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Romanzi: La guerra contro gli dei

1 – ICORE

Ho sempre avuto una fissa demenziale, un’ossessione diabolica per Raskòlnikov, l’eroe di “Delitto e Castigo” che mi ha affascinato da tempo immemorabile. E da quando ho raggiunto la mia vecchia zia alla fine del mondo, l’eroe dostoevskijano mi balla come un demente nel cranio, ondeggia col suo pazzo rock’n roll nella mia mente ferita. La ragione della danza di Raskol’nikov?
E’semplice: non capisco come questa vecchia degenerata possa avere tanti soldi accumulati mentre c’è gente nel mondo che muore di fame. Ho sempre detestato la strega e ormai vivo un’autentica menzogna: le faccio credere che per lei provo un affetto sincero.
Senza soldi non si vive e per scrivere questo benedetto libro – che mi cresce nelle budella come un pargolo vizioso – devo riuscire a sopravvivere da qualche parte del globo, e devo quindi dimostrare all’arpia qualche forma vaga di affetto. E’ dura ma ci sto provando.
Provo vergogna? Molta. Ma vado avanti.
Dopo la lite col mio editore sul destino della Cina moderna e lo scontro sulle interferenze della gerarchia vaticana nelle cose dello Stato italiano, non mi resta che prendermi un anno sabbatico e ritirarmi nel Devon dove la megera ha acquistato una casa da sogno: una villa affacciata sul mare.
Vivere qui è come sposarsi con una donna ricca e doversela scopare ogni due giorni.
Ti chiudi il naso -come faceva Montanelli quando votava DC – e procedi.
Pensi a qualche cocca da sballo e cerchi di ottenere uno straccio di erezione.
Nel frattempo, l’idea di far fuori mia zia mi ronza sempre nel cranio come un fastidioso moscone.
Raskol’nikov mi danza costantemente tra le ossa parietali, si agita con la sua Salsa cubana come un ossesso; sono arrivato a immaginarlo pallido, alto, irresoluto, vestito poveramente. E l’altra notte ho sognato che mi diceva che dopo tutto non era un atto così atroce buttare la vecchia dai dirupi o spaccarle il cranio con un’ascia. Il problema è che se la faccio fuori mi prenderebbero immediatamente: sarebbe troppo ovvio. E poi detesto il sangue. Non mangio carne da anni. Quindi dovrò inventarmi come devoto nipote. Dovrò escogitare una finta tribolazione da familismo degenere: la passione immonda del sangue che per me conta meno di niente nella vita e mi fa anche un certo ribrezzo. Mi ritirerò in questo luogo delizioso e piovoso, contemplerò il mare dal colore cangiante e scriverò quello che ho sempre voluto scrivere: un libro sull’invasione mongola del Giappone.
Perché lo scrivo? Perché quell’evento é la rappresentazione massima dell’hybris della nostra specie degenerata. E’ la massima espressione della volontà di potenza che infetta il mondo.
Quindi voglio scrivere un romanzo storico che narri l’ultimo tentativo di Kubilai Khan di invadere il Giappone, nel 1281, con conseguenze letali per la stirpe dei mongoli.
Una storia grandiosa, effimera e tremenda allo stesso tempo. Un compendio di monumentale follia. La vecchia che mi considera il suo erede naturale mi ha concesso il suo studio luminoso.
Nella casa c’è un cameriera domenicana che provvede a tutto, il problema è ascoltare le farneticazioni della megera sui Tories e sulla Thatcher oltre alle oscene contumelie che riversa continuamente sul povero Blair che considera un politico al livello di Trotzsky. Non c’è cosa più tragica che ascoltare i ricchi inglesi che parlano di politica e tremano per una tassazione più equa. Tremendo è poi udirla quisquiliare su Bush e l’Iraq. Zia Donatella, detta Dudù, è una grande ammiratrice del presidente americano e della sua strategia mediorientale e considera la Fallaci alla stregua di un’algida divinità concessaci dai cieli. Avendo, inoltre, importato, truffaldinamente, un decoder Sky dall’Italia, la vecchia mi massacra quotidianamente con “L’isola dei Famosi” blaterando su un complotto di due stronze organizzato per vincere la sfida a danno di un gruppo di stupidissimi maschi.
Le elucubrazioni quotidiane della megera – oltre al massacro dell’Isola dei Famosi – si estendono a due altri programmi inglesi che riesce a seguire, portentosamente, allo stesso tempo su BBC e ITV1: The X Factor e Strictly Come Dancing. Quest’ultimo programma è condotto da un inglese imparruccato – che pensavo fosse vecchio quando io ero bambino – che ora deve avere almeno 150 anni. Il reprobo si chiama Bruce Forsyth e credo sia un nuovo Matusalemme, che secondo la Bibbia ebbe la sfortuna di vivere 969 anni. Le disquisizioni della vecchia sono analisi purgatoriali che mi devo pappare ogni sera.
Devo dire che all’ Isola dei Famosi mi sono un po’ affezionato, tanti deficienti raccolti insieme in un unico luogo non li avevo mai visti, e vederli crepare di fame mi dà un certo piacere.
Ma zia Dudù, invece, ne soffre – perché ha buon cuore – e parteggia per una nonnina 65nne che tutti chiamano la fatina e che non si capisce che diavolo ci faccia alla sua età in quel posto di dementi. Quello che sorprende è che la fatina si vesta come una bimbetta di otto anni e che questo incoraggi tutte le grinzose chiappone, che non vogliono invecchiare, a promuovere un culto della vecchiaia infantile che oscilla tra l’osceno e il volgare. Sopportare le disquisizioni televisive della megera è la parte più dura del mio patto satanico per narrare al mondo l’hybris di Kubilai Khan, e solo il tempo dirà se ne è valsa la pena.

