismo attuale, vuol dire abbandonare definitivamente l’idea animalista, o cercare di fondare un nuovo movimento che non abbia le tare del vecchio?
MAX: Non lo so. Se otteniamo risultati in altro modo forse si può pensare a rifondarlo. Se riusciamo ad abolire la vivisezione – abolibile in Italia – e riusciamo ad attaccare la caccia forse possiamo dimostrare che abbiamo ragione. Se non ci riusciamo non c’è speranza.
RICCI: Bene…prendo atto di quello che dici e ritorno al “refrain” ripetuto “ad nauseam”:
accettiamo pure quello che dicono alcuni “Viet Cong” vegani e cioè che non esistono animalisti in Italia e che gli animalisti sono meno dei cacciatori (un’idea oscillante tra il bizzarro e l’assurdo!); prendiamone atto…(o facciamo finta di prenderne atto ); sappiamo, però, che l’opinione pubblica italiana è contro la caccia (74,1% ) e contro la “deregulation” della caccia (82%) e che molto favorevole alla caccia è solo uno sparuto 5,9% e che i più convinti per la liberalizzazione venatoria rappresentano un misero 4,3%. Ebbene questo fetido, miserevole, insulso frammento di opinione – rappresentato da assatanati sterminatori – ha spinto i post fascisti di AN e i vari deputati del Polo a tentare di legiferare per ampliare nel tempo e negli spazi il massacro venatorio. E lo hanno fatto contro tutto e tutti, incluso Arcicaccia che rappresenta l’11% della totalità delle doppiette. Hanno osato spudoratamente con la “deregulation” per essere poi bocciati due volte dalla Commissione di Giustizia e quella degli Affari costituzionali. Però ci hanno provato, hanno temerariamente tentato di stravolgere la legge con un consenso miserabile. Perché? Perché si sentivano forti.
E arriviamo al punto: perché si sentivano forti?
Ma perché sono organizzati politicamente. Hanno “lobby”, gruppi di pressione validissimi.
Ma se qualcuno dice ai vegetariani e ai vegani di organizzarsi politicamente – che è la cosa più ovvia e lapalissiana che si possa immaginare – arrivano le urla degli oppositori dell’idea, le grida dei duri e puri! E guai a parlare di “lobby”… ma allora chiamiamola Giuseppina o Rachele questa benedetta “lobby”! Se questa parola fa pensare alla “P2” o alla mafia inventiamo un altro termine che non offenda le anime sante del ghetto luminoso. Ma anche gli intoccabili indiani hanno una lobby che li difende; anche i gay di AN, che devono confrontarsi con Tremaglia – un ministro ex Salò che li considera “culattoni”- ne hanno una! Arriviamo al sodo: tu cosa pensi di un grande gruppo di pressione politico che aiuti gli animali?
MAX: Penso che debba essere chiamato col suo nome: LOBBY.
I cacciatori sono i migliori, sono bravissimi a fare lobby, eccezionali.
La lobby è la capacità di tradurre in pratica a livello legislativo opinioni, sentimenti e obiettivi di un movimento o un gruppo di persone. Vuol dire stringere mani di esseri viscidi, lavorare con flessibilità e realismo, strisciare nel fango della politica per l’ottenimento di obiettivi specifici e chiari.
I cacciatori sono pochissimi, compatti e ci schiacciano.
Con loro siamo sempre “in difesa”. Con una legge nazionale contraddittoria e malvista dalla maggioranza degli italiani, quando va bene riusciamo a bloccare dei peggioramenti.
Se i cacciatori vincono la colpa è nostra. Nessuna scusante.
RICCI: La cosa che trovo più bizzarra è che almeno 12 organizzazioni vegetariane in Italia non abbiano mai ancora pensato a fare un sondaggio sugli orientamenti politici dei vegetariani. Un sondaggio accurato non è stato mai fatto.
Ma perché tutte queste associazioni non possono unirsi per scoprire una cosa così importante?
Anche se le idee basilari sono in contrasto tra di loro lo scambio di informazioni aiuterebbe tutti.
Si fa un sondaggio e si utilizza come si crede. Ognuno alla maniera sua.
Tuttavia, io penso – basandomi anche su serie statistiche eseguite nel Regno Unito (ove i vegetariani sono quattro milioni e i vegani 250.000) – che bisogna prendere sul serio le informazioni riguardanti il numero dei vegetariani in Italia che si dovrebbe attestare intorno ai 2.900.000.