La furiosa lite con Aurelio Bernaschi, l’editore dell’Indipendente, è originata da due articoli che ho scritto il 20 e il 21 ottobre del 2005: un reportage sulla Cina e i nuovi ricchi e un altro sulle interferenze di Ruini e il papa tedesco negli affari politici nostrani.
Sui nuovi ricchi ho ripreso la teoria di Lionel Jospin il quale afferma che il capitalismo selvaggio all’americana ha prodotto una nuova aristocrazia e che questa nuova classe – arrogante e pretenziosa – composta da dirigenti di impresa, film star, rocchettari, finanzieri, membri dei quadri superiori dell’industria e dei servizi, funzionari dello Stato, giornalisti televisivi e opinionisti sfrutta i grandi spazi che le concede il folle sistema mondiale per creare un divario mostruoso di guadagni e di redditi. Jospin sostiene che qualcosa di spaventoso si va profilando nel mondo, qualcosa che porterà a immense ingiustizie e a grandi sollevazioni, e scrive che siamo de facto davanti a un nuovo gruppo egemone che possiede beni in modo sproporzionato, mentre il mondo del lavoro collassa nell’instabilità del precariato e della delocalizzazione e le banlieuses insorgono. Questo modernismo degenere, afferma Jospin, ha creato un nuovo patriziato che è il vero signore dello Stato moderno e lo domina in maniera spudorata. A riprova di questo, ho scritto che in un mondo dominato dalla penuria e dalla morte per fame i 500 individui più ricchi del mondo hanno un reddito che è più grande di quello di 416 milioni di persone e che il 40% degli abitanti della terra – cioè 2 miliardi 500 milioni di persone – vivono con due dollari al giorno. E che mentre queste spaventose ingiustizie procedono imperterrite 10.700.000 bambini non ce la fanno a raggiungere il loro quinto anno di vita.
Mentre avviene questo massacro nel Regno Unito 200 – 300 Fund managers si dividono una torta di 4 miliardi e 200 milioni di dollari inventandosi – con Blair e il Nuovo Labour benedicente – liquidazioni criminali. E dopo aver presentato un’immagine del capitalismo trionfante sono passato a profetizzare una nuova rivoluzione cinese e ho spiegato che 400 cittadini cinesi hanno un patrimonio pro capite di circa 200 milioni di dollari mentre i poveri – circa il 20% della nazione – si spartiscono solo il 4,7% del reddito del paese. Ed ho continuato affermando che gli 800 milioni di cinesi che abitano le zone agricole si sarebbero presto ribellati perché anche in Cina si è creata una classe egemone strutturata come un’aristocrazia che contraddice totalmente i principi del maoismo. E ho continuato scrivendo che le grandi città come Nanchino, Shangai, Fuzhou, Guanzhiu e altre sarebbero diventate corpi estranei alla popolazione rurale e che si sarebbero trasformate in metastasi per la dilagante corruzione e per gli inaccettabili squilibri.
Apriti cielo! il Bernaschi, cattolico moderato, si è scatenato come una furia e mi ha definito un potenziale bolscevico che non comprende la logica del capitalismo globale.
Ma non è finito. Imbufalito per il trattamento subito ho escogitato un’altra provocazione scrivendo – il giorno dopo – un articolo che condanna le interferenze della gerarchia cattolica negli affari dello Stato italiano. E me la sono presa con il suo amato Casini chiamandolo un mestatore, un taliban che apre le porte all’oscurantismo tridentino. E siccome conosco bene come funziona il cervello del bigotto Bernaschi ho sfoderato la linea del Concilio Vaticano II che postula inesorabilmente la divisione tra Stato e Chiesa e gli ho elargito una lettura completa e noiosissima della Gaudium et spes e dell’articolo 7 della Costituzione. Basta parlare di Giovanni XXIII per provocare al Bernaschi un attacco di convulsioni. E così è stato. Bernaschi paonazzo in volto mi ha invitato ha cambiare l’articolo e a depennare la parte ove affermo che i politici italiani sono ignobilmente prostrati davanti a un Papa squisitamente reazionario. Io mi sono rifiutato e ho gridato che faceva bene Pannella a osteggiare questo clericalismo ottuso che produceva tintinnamenti metafisici anche in Fassino e in Bertinotti.
E siccome Bernaschi continuava ad inveire gli ho urlato che mai si era arrivati a tanto in Italia e che per un pugno di miseri voti la sinistra si stava prostituendo, e che non solo il papa tedesco era un reazionario ma che quello polacco era anche peggio e la storia dei profilattici davanti alla peste dell’AIDS lo provava: per una cupa perversità dogmatica si condannavano a morte milioni persone.
“E lo sai stronzo quanta gente muore di AIDS nel terzo mondo?» Gli ho urlato «40 milioni di persone crepano…lo sapevi scemo?”
“Fammi un favore …vai a coprire quello che sta accadendo in Francia nelle banlieuses così c’è il rischio che ti fanno fuori…e ti levi dalle palle…” mi ha risposto.
“Vuoi che copro la guerra contro la nuova aristocrazia? La guerra contro gli dei…eh?” Ho chiesto.
“Copri quello che cazzo vuoi …ma levati dalle palle!” Ha concluso.

Ci ho ripensato come i cornuti: la guerra contro gli dei?

Nel canto V dell’Iliade c’è un brano eccezionale. Pandaro, figlio di Licaone, affronta Diomede con grande arroganza, crede di averlo ferito e lo vuole finire. La punta della sua lancia ha trapassato lo scudo dell’Acheo e sfiorato la corazza.
“Sei ferito” urla Pandaro a Diomede “non sarai in grado di resistere.”
Ma il figlio di Tideo, che non è stato contuso, prende la mira e scaglia la lancia che entra nella bocca di Pandaro attraverso i candidi denti, gli taglia la lingua e fuoriesce dal mento; il micidiale colpo lo fa crollare dal carro tra il cupo risuonare delle armi di bronzo.
Intorno al suo corpo si scatena una violentissima zuffa. Enea urla e protegge il corpo del morto.
Diomede vede Enea, e cerca lo scontro per far si che l’eroe esali la forza vitale dalla chiostra dei denti. Il figlio di Tideo, prende un macigno e lo getta sull’anca del troiano recidendogli due tendini del cotile. Enea crolla a terra e Omero dice una notte cupa gli scese sugli occhi. Enea sembra spacciato. Diomede, preso da una furia cieca, cerca di piantargli una lancia nel petto. A questo punto interviene Afrodite, la Madre dell’eroe troiano che lo copre con un peplo splendente per proteggerlo dalla furia dell’Acheo. Diomede vede la dea e pur sapendo di confrontarsi con un essere divino non desiste. Una furia spaventosa lo prende e insegue Afrodite con la lancia spietata. Omero usa parole bellissime per descrivere l’incredibile evento. Il figlio di Tideo rincorre affannosamente la dea gemente e impaurita; e presa la mira osa l’inosabile: ferisce Afrodite nella parte estrema del braccio.
L’immagine è stupenda: la punta della lancia penetra il peplo divino tessuto dalle Cariti e dal braccio ferito della dea sgorga l’icore, il sangue degli immortali.
Afrodite a questo punto si dimentica del figlio, l’abbandona: Enea sarà salvato da Febo Apollo che l’avvolgerà in una nuvola oscura per proteggerlo dalla furia dell’Acheo.
Ma Diomede non ha finito; ha osato l’impossibile, ora va oltre e grida parole di scherno alla dea.
Le dice levati di qui, tu sei buona solo a far sedurre le donne, ma se prendi parte alla guerra proverai solo orrore e non vorrai più sentirne parlare. La dea fugge frignando in uno stato di panico isterico e, come una star hollywoodiana, scappa gemendo e piagnucolando. Iris dai piedi leggeri, la messaggera degli dei, interviene e l’allontana dalla zuffa feroce. Le due dee trovano Ares, il dio della guerra, appoggiato a una nuvola e Afrodite gli chiede i suoi cavalli divini per raggiungere l’Olimpo e gli dice: “soffro per la ferita che mi ha inflitto un mortale che oggi combatterebbe anche contro Zeus”.
Dice proprio così: il mortale, Diomede, oggi avrebbe la sfrontatezza di battersi anche contro Zeus, signore dell’egida. Ares concede il cocchio e le due dee volano verso l’Olimpo. Vedendo Afrodite ferita, Dione, sua madre, rimane stupefatta. Chi ha osato? Chiede mentre tratta teneramente la figlia atterrita. E Afrodite dal dolce sorriso risponde: “L’audace Diomede, il figlio di Tideo, mi ha ferito…”
e aggiunge: “non è più tra Troiani ed Achei che si svolge la mischia tremenda, poiché ormai i Danai combattono anche contro gli dei”. Nel frattempo la mischia presso Ilio continua. Diomede non desiste e si getta con un grido possente contro Apollo che protegge Enea ferito. Per tre volte, con immensa hybris, il figlio di Tideo si scaglia contro il glorioso iddio. E il signore dell’arco lo respinge colpendo con grande forza lo scudo lucente dell’eroe. Dopo un quarto assalto furioso – in una scena stupenda e solare – Febo intima minaccioso all’eroe di desistere. Gli dice: “Figlio di Tideo, bada, retrocedi, la tua mente non è simile agli dei, la stirpe dei mortali, che camminano sulla terra, e quella degli immortali non sono le stesse”. E Diomede desiste – immaginiamo – pieno di furia.
Il figlio di Tideo, si è misurato con gli dei e dal terribile incontro è riuscito a sopravvivere.

Mio padre era di Milano e diceva sempre che mia zia Donatella (detta Dudù) si era conquistata il mondo con la bocca. Quando ero bambino non capivo quello che intendesse ma più tardi tutto mi divenne chiaro. Dudù aveva sposato un grande manager di un Fund britannico – un membro della folgorante aristocrazia, che tanto affascina i laburisti, e che si concede miliardi di liquidazione quando cessa di lavorare – e se lo era spompinato per anni. In ducati sonanti zia Donatella aveva scelto un finanziere di Bath senza amarlo, lo aveva sedotto attraverso continue fellatio e si era fatta sposare quando si era accorta che il malcapitato non riusciva più a vivere senza il quotidiano trastullo orale.
Mio padre – che elargiva sempre perle di popolare saggezza – ripeteva sempre che i bocchini sono fatali. Ciryl Cockswell – Smythe aveva ceduto dopo anni di sublimi fellatio e la megera, diventata ricchissima, aveva preteso una casa sul mare. Dopo il matrimonio Dudù era stata tremendamente infedele e tutti la conoscevano per la sua incontrollata libidine. Avevo capito tutto quando mia madre sospirando una volta mi disse: “Se fossi stata una troia come mia sorella ora sarei miliardaria, invece sono una brava casalinga che è finita con un brontolone stronzo”. Dopo aver scelto la preda, Donatella aveva seguito metodicamente la strategia che aveva escogitato la Simpson per sedurre Edoardo VIII:
a forza di scopate lo aveva costretto ad abdicare. Infatti l’avventuriera americana diceva sempre che solo lei sapeva come far star bene il monarca, e sotto le lenzuola era stata veramente brava dal momento che il re era considerato da molti un potenziale omosessuale. La Simpson era stata la grande maestra di Dudù ma si diceva che l’arte della fellatio, mia zia l’avesse appresa studiando per anni il film Gola profonda e attraverso i contatti con Luisa Conturbini, una mignotta milanese di via Moscova, famosa nel mondo meneghino per la sua arte orale. Questa ars magna le fece conquistare il mondo. Mio padre che diceva sempre: “Con i pompini si conquista il mondo”, provava un sentimento di compassione verso il povero Ciryl Cockswell – Smythe soggiogato dalle tremende fellatio di Donatella e poi tragicamente incornato. “Tua sorella doveva lavorare in un prostibolo” mormorava sempre Egidio Tirabassi a mia madre. Ma Donatella se ne fotteva di quello che pensava Egidio e procedeva per la sua strada: il ricco inglese lo aveva trovato, e si era metamorfizzata in una classica lady che si era spalancata la porta dell’alta borghesia britannica attraverso notevoli elargizioni al partito conservatore che adorava. Donatella, infatti, riteneva la Thatcher il più grande personaggio storico del Regno Unito superiore anche a Churchill, Lady Diana e a Beckham.
Ciryl Cockswell – Smythe nel 1981 dopo essersi eccitato smoderatamente durante un Prom nell’Albert Hall di Londra tirò le cuoia. Si dice che, dopo aver ballato e agitato l’Union Jack insieme a tofs e yuppies, in un insano tripudio di sciovinismo, sia rimasto rigido dopo un esercizio orale di Donatella. Mia zia lo seppellì con tutti gli onori e cominciò una vita dissoluta, sperperando in assurdi viaggi e crociere con giovani amanti, mezzo milione di sterline.
Quando Ciryl Cockswell – Smythe morì aveva 68 anni e mia zia ne aveva 60.