Veganitalia afferma che siano ormai sei milioni. Ma a me sembra eccessivo.
Dalle statistiche lette il numero dei vegetariani etici dovrebbero essere il 94% della totalità.
Se questo fosse vero, dal momento che un vegetariano etico può essere definito un animalista, esiste allora un grande serbatoio di voti “animalisti” che potrebbe essere utilizzato in maniera devastante. Non credi?
MAX.: Lo credo per certo. Siamo tanti, e su progetti specifici, possiamo stringere alleanze nuove e utilissime. O facciamo un salto di qualità in relazione al fatto che il movimento è cresciuto oppure siamo morti. Personalmente penso che l’animalismo sia attualmente morto in quanto rappresentato da chi non riesce a mettere da parte le proprie idee/ideologie e ragionare col “principio di realtà”.
La scelta di alcuni è quella dell’autoghettizzazione dove, se esprimi un’idea diversa, vieni automaticamente classificato come “fascista”.
RICCI: O nazista…devo dire che ho letto gli “assunti indiretti” del Collettivo di Rinascita Animalista. Mi ci è voluto parecchio per capire di cosa si trattasse . Pensavo che gli assunti indiretti fossero precari parastatali…
MAX: Ah ah ah ah…..
RICCI: …Condivido in gran parte tutto quello che dice il collettivo, incluso “il riconoscimento senza condizioni degli interessi della vittima e non certo del carnefice”. Ma quello che mi sfugge è capire la strategia alternativa che suggerisce. Io penso che il motivo principale della lotta sia basato sul semplice fatto che non bisogna torturare o uccidere esseri viventi. Tutto il resto è minima appendice. Però capisco che se – per esempio- si convince la gente che la carne causa il cancro, o che la caccia è pericolosa per tutti, la lotta può essere avvantaggiata da simili informazioni, insomma si compiono dei passi verso chi ancora non è arrivato alla consapevolezza etica di certe scelte. Io mi baso – per alcuni erroneamente – su una serie di dati nell’identificare gli spazi per la battaglia animalista: il numero dei vegetariani e vegani in Italia, l’alta percentuale di coloro che sono ostili alla vivisezione (39% – leggermente inferiore alla percentuale inglese che è del 41%) , l’altissima percentuale di coloro che sono contrari alla caccia (74,1%) il numero crescente di coloro che mangiano carne ma dicono che smetteranno. Nel Regno Unito, tanto per dare un’idea – 2000 persone alla settimana scelgono di diventare vegetariani. Su questa grande base di dati io penso che qualcosa di grande si stia muovendo e qualcosa di politico a questo punto va costruito. Tu che pensi?
MAX: Tra le varie idee che proponevi nella tua lettera all’Osservatorio Politico Animalista escluderei l’entrata diretta in politica e mi concentrerei direttamente sulla Lobby.
Inutile girarci intorno. O iniziamo a capire che il modo di fare politica è cambiato dal dopoguerra oppure non ci muoviamo. Politicamente non contiamo nulla. Proprio nulla.
Mentre siamo tanti. Molti di più di quello che potrebbe sembrare seguendo solo Internet.
Siamo tanti e con una forte passione, più forte di altre, per la quale siamo disposti a tutto.
Ci sono politici che danno per scontato che avranno i voti di molti animalisti, mentre altri politici danno per scontato che non saranno mai votati. Esattamente il contrario della lobby.
Dobbiamo spaventarli, ricattarli, minacciarli. Dobbiamo fare come i cacciatori per i quali destra e sinistra lottano per far vedere chi fa di più per meritarsi i loro voti.
RICCI: Una cosa che mi ha colpito è stata un e -mail da Vitadacani. Sara D’angelo ha scritto: “ nel nostro orizzonte esiste solo l’abolizione della vivisezione, quello che si è ottenuto è un compromesso; ma state attenti – ha messo in guardia – a non far cadere questo PDL perché siamo noi che con le mani insanguinate raccogliamo gli animali straziati per portare a casa quello che resta”. Quella lettera mi ha commosso e ferito.
MAX: Un altro punto fondamentale della proposta di legge è la possibilità di salvare tanti animali dalla morte in laboratorio. Finora, a mia conoscenza, solo Sara con VitadaCani e il progetto Vitatatopi hanno salvato animali dai laboratori. 1500 circa in totale. Con fatica, con difficoltà e ostacoli burocratici spesso insormontabili. Se questa proposta diventa legge sarà molto più facile.