Bellum contra deos. Che pagine stupende.
Diomede che si confronta, armi in pugno, contro il divino. E osa l’inosabile.
La guerra contro gli dei comincia quando la coscienza germogliante in questo lembo infinitesimale del multiuniverso pluridimensionale decide di scegliere la via della compassione.
Quando la coscienza solitaria e ferita decide di fuoriuscire dalla gran ruota del cannibalismo universale ha inizio la vera guerra contro gli dei. Che non è quella di Diomede.
L’Iliade è costellata da ecatombe. Ogni atto particolare richiede sangue innocente e animale. Come l’altare di Jahvè nel tempio di Gerusalemme.
L’antichità classica è un fiume di sangue innocente e di grasso bruciato.
Gli dei sono entità invisibili, terribili e assetate di sangue.
Il pacifico Mahavira è in un senso Diomede.
Mahavira pacificamente darà inizio, tra i primi, al Bellum contra Deos.
Qualcuno ad un certo punto dell’insignificante storia di questa microscopica crosta persa negli abissi siderali decide che non bisogna più accettare ciò che gli dei richiedono.
Decide che la ruota dello strazio sanguinoso deve cessare.
Qualcuno dice: “non più massacro e cosce bruciate sugli altari” e osa l’inosabile, come osò Diomede con Afrodite dal dolce sorriso. Come osò il figlio di Tideo con Febo, che in passato, per un fatto di minore importanza, aveva scuoiato vivo il satiro Marsia sotto gli occhi dell’attonito Mida.
La coscienza solitaria che si sviluppa ad un certo punto del suo lungo tragitto cerca di fuoriuscire dall’orrore del divenire. 14.000 anni dopo il Big Bang, 150.000 anni dopo il primo volo di un dinosauro uccello; 1,8 milioni di anni dopo l’apparizione del homo erectus e un milione di anni dopo quella della signora di Buya, la coscienza solitaria e ferita si confronta con la sua peculiarità e desiste dal massacro scegliendo una forma di noluntas schopenhaueriana per mettere fine, in forma irrisoria e parziale, al cannibalismo globale.
E comincia il mormorare dei saggi contro l’universale carneficina: Zarathustra, Pitagora, Anassagora, Democrito, Platone che apre la porta della metempsicosi, gli oracoli Caldei, Apollonio, il grande Plutarco cominciano ad opporsi al grande macello.
E questa scelta è un andare contro gli dei e un andare contro il corso normale della vita che tratta gli esseri individuali, le miriadi di individuazioni, come cani di paglia, come lattine di birra schiacciate, come mozziconi di sigarette.
La vita tratta le miriadi di cose come foglie secche cadute dagli alberi.
La coscienza infelice, ferita, solitaria, ad un certo punto del suo tremendo incedere si scontra, come Diomede, con gli dei, e cerca di mettere fine al macello universale.
Dal cupo evolversi cresce la ginestra desertica.
L’evoluzione produce la coscienza peculiare che dice no alla vita.
E che, come la noluntas schopenhaueriana, si ribella alla volontà cieca che scuote le miriadi di esseri come consunte marionette.
Achille dopo la morte di Patroclo dà inizio alla carneficina. Gli dei trattengono Ettore che ha mietuto vite tra gli Achei, approfittando della bagarre su Briseide. Non andare gli dicono, confrontarsi con Achille significa morire; il Pelide ti stroncherà se l’affronti. Achille furibondo imperversa. Le grandi odi dell’Occidente sono intrise di sangue, sono racconti di macelli e di eccidi. Omero è più terribile di Tarantino, sono oltre 400 i massacrati dell’Iliade.
Urla il Pelide furioso e sotto i suoi colpi tremendi cadono Ifitione, con la testa spaccata in due; Demolonte, con il cervello spappolato; Ippodamante con la lancia di frassino infilata nella schiena; Polidoro con le viscere che fuoriescono dal ventre. Poi, il figlio di Peleo si getta su Ettore che Apollo salva coprendolo con una fitta nebbia. Furibondo per vedersi sfuggire la ghiotta preda Achille si scaglia su Driope e lo colpisce al collo. L’immondo macello continua. Demuco muore con un colpo di spada, Laogone e Dardano soccombono. Troo trema, cade in ginocchio e chiede pietà. Il Pelide gli fa schizzare il fegato dal corpo. Mulio crolla con la lancia che gli entra in un orecchio e gli esce dall’altro. Scende la morte nera sugli occhi di Agenore, un colpo in testa l’uccide. La testa di Deucalione schizza via troncata dal corpo. Il Pelide, tremendo, crea scompiglio tra le file troiane: il fiume Xanto ribolle di cadaveri e sangue. L’eccidio è incontenibile. Nel fiume, Achille, cattura dodici giovani guerrieri per immolarli sulla tomba di Patroclo. Massacra Licaone che aveva precedentemente catturato e venduto come schiavo. Gli dei sono crudeli: dopo undici giorni di riacquistata libertà il figlio di Priamo soccombe al macello. Asteropeo cade con le viscere che si spargono sulla nera terra.
Achille infuria: cadono Tersiloco, Midone, Astipilo, Mneso, Trasio, Ennio e Ofeleste.
Davanti a tanto orrore la natura si ribella e i fiumi Xanto e Simoenta sollevano un’onda terribile, ma Era ed Efesto salvano l’eroe. Il Pelide si riprende e insegue Apollo che, assunte le sembianze di Agenore per salvare lo stesso figlio di Priamo, lo raggiunge e scopre di avere a che fare con un dio. Maledetto, farfuglia “se solo potessi mi vendicherei” ma sei un Dio e non posso farlo. Apollo non è Afrodite. Meglio desistere. Poi si confronta con Ettore e lo insegue. Omero dice: “Così nel sogno, non riusciamo a inseguire chi fugge, chi fugge non riesce a fuggire. Chi insegue non riesce a inseguire.” Magiche parole. Dopo il duello, la morte e lo scempio del cadavere del figlio di Priamo, un altro massacratore massacrato, Achille torna a piangere Pratoclo. I Mirmidoni innalzano un rogo di cento piedi di lato e in cima alla pira depongono il cadavere dell’eroe. Patroclo, anche lui autore di massacri, è stato vendicato. In poche righe Omero narra la carneficina che si svolge prima che l’eroe soccomba sotto i colpi di Ettore. Sotto la furia di Patroclo, che scatta, con le armi del Pelide, in difesa degli Achei, cadono tra l’echeggiare del bronzo: Adrasto, Autonoo, Echeclo, Perimo, Epistore, Melanippo, Elaso, Mulio e Pitarte. Poi spunta Apollo – il deus ex machina dei Teucri – e per tre volte respinge l’eroe che ha opposto resistenza Diomede. Alla quarta il dio appare minaccioso e Patroclo desiste.
Il linguaggio omerico mirabilmente scandisce i momenti dell’orrore. Il rogo di Patroclo è pronto: ora inizia il massacro animale. Vengono scuoiate pecore e buoi. Il cadavere viene spalmato con il grasso delle bestie. Intorno al defunto le carcasse scarnificate abbondano. Un’ecatombe terribile accompagna l’eroe a disarticolarsi e a squittire tra le larve dell’Ade. Perché quello è il destino di tutti i mortali: svolazzare come esangui pipistrelli nel regno dei morti. I cani di paglia giacciono tra anfore di miele e di olio appoggiati al letto funebre. Ma non è finito. Quattro stupendi cavalli vengono gettati sulla pira. E per concludere due poveri cani vengono sgozzati con i dodici prigionieri catturati nel fiume Xanto.
E’ fatta. Il fuoco si alza. Le fiamme divorano gli esseri macellati e le cose.

La prima volta che sentii parlare di Olmo Briganti fu quando mia zia Dudù, mi disse che in un villaggio vicino viveva un neo nazista italiano. Quando mi raccontò del fascista nella mia mente galopparono le immagini dei massacratori del Circeo, delle bombe di Bologna, di quelle di Brescia e roba varia. E mi chiesi: che ci fa un fascista italiano in questi luoghi ameni?
Donatella precisò: Jonathan Prescott, un suo ex amante, lo frequentava e se la spassava – una cosa incomprensibile per lei – con il reprobo bevendo pinte di birra in vari pub.
Jonathan Prescott era un vecchio professore di ottant’anni, un filosofo che aveva passato la vita a demolire Hegel – e tutto il filone filosofico scaturito da quelli che lui considerava fossero i vaneggiamenti del pensatore tedesco – , e dopo essere stato professore di Dottrina della Chiesa e Filosofia Teoretica a contrastare il cattolicesimo wojtylano. Prescott, che parlava un italiano erudito, aveva insegnato in università inglesi, canadesi e americane e scritto sei libri prima di ritirarsi prima a Bologna e poi a vita privata nel Devon per godersi le strabilianti arti della megera.
Jonathan, infatti, era un amico di famiglia che se la spassava con Dudù quando il povero Ciryl si allontanava per far soldi. Quando chiesi informazioni su Olmo Briganti, Jonathan me lo descrisse come un uomo interessante che aveva radicalmente cambiato la vita a causa di un problema filosofico da lui ritenuto un autentico flatus voci, uno specchietto per allodole per intellettuali latini o per tedeschi ubriachi di birra e di metafisica. Jonathan affermava che Briganti, dopo essersi confrontato con questo problema, aveva radicalmente cambiato la propria esistenza. E alla mia domanda sull’ipotetico neonazismo dell’italiano, Jonathan aveva risposto che non bisogna mai ascoltare le troie (hussies aveva detto) quando cianciano di politica. Dopo aver parlato con il professore mi ero immaginato Olmo come un fascista pentito. Ma la curiosità mi divorava. E il sospetto anche. Che ci faceva un fascista italiano di circa sessant’anni in questo posto sperduto del Devon? Si nascondeva? Operava ancora con l’estrema destra britannica? Era veramente cambiato? Jonathan non escludeva la possibilità della fuga a causa del terrorismo ma affermava che l’uomo che aveva incontrato non gli sembrava il tipo classico del bombarolo che fa stragi sperando in un colpo di Stato militare alla greca. Decisi di incontrare Olmo in un pub. Pensammo a una tattica che non insospettisse il reprobo: io sarei giunto improvvisamente e Jonathan mi avrebbe presentato. Dopotutto Briganti sapeva della mia presenza e sapeva anche chi fossi e se mi avesse evitato mi sarei oltremodo insospettito. Il fatto che Olmo eludesse un giornalista, relativamente conosciuto, avrebbe destato sospetto. Ma Jonathan era convinto che passare alcune ore con Olmo sarebbe stato piacevole; dopotutto per l’età Olmo non sarebbe potuto essere un torturatore di Dachau o Buchenwald, ma un fuoriuscito alla Valerio Fioravanti o alla Francesca Mambro sarebbe potuto esserlo, eccome. E qui c’era odore di scoop. Jonathan mi raccontò che Olmo viveva poveramente in una casa fatiscente ricolma di libri di Evola, Nietzsche, Schopenauer, Heidegger e altri numi dell’illusionismo latino – teutonico.
Il professore con il suo approccio anglosassone detestava tutto il baillame filosofico teutonico che odorando di Wagner e walkirie e che secondo lui aveva fatto crescere nel grembo della Germania la vipera guglielmina – hitleriana.