Potremo prenderne e salvarne tanti. So che la base degli attivisti è con noi perché i rifugi per animali ci appoggiano, tantissima gente si offre di dare una casa a questi animali.
Quando porto dei topi a casa di qualcuno l’unica cosa che mi dice è “portatene fuori altri, non mi interessa come fate, non mi interessa se con una legge o una azione diretta, non mi interessa di che associazione siete o se siete o meno un’associazione … noi siamo qui a dargli una casa”.
È questo supporto che abbiamo che mi spinge a fregarmene assolutamente di chi fa dell’animalismo un modo per diventare presidente di qualcosa.
RICCI: Devo dire che l’accordo con Schmidt mi ha lasciato interdetto.
Sai io sono “foresto”, in un senso, e seguo con una certa compiaciuta perversità Bondi e Schifani.
Mi sembrano esseri provenienti dallo spazio. Bondi mi ricorda il maggiordomo del “The Rock’n Roll show”, Schifani un personaggio de “I morti viventi”…
MAX: Ah ah ah… hai ragione!
RICCI: … E quando ho sentito l’apertura di Forza Italia mi sono venuti i brividi. Nella doppiezza del piccolo machiavellismo italico, esistono in FI “gli amici degli animali” e i fautori post-fascisti delle aperture dei parchi per massacrare tutto quello che si muove.
La domanda ovvia è: “Perché hai scelto di lavorare con Schmidt?”
La risposta in parte la conosco. Perché gli imbecilli di sinistra non ne volevano sapere.
Potresti elaborare una semplice spiegazione per semianalfabeti come me?
MAX: Facile. Perché lui ha aperto una porta. Una possibilità di salvare animali. Se lo faceva uno di Rifondazione Comunista personalmente sarebbe stata esattamente la stessa cosa.
Il fatto che lo faccia uno della maggioranza dà solo maggiori speranze.
Il fatto che qualcosa sta cambiando lo vedo proprio dall’esperienza personale.
Prima quando c’era un progetto dovevamo strisciare in ginocchio davanti agli uffici per farci ricevere e poi, puntualmente non succedeva niente. Ora ci chiamano loro.
Prima i politici venivano pubblicizzati come “votabili” in base alle loro promesse elettorali (errore enorme). Ora li inseriamo nel database dell’osservatorio politico ogni volta che fanno qualcosa contro gli animali. E’ solo un piccolo cambio importante.
E non abbiamo ancora una lobby!!!
RICCI: Se le idee politiche non contano, che ruolo avrà la politica nel nuovo movimento “per i diritti di tutti gli esseri viventi”?
MAX: Copiamo dai cacciatori, pronti a togliere il voto a chi non li appoggia. I cacciatori di destra non voteranno mai a sinistra e viceversa. Ma possono togliere il supporto. Un animalista antiberlusconiano non voterà mai Berlusconi ma potrà ricattare la sinistra. Non garantendo il voto a priori: caro politico, se fai quello che chiedo ti voto e ti supporto, altrimenti ti considero un traditore della mia idea politica e mi rifiuto di appoggiarti.
RICCI: Già, quello che fanno gli inglesi da tempi lontani… una domanda: Caccia il Cacciatore e OPA sono il punto di partenza del piano di organizzazione di una Lobby trasversale?
MAX: Assolutamente si!!!
RICCI: Ci sono motivi politici che ostacolano l’approvazione del nuovo PDL sulla vivisezione?
Sono più forti i motivi etici o quelli politici di chi dice no?
MAX: Da una parte sicuramente motivi politici in quanto alcuni degli oppositori sono direttamente collegati, si candidano o lavorano, all’interno dei Verdi. Infatti dicono cose palesemente false nelle loro critiche alla proposta di legge. Ma credo che molti siano invece in buonissima fede e convinti che l’animalismo non debba sostenere una proposta di legge giudicata non abbastanza migliorativa.
Penso però che se qualcuno pensava di poter fare di meglio non aveva che da venire al tavolo di lavoro. Era aperto a tutti. Credo che se il proponente fosse stato dei Verdi e non di Forza Italia nessuno ci avrebbe criticati e insultati così tanto.
RICCI: Quello che trovo bizzarro è l’indignazione di coloro che si arrabbiano con la RAI perché non troviamo spazio nei vari programmi. Il problema principale è che in una democrazia moderna gli spazi si conquistano con la forza. Non quella fisica ma quella dei potenziali elettori.
A che serve piagnucolare se non si fa uno sforzo per capire chi siamo e quanti siamo?