Fu così che incontrai Olmo Briganti. E fu un incontro piacevole che mi cambiò la vita e mi distrasse dalla granitica hybris di Kubilai Khan.

2- IL PORCELLO DI ORESTE

Olmo lo incontrai in un piccolo pub dalle pareti a strisce verdi e rosa adorne di quadri raffiguranti gufi e fiori. Era seduto vicino ad un fuoco a gas artificiale e sorseggiava una birra. Aveva un basco nero in testa e la barba brizzolata. Era un uomo robusto. Indossava una camicia a scacchi e una cravatta a puntini bianchi su fondo blu, una giacca di velluto marrone, pantaloni scuri con grandi tasche ai lati e scarponi ai piedi. I suoi occhi erano chiari e afflitti. Entrai in sordina accolto dall’oste obeso quasi fossi un marziano. Il “Times” era aperto sul suo tavolo. Il ciccione mi chiese senza preamboli: “What yer want?” Ordinai una lager. Jonathan rapidamente si alzò ostentando meraviglia e disse: “Ma che sorpresa Arny… che ci fai qui?” Parlava un italiano perfetto con un glorioso accento alla “Laurel and Hardy”
Risposi: “Sono di passaggio… e tu che ci fai qui?”
E lui sorridente e ammiccante: “Vieni a bere con noi che ti presento un connazionale…”
“Un italiano qui?” Chiesi, fingendo sorpresa.
“Ti presento Olmo Briganti, un enigma avvolto nel mistero”
“Piacere…- dissi – il mio nome è Arnobio Tirabassi…”
“Un Italiano eh?” Chiese Olmo.
“Cose che capitano –risposi – ma può capitare di peggio…”.
“ Lei dice…mah! Però io la conosco: Jonathan mi ha parlato spesso di lei… le posso dare del tu?”
“Ci mancherebbe… anche il mio cane me lo dava…”
“Ho sentito che si è preso un anno sabbatico e vive nella splendida casa di Dudù a precipizio sul mare…”
“Si voglio scrivere un libro… e vivo con mia zia…”
“Non ho mai letto i suoi articoli… non leggo l’Indipendente… leggo il Corriere… quando lo trovo”
“La voce dell’Italia decente…”
“Decente? Non esageriamo…”
“Sai di cosa stavamo parlando Arny? – Intervenne Jonathan – stavamo parlando dell’annientamento ratzingeriano del Limbo… non è una cosa stupenda?”
“Incredibile…- risposi – qualcuno si sveglia la mattina e decide di cancellare qualcosa nella quale hanno creduto i fedeli per oltre 1600 anni… non è stupendo? Il tedesco si sveglia di buon umore e decide: non c’è più il limbo… lo abbiamo abolito… ah ah ah… ma non è possibile…”
“Tornando indietro un po’… e dico solo un po’- precisò Jonathan – Pio X, nel 1904, continua a menarla con quest’idea perversa del luogo ove i piccoli non soffrono ma non trovano neanche la consolazione di Dio… poi Wojtyla addolcisce la pillola e affida i babies alla misericordia divina… più tardi arriva Ratzinger e mette fine all’oscenità… “Ach… scheisser!” ma fino a ora se non avevi ricevuto il battesimo te la scordavi la visione beatifica di Dio…”
“E tutto deriva dall’eterno, infido Agostino – intervenne Olmo – e dal 400 dopo Cristo che ce la menano con quest’oscenità… poi una mattina si sveglia il tedesco e patatrac! Compagni contrordine! Il Limbo svanisce… evapora… ah ah ah…”
“Sapete chi era contro l’idea del Limbo?” Chiese Jonathan
“No…”
“Abelardo… e sapete perché?”
“Perché?”
“Perché Abelardo scopava… aveva provato la passera…”
“Mica ci ero arrivato…” dissi.
“Quindi tutto è crollato? Il limbus patrum… il limbus infantium…” chiese Olmo.
“Tutto in soffitta…”
“In Sardegna è accaduta una storia ben strana… posso raccontarvela?” Chiesi.
“Con piacere”
“In una città chiamata Mogorella non lontano da Oristano una pia sarda prega in una chiesa.
Mentre la donna è raccolta in devota preghiera, improvvisamente, un grande crocifisso si stacca dalla parete con tutta la struttura marmorea che lo sorregge e le crolla addosso schiacciandola. Quando raccontai questa storia al mio editore, un notorio taliban ecclesiastico, mi guardò, sorrise e disse: il Signore se l’è presa con sè! Il monoteismo è la giustificazione assoluta del Caso… monotheism is the total justification of random chance… Jonathan… l’Islam in particolare postula la giustificazione incondizionata e sublimata dell’imprevisto, del fortuito… un terremoto massacra migliaia di poveri in Pakistan? È la volontà di Allah… senza mezzi termini… la mia professoressa credeva in queste stronzate… e chi se la dimentica la troia!”

La mia professoressa, devota di Maria Goretti e Padre Pio leggeva tremebonda la descrizione del massacro. In Omero tutto è nobile, sereno, simile agli dei, superbo, divino… tutto meno Tersite, che forse è l’unico che vede le cose con chiarezza. Quando sentii la professoressa declamare il massacro, mi sentii male. Pensai: ecco le basi dell’Occidente che erige monumenti ai massacratori. Nel mondo greco tutto è olocausto. Ogni momento è buono per immolare l’innocenza indifesa. Omero scrive 600 anni prima dei fatti di Troia – forse l’ottavo secolo avanti Cristo – nel sesto secolo dopo Cristo, duecento anni dopo, nasce il Jainismo, la dottrina della non violenza spirituale. La belva umana che Edward Wilson definisce il “killer planetario” – perché la sua venuta ha prodotto e produce catastrofiche estinzioni tra le altre specie – trova un briciolo di compassione nel suo cupo cuore. La volontà cieca shopenaueriana si placa in una momentanea noluntas. Ma il macello riprenderà attraverso i secoli con spaventosa regolarità.
Un simbolo della bestia innocente massacrata?
Il bufalo di “Apocaypse Now” troncato a metà dalle asce e dai machete dei Montagnardi, nel Vietnam di Coppola. Lo vendicheranno i prussiani di Oriente: i Vietnamiti. Il bufalo è lì sereno nel centro dell’orrore e attende la terribile morte. I selvaggi Montagnardi danzano prima dell’oscena immolazione. Lui è calmo, non sa che tra alcuni istanti lo troncheranno in due parti.
Achille è il simbolo della sopraffazione eretta a forma divina. La principessa austriaca Sissi, che tante mamme italiche ha fatto piangere, adora il Pelide. La borghesia vaneggia per il massacratore, ma é divisa in due fazioni: una è per Ettore, l’altra per Achille.
“Perché Achille uccide anche i cani, signora?” Chiesi un giorno, un giorno, alla mia professoressa.
“Ehhh…- rispose la pia donna – tu stai a pensare sempre alle bestie!”
Le si inumidiva la vulva quando pensava al Pelide Achille e poi la sera si dissolveva tremebonda e casta nella luce iperuranica dei suoi santi: Ah Madame…l’ambiguità del paganesimo cattolico!
L’altro giorno a Balì è morta la principessa Tjokorda Istri Muter di Ubud. Aveva 94 anni, per lei hanno sacrificato 600 bestiole. Quanto orrore hanno richiesto queste oscene, sanguinose deità. Aveva ragione il Kurtz di “Cuore di Tenebra” quando morendo sussurrava: “ah l’orrore… l’orrore!” Si: l’indicibile orrore! Ricordo la mia professoressa, che aveva una notevole peluria sul labbro, che divenne in tarda età un lussureggiante baffo staliniano, leggere fremente le Eumenidi, la parte finale dell’Oresteia. Dopo il grande macello, che inizia con Tieste, dei pargoli divorati come fossero spezzatino; di Ifigenia scannata, per placare le capricciose deità, come fosse una povera pecora; di Agamennone intrappolato con un peplo e macellato nel bagno con una bipenne come fosse un vitello; di Egisto pugnalato e di Clitemnestra trafitta; Oreste, inseguito dalle furie, arriva supplice ad Atene, seguendo le indicazioni del Lossia, Febo Apollo, che ha spiegato alle Eumenidi che la colpa del matricidio è stata lavata dal sangue innocente di un porcello. Quando la professoressa leggeva queste parole rimanevo perplesso: quel grande fiume di sangue lavato dal sacrificio di una povera bestia innocente? Da un porcello massacrato? Ma come? – mi dicevo – da Pelope a Ippodamia, da Tieste ad Atreo, dal massacro dei due omosessuali Laio e Crisippo, giù fino ad Agamennone e a Menelao, attraverso incesti, da Pelopia violentata a Ifigenia trascinata al macello con l’inganno, attraverso scannamenti e innominabili turpitudini, giungiamo all’apice della piramide dell’orrore con Oreste che pugnala la madre omicida e il sangue d’un disgraziato porcello lava la colpa tremenda accumulata nei tempi e sospesa su Micene come un miasma pestilenziale? Ma che logica è questa che per purificare l’orrore degli uomini sia sempre necessario immolare inermi bestie? E sono sempre le bestie più innocenti, quelle che si cibano d’erba a essere sbudellate dal bronzo crudele.

Un’altra cosa che mi sorprendeva e mi feriva era la lettura della Nekya di Odisseo: il suo viaggio nell’Ade per incontrare Tiresia. Omero ci narra che quando l’Acheo giunge nella terra dei Cimmeri – che deve essere vicina ai luoghi dove abito perché è ormai da quindici giorni che non vedo il sole – e approda in lande avvolte da nuvole e nebbia ove una cupa notte incombe su gente infelice trascina con sé gli animali per gli inevitabili sacrifici e scava una fossa, larga e lunga un cubito, e, e vi versa una libagione di miele, vino, acqua e latte. Fatto questo promette di immolare, quando ritornerà ad Itaca, la più bella giovenca di tutta la mandria, e di sacrificare per Tiresia un ariete nero. Subito dopo invoca i morti e sgozza le bestie – con l’arma affilata – facendo scorrere sulla nera terra il sangue innocente. Le anime dei morti accorrono all’odore del sangue e si spingono verso il greco che le respinge con la spada sguainata, perché deve essere Tiresia il primo ad abbeverarsi affinché possa profetizzare.
La narrazione mi riempiva di orrore. La mia professoressa, col baffo tremolante, raccontava il macello fremendo. La sua voce tradiva un’incontenibile gaudio, la schizofrenia della devota cattolica irrompeva sfrenata. La personalità pagana, da menade potenziale, emergeva dalla nuvolaglia dell’incenso. Si passava, con inaudita temerarietà, da Maria Goretti a Clitemnestra con l’ascia bipenne, o a una menade danzante. Si transitava, senza esitazioni di sorta, da Padre Pio al Pelide Achille che, forse, nella sua immaginazione alterata, la trascinava come schiava in una tenda e, spietatamente e sessualmente, ne abusava.