Se non si arriva a comprendere quanti siamo e quanti potenzialmente possiamo essere a che serve scrivere lettere alla RAI? Devo dire che trovo stravagante il tabù che vieta di fare domande fondamentali in un sondaggio unificato e preciso. Basterebbe ampliare il sondaggio eseguito
per Veganitalia dando a uno specialista di statistiche l’incarico. Dobbiamo fare uno sforzo per capire quali siano le tendenze politiche del mondo dei vegetariani e dei vegani. E anche le tendenze religiose vanno comprese e analizzate. E’ necessario infrangere i tabù che limitano questo tipo di domande “perché ci fanno litigare”. Io voglio capire dove il popolo vegetariano tende politicamente, perché se è vero quello che si dice che tende fortemente a sinistra allora bisogna che qualcuno da quella parte si svegli e cominci a prenderci molto, molto sul serio… non pensi?
MAX: Sarebbe interessante fare un sondaggio fatto bene sia sulle scelte vegetariane/vegane, sia su altro … legando l’empatia per gli animali con le scelte politiche.
Lo facciamo?
RICCI: Certo.. è ESSENZIALE!!!! VITALE!!!! E’ “conditio sine qua non” per capire chi siamo!
Due cose mi hanno colpito in un sondaggio: il 29% dei vegetariani afferma di essere credente, di questo 29% il 44% si dichiara cristiano; il 4,2% è attivo in gruppi parrocchiali,
il 13,4% in gruppi di spiritualità. Io penso che anche nel mondo cristiano qualcosa di potente comincia a muoversi. Tu che pensi?
MAX: Non lo sapevo, nutro talmente poca fiducia nel mondo cristiano (con l’esclusione di gruppi cristiani che si rifanno al pensiero cataro e/o a interpretazioni diverse del vangelo ufficiale) che questo dato mi sorprende un po’. Interessante. Molto interessante.
RICCI: Io non sottovaluterei i cristiani per quello che ho visto in Inghilterra
E poi c’è Linzey che è un grande teorico cristiano, un teologo molto seguito dagli animalisti cattolici e protestanti. E se hanno cambiato il loro modo di vedere verso gli ebrei, le donne, gli schiavi perché non dovrebbero rivedere le loro misere posizioni riguardo gli animali?
Tutto cambia. Mai chiudere porte! L’aggressione scriteriata non paga: sono contrario alla demonizzazione dei cristiani. Un nostro comune amico dice sempre : quando si sveglieranno saranno di grande aiuto agli animali!
MAX: E’ che continuo a considerare le grandi religioni monoteiste il vero avversario. Molti animalisti si concentrano sui partiti politici mentre lo sfruttamento di animali è trasversale. Sia la destra che la sinistra se ne strafregano degli animali. Il problema è più culturale, non partitico.
È un problema “religioso” che ha posto l’uomo sul gradino più alto. Per questo vedo le religioni monoteiste molto più pericolose di qualsiasi ideologia politica. Se il mondo cristiano, come dici tu, si dovesse svegliare sarebbe eccezionale. Solo che su questo sono pessimista.
RICCI: Tutto cambia però…Un’ altra cosa che mi ha sorpreso è il fatto che l’86% dei vegetariani aderisce a gruppi e associazioni. Il 19,9% fa parte di partiti politici; il 29,7% difende l’ambiente
(e quindi deve essere attento alla politica) il 18,1% fa parte di Centri Sociali, il 21,4% fa parte di organizzazioni per i diritti degli uomini, il 77% è membro di organizzazioni animaliste. Questo dimostra una capacità e una volontà politica a organizzarsi notevole.
MAX: Manca un passaggio: coesione. Senza questo siamo isole divise e in lite l’una con l’altra.
RICCI: Giusto! Ma su questo dobbiamo lavorare……dobbiamo unificare in una grande isola le isole raggiungibili…
MAX: Con le associazioni attuali? Utopia. Impossibile. Dobbiamo creare progetti concreti e realizzabili. E creare una lobby con alleanze oltre l’animalismo e, nello stesso tempo, lasciare la possibilità ai singoli attivisti per gli animali di far sentire il loro peso. Sarebbe tutto più facile se le associazioni animaliste, primo punto di riferimento dei politici, svolgessero già da sole questo compito, ma così non è. E, sempre per “principio di realtà”, dobbiamo prendere atto di questa carenza.
RICCI: In un altro sondaggio ho letto che un giovane su tre nelle scuole svedesi tende ad essere vegetariano. La stragrande maggioranza dei giovani inglesi aborre la vivisezione (il 46% contro, il 31% favorevole). Tempo fa ero a casa di un mio amico e si parlava di calcio. Il figlio di 17 anni ascoltava le nostre insulse quisquilie pallonare. Ad un certo punto il giovane mi ha chiesto qualcosa sul nostro sito. Dopo circa un mese mi è arrivata una lettera così precisa sullo “specismo” che mi ha lasciato a bocca aperta. Il giovanissimo amico mi parlò del Morini e dell’attenzione dei giovani della sua scuola alla lotta contro la vivisezione. Mi scrisse: “l’ideologia che accomuna il cosiddetto “movimento no-global” è ancora in una fase di gestazione dove si intrecciano resti di marxismo, animalismo, iniziative sindacali, anti-precariato, iniziative di autogestione, occupazione ed autoproduzione. Penso che i gruppi animalisti degli adulti invece di autoghettizzarsi e di parlare e basta dovrebbero avere un dialogo più aperto verso i ragazzi senza atteggiarsi da proprietari del sapere infinito come invece fanno spesso…”
Preabianca il “Principe” del Rock animalista mi dice sempre: “E finitela di parlare di Cartesio… i giovani non vi capiscono…”
MAX: Concordo in pieno sull’autoghettizzarsi.
RICCI: Da quello che leggo il maggior numero di animalisti italiani è situato nel Nord .
Il 24,6% in Lombardia, il 14,3 % in Piemonte. Se queste regioni sono preminentemente di centro destra, vuole dire che c’è una fetta di animalismo che non è di sinistra?
MAX: Immagino di sì. Credo comunque una minoranza.
RICCI: Negli “assunti indiretti” (che non hanno nulla a che fare col precariato parastatale)…
MAX: Direi di no…
RICCI: ..Ho letto: “Non sempre il poco è meglio di niente! Perché spesso il poco esercita retroazioni terribili che, di fatto, rendono più difficile avanzare in momenti successivi. E’ il difetto di tutti i riformisti.” Qui c’è lo zampino dell’eremita d’Ivrea. Ecco, io pagherei oro per sapere da Sottofattori in poche, chiare, succinte parole qual è la strategia da seguire se il “riformismo togliattiano” – come lo chiama simpaticamente lui – praticato da me, te e la Berati esercita retroazioni terribili. Io conosco Sottofattori da anni ma non sono mai riuscito a capire dove vada a parare. Tu hai mai capito cosa chiede di fare ? Ci sei mai riuscito?
MAX: No, non lo so. So che Aldo è un’ottima persona ma non siamo d’accordo su alcune strategie.
Col fatto che non mi sento più parte del movimento animalista, ho smesso di farmi domande. Mi occuperò di progetti concreti e specifici come ho sempre fatto.
RICCI: Conoscevo, in Toscana, un simpaticissimo romano chiamato “Er Panza” (ovviamente per l’escrescenza adiposa che si trascinava dietro). Era una persona umanissima con l’imperdonabile difetto di essere laziale (che tu sai è una cosa imperdonabile!). “Er Panza” salvava cani, gatti e seppelliva animaletti schiacciati dalle macchine. Era di una bontà incredibile ma mangiava pesce. Era in continua lotta con i cacciatori che odiava con una passione travolgente. La domanda che ti faccio è questa: secondo te “Er Panza” era ed é un animalista?
MAX: Prima dovremmo trovare una definizione univoca di animalista. Cosa che non credo possibile.
Personalmente, però, la mia risposta è semplice: sì. È un animalista. Non credo nella perfezione.
È un alleato non un avversario.
RICCI: Allora il numero degli animalisti sarebbe veramente grande!
E se fosse così grande il numero non è criminale non tentare di unirli politicamente per ottenere risultati migliori di quelli che abbiamo finora ottenuto? Si può arrivare ad un unità strategica del popolo vegetariano – vegano per ottenere risultati che salvino migliaia di animali?
Con una forte struttura politica dietro non sarebbe più facile trattare sui tavoli di lavoro e per Sadar salvare le sue adorate tartarughe?
MAX: Si, ne sono convinto. Molte delle persone che danno la vita per gli animali nei rifugi NON sono né vegetariane né tanto meno vegane. Questa è per me una contraddizione incomprensibile, ma non ho il potere di modificare la realtà a mio piacere e devo accettarla per quella che è. Anche solo per cercare di modificarla.
RICCI: Consideri un semivegetariano che raccoglie randagi e lotta a Huntingdon contro la vivisezione un animalista? O cosa lo consideri?
MAX: Senz’altro animalista.
RICCI: Cosa pensi degli estinzionisti volontari e della loro idea? Serve a qualcosa?
MAX: Idea simpatica. Mi diverte. Ma non ha un futuro.
RICCI: Cosa pensi di quelli che considerano la domesticazione di alcune razze avvenuta 50.000 anni fa una violenza e che vogliono ricondurre cani, gatti e altri animali allo stato selvaggio?
MAX: Impossibile. Il massimo che puoi ottenere è ridurre randagismo e limitare i canili lager, nulla di più.
RICCI: Non esiste secondo te nessuna possibilità di un rapporto non deviato tra uomo e animale? In fondo non è un animale anche l’uomo? E non fanno tutti parte della stessa biosfera? Potrebbe l’uomo sussistere senza avere rapporti con altri esseri e specie? Non diverrebbe un’aberrazione questa sua condizione isolata dal resto degli esseri viventi?
MAX: Forse con un numero minore di animali d’affezione e eliminando l’importazione di esotici potremmo avere un rapporto migliore. Non è necessario arrivare a punti estremi.
Cani e gatti ormai fanno parte del nostro mondo.
RICCI: Giorni fa ho letto che scienziati scandinavi della “Scuola norvegese di scienza vegetariana” di Oslo sono arrivati alla conclusione che cucinare aragoste in acqua bollente non è eticamente rilevante perché i crostacei non provano dolore. Lo stesso ragionamento lo hanno fatto per i vermi che vengono infilzati all’amo. Questo – hanno detto – è dovuto al loro elementare sistema nervoso.
Wenche Farstad dell’istituto veterinario ha affermato che tagliare un verme in due parti non significa niente perché il verme continua la sua vita normale. Peter Fraser biologo dell’Università di Aberdeen ha spiegato che aragoste e granchi hanno solo circa 100.000 neuroni mentre un essere umano di neuroni ne ha 100 miliardi. Io trovo questo metodo di ragionare pericolosissimo e penso che bisogna attestarsi sul semplice principio che tutti gli esseri viventi vanno rispettati e non massacrati o torturati. Che pensi?
MAX: Ma dicono cose pazzesche. Anche l’ultimo dei cuochi sa che se le aragoste non le sbatti in frigorifero stordendole e “anestetizzandole” quando poi le butti nell’acqua bollente, letteralmente URLANO. Pazzesco che questa dichiarazione venga da chi si occupa di scienza vegetariana.
RICCI: Non passa giorno senza che gli scienziati ci dicano cose nuove. Ci dicono che i pesci pur avendo tre secondi di memoria sono abili nella manipolazione; che i pappagalli sanno utilizzare un loro linguaggio per descrivere differenze nei colori, nelle forme e nei tessuti; che i polli riconoscono le persone; che i maiali posseggono una sofisticata forma di coscienza e sono in grado di ingannare altri animali per ottenere premi dagli umani; che le pecore mantengono nelle loro coscienza immagini di altre pecore e umani per due anni; che gli elefanti piangono i loro morti. La visione del mondo animale sta cambiando rapidamente. E positivamente. Tu pensi che la scienza evolvente aiuterà la lotta per il riconoscimento per i diritti degli animali?
MAX: Sì. Credo che la scienza possa essere uno degli strumenti migliori che abbiamo. Ma è anche uno strumento pericoloso perché, al contrario di quello che molti pensano, è molto facile manipolare l’esperimento scientifico e dimostrare qualsiasi ipotesi, anche le più assurde.
Ormai da anni diamo massima priorità agli incontri con i ragazzi delle scuole superiori, specialmente le scuole legate a materie scientifiche che preparano gli studenti a facoltà universitarie scientifiche.
Il video SHAC è ottimo per ragazzi di 16-18 anni.
RICCI: Quello che mi ha sorpreso sono state le reazioni nei confronti tuoi e della Berati; io capisco che qualcuno possa non essere d’accordo, ma trasformarvi in nazisti è stata una cosa oltraggiosa. Direi disgustosa. E permettimi – conoscendo i miei polli e avendo militato nella sinistra una vita – immagino che presto appariranno le liste di proscrizione. O mi sbaglio?
MAX: Ah ah ah… Se parlo con Schmidt sono fascista. Se organizzo un’azione shac divento un anarchico. Quindi sono un fascista anarchico? O un anarchico fascista?
A dire la verità mi diverto abbastanza a seguire l’evolversi delle classificazioni.
RICCI: Ho notato il numero inverosimile di vegetariani in Irlanda (il 6% su 3,7 milioni) e ne sono rimasto colpito. Questo dimostra che il mondo cristiano sta cambiando, dal momento che l’Irlanda è
un paese fortemente cattolico. E per questo temo che tentare di imprigionare l’animalismo in una camicia di forza ideologica (di qualunque schieramento politico o religioso) sia un tentativo nefasto. Un uccellino mi ha informato che è in corso la creazione di un movimento animalista antifascista. Ben venga se segnala infiltrazioni neonaziste, ma temo – e spero di sbagliarmi – che l’intento sia anche un altro: quello di definire l’animalismo radicale in una strettoia ideologica epurando coloro che non sono d’accordo con questa miope visione del mondo. Su questo ho messo insieme un’intervista che hai letto. Cosa pensi di quello che dice Klaus – un teorico del marxismo – al riguardo?
MAX: Un conto è evitare infiltrazioni neonaziste. Un conto è usare l’antifascismo condiviso da buona parte degli animalisti per “classificare come nazi” e “sporcare” l’immagine di qualcuno.
Attualmente un gruppo di attivisti di Padova, i “100% animalisti”, sono stati attaccati e definiti “infiltrazione neonazi nell’animalismo” solo per una scelta politica di uno dei fondatori fatta anni fa.
Invece sono bravissimi, totalmente apartitici come gruppo, fanno azioni spettacolari che, oltre ad attaccare un obiettivo, fanno anche, inevitabilmente, cultura.
Hanno un attivismo che mi piace molto, muscolare e coraggioso, e sono convinto che le azioni che hanno fatto e faranno gli porteranno il supporto che meritano.
Personalmente ho delle chiare e precise idee politiche, non le dico e non le sa nessuno, e le definizione che mi danno altri mi fanno sorridere.
RICCI: E a proposito della strettoia ideologica quello che mi colpisce è che in un mondo che cambia si voglia imbrigliare l’animalismo in qualcosa – che pur essendo stato terribile e grandioso – è passato. Io leggo quello che accade in Italia. Bertinotti afferma che sente un brivido quando entra nelle chiese. Fassino sfodera la trascendenza. D’Alema ringrazia Wojtila per averlo salvato dal comunismo (che trovo assai triste!). Tutto rotea a velocità inaudita. La socialdemocrazia diventa inaccettabile. E qualcuno ci vuole infilare in un buco nero ideologico dal quale non si esce. Io sono fondamentalmente convinto che il capitalismo produca effetti disastrosi e l’ho scritto nei miei tre romanzi. Ma non sono d’accordo con soluzioni che lo stesso Marx – se fosse vivo – scarterebbe. Ciò che è stato tragico e rivive si copre il volto con la maschera della farsa. Io penso come Klaus che l’ideologia “animalista” si definirà nella lotta in maniera autonoma e originaria, e che non potrà non essere anticapitalista, riuscendo ad assimilare quello che la politica progressista è riuscita ad accumulare e insegnare attraverso la storia. Ma sicuramente, anche se fortemente anticapitalista (almeno come impostazione), l’animalismo come grande movimento di pensiero autonomo, non sarà né troskista, né stalinista. Tu che pensi?
MAX: Ho letto quello che ti ha detto Klaus, ma non credendo che esisterà mai un mondo anticapitalista, non credo che l’animalismo sarà anticapitalista.
Sarà contro lo sfruttamento di animali per motivi economici o ludici. Non necessariamente anticapitalista.
RICCI: Dopo che Liberazioni espose la colta ricerca di Maurizi riguardante “Marxismo e animali”,
invitato da Sottofattori, ho fatto un’intervista a Klaus e due amici a Barnstaple. A questa intervista Agnese Pignataro ha risposto piuttosto indignata. Ho cercato di incontrare Agnese a Roma ma non ci sono riuscito. La Pignataro – che secondo me non ha letto con attenzione quello che dicono i quattro ubriaconi nella conversazione bisboccia da “pub” – parte dal presupposto – che è il “refrain” classico ripetuto “ad nauseam” dagli amici di Liberazione – che occorre un piedistallo ideologico per l’animalismo radicale; e che il piedistallo ideologico del nuovo animalismo nascente non può essere altro che il marxismo ortodosso. Tu che pensi di questo?
MAX: Lobby, lobby, lobby!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Non contano le mie idee politiche o quelle di nessun altro.
Priorità uno: salvare animali.
Con ogni mezzo necessario.
Qualsiasi autolimitazione è un errore.
Se qualcuno “non ce la fa” a parlare con uno di Forza Italia allora si concentri con chi sente politicamente più vicino.
Chi ottiene risultati ha ragione.
Punto e basta.
La strategia inglese di pressione costante ha ottenuto risultati e quindi ha ragione.
Punto e basta.
Chi chiude i laboratori, chi blocca sperimentazioni ha una strategia che merita di essere seguita.
QUALSIASI ESSA SIA.
RICCI: Occorre ora creare una leadership in grado di farci muovere, di superare la palude stagnante del chiacchiericcio inane e sconfitto. Occorre anche tirare una linea. Tutto ciò che diventa volgare, gratuito attacco, scriteriato insulto va abbandonato. Abbandonate le scorie si riparte.
Però non dico di chiudere le porte a coloro che criticano. Questo sarebbe folle. Dico di chiudere le porte in faccia a coloro che vogliono, attraverso lo scontro folle, la morte del movimento.
Sicuramente non mi riferisco a coloro che criticano la posizione tua e della Berati.
Ora è tempo di aggregare per creare qualcosa che diventi valido politicamente. Qualcosa in grado di salvare numerosi viventi da strazio e massacro. Io penso che il riformismo momentaneo non precluda rivoluzioni. Sotto un grande ombrello mille diversità possono prendere riparo senza cambiare la loro natura. E bisogna imparare da un nemico capace: e nemici abili come i cacciatori in questo paese dove vivo e quelli della terra da dove origino ce ne sono pochi. E tu l’hai detto. Anche Lenin studiò i metodi dei gesuiti, e i gesuiti i metodi marxisti. Però dove vivo c’è una notevole differenza: gli inglesi hanno studiato i metodi dei cacciatori e con i loro stessi metodi li stanno battendo. E li stanno sconfiggendo politicamente, non con le chiacchiere su internet.
E’ tempo che si esca dal ghetto luminoso e piagnucolante per salvare i viventi massacrati.
E’ tempo di avere il coraggio di superare le differenze politiche e di unirsi in alleanze mirate e trasversali, che salvino la propria identità, di qualunque orientamento essa sia. Ma le differenze non devono essere necessariamente disgreganti come sta succedendo ora. E’ giunto il momento della svolta, è giunto il momento di lavorare per una grande aggregazione.
MAX: E’ TEMPO DI LOBBY!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Ma, non credendo che l’animalismo così come adesso si presenta sia maturo e pronto per il grande passo … io ne esco.
È ora di cercare alleanze nuove su progetti specifici.
Tantissimi odiano i cacciatori.
Fare lobby vuol dire aprirsi a forze sociali NON animaliste per l’obiettivo comune anticaccia.
La caccia è e deve essere il primo obiettivo legislativo concreto.
Perché è palesemente antidemocratica.
Non è come un lavoro di sensibilizzazione verso uno stile di vita vegano, lavoro che continua in parallelo, non si può parlare e sensibilizzare un cacciatore.
Non è come una pressione su un laboratorio, geograficamente localizzabile e quindi attaccabile.
Dobbiamo vietargli la possibilità di sfogare le sue voglie venatorie assassine.
Dobbiamo partire dalla caccia.
Dobbiamo creare la lobby.
Le interminabili discussioni su cosa debba essere o come debba comportarsi un animalista le lascio dietro le spalle.
È tempo di lobby.
RICCI: Ma la lobby (sei sicuro di non volerla chiamare Clementina?) si dovrebbe interessare, oltre che di caccia, anche di sperimentazione, sadismo e maltrattamenti, ecomafia, zoomafia, abbandoni, avvelenamenti, bracconaggio, business delle pellicce, combattimenti, allevamenti, feste, corride, pesca incontrollata…ecc…ecc…E’ così?
MAX: Assolutamente si. Ma assolutamente una cosa per volta perché, in funzione
dell’argomento, dovranno cambiare le alleanze, le forze in gioco, le strategie; ci possono essere progetti in parallelo ma non sempre è possibile.
RICCI: Lo sai che qualcuno cadrà da una colonna ora? Già dice che avveleno l’animalismo…
Mi difenderai tu da Aldot Sottofattorì?
MAX: Non ti preoccupare. Avvelenare un morto non è reato!
RICCI: Il morto è Aldot o l’animalismo?
MAX: L’animalismo ovviamente!