“Una curiosità Jonathan…- chiesi – tutti i padri della Chiesa sostenevano le tesi agostiniane riguardo il Limbo dei bambini?”
“Eh no, my dear… Agostino era fortemente osteggiato, per esempio Innocenzo III rifiutava le pene infernali e limitava i pargoli all’esclusione della luce divina: non soffrivano ma Jahvè se lo sognavano… non lo vedevano…niente luce del Signore…”
“Pensa un po’…”
“…E tu conosci il mio amore per Pelagio, Arny, lui – insieme a Celestio, un vero duro – escludeva che il peccato d’Adamo avesse macchiato l’umanità… era un liberal e tagliava la testa al toro – come si suole dire. Ma devo riconoscere che anche Tommaso d’Aquino non ne voleva sapere delle sofferenze e dell’esclusione dei piccoli e diceva che il Limbo era uno stato di felicità positiva. Erano quelli come Gregorio di Rimini e i padri africani – i briganti agostiniani – che postulavano l’orrore: Patavio, il Concilio di Cartagine e quello di Firenze, Noris e Berti e gli scandalosi giansenisti… insomma c’erano due scuole di pensiero: l’agostiniana e la tomistica con forti differenze tra di loro.”
“E il purgatorio?”
“Quella è una tarda invenzione quando spunta l’idea è circa la seconda metà del XII secolo…”
“Mi ricordo un’illustrazione di William Blake che mostra il Limbo: ci sono i grandi poeti sotto alberi frondosi mentre in alto volano donne con fanciulli che si elevano contro nuvole tempestose:
un’immagine commovente…”
“Anche Dante nobilita il limbo, ci mette Omero, Orazio, Ovidio, Lucano… e poi Cesare, Enea, Ettore, Socrate e Platone… insomma una bella compagnia…”
“Ma infila il limbo nell’inferno?”
“Dopo la porta infernale… nel primo cerchio…”
“E ci sbatte tutti gli antichi padri: i grandi ebrei Noè, Abele, Mosè, David… tutti…”
“Certo che non c’era da aspettarsi molto da Agostino che si trastullava nel circo a vedere i cani che sbranavano conigli…” intervenne Olmo.
“Agostino doveva restare a fottersi le sue belle nere – puntualizzò Jonathan – e invece quando non scopa più comincia lo scontro epico con Pelagio e a quel punto chi lo ferma più: ci devasta; da lì arriviamo ai giansenisti, a Calvino e a tutti coloro che rifiutano o limitano grossolanamente il libero arbitrio…”
“Come perseverano negli errori – osservò Olmo –: ci hanno rifatto: non riescono a lasciare i bambini in pace: in Croazia, in Brezovica vicino a Zagabria è venuto fuori un altro orrore, e ad Ampleforth un nuovo scandalo; due monaci perversi si sono sodomizzata mezza scuola. Non li fermi questi pedofili in gonnella: sodomizzano tutti. E pare che il mite Hume, il cardinale, coprisse gli eccessi. Quando ho raccontato questa storia al curato di qui, Father John, mi ha risposto che l’innocenza dei bambini attrae i preti. E mi è sembrato che giustificasse gli stupri…”
“Questo tedescaccio però – interloquì Jonathan – almeno ha inceppato la macchina polacca della fabbrica dei santi, dopo lo spagnolo dell’Opus Dei, Wojtyla ci stava provando con padre Dehon un antisemita… e Ratzy baby ha bloccato la beatificazione…”
A questo punto Olmo si sollevò pesantemente, mormorò: “Scacazzaburunt…” e si diresse verso il bagno.
“Scacazzaburunt che significa?” Chiese Jonathan quando Briganti tornò.
“Cicerone durante una catilinaria interruppe l’arringa per defecare dicendo: Scacazzabuerunt!” Spiegò Olmo ridendo.
“Ma non è latino!”
“Pazienza… qualcosa sarà…ma non andiamo per il sottile: cosa meglio di una sana defecazione, eh nobio? Una curiosità… ma che tiratura ha il tuo giornale?”
“Te lo spiego in poche parole: il Corriere raggiunge 670.000 copie, Repubblica ne vende circa 40.000 in meno, il Giornale del reprobo vende circa 200.000 copie e Libero circa 70.000. Ebbene, noi siamo ai livelli dell’Avvenire circa 100.000 copie e siamo moderatamente di sinistra… molto moderatamente di sinistra…”
“E tu sei moderatamente di sinistra?”
“Io sono un anarchico potenziale che vota, obtorto collo, per l’Ulivo…”
“Chissà per chi votano nel Limbo o nell’Ade?” Chiese Jonathan.

Nell’Ade i morti si avvicinano con stridii acuti, sembrano pipistrelli, sono larve dalla minima parvenza di vita che, bevendo il sangue, riacquistano un rimasuglio di forza vitale. Odisseo, livido per il terrore, ordina di scuoiare, con il bronzo crudele, le bestie e bruciarle. Appare Elpenore e gli dice che il destino funesto e il troppo vino lo hanno perso. Come dire “aò , a me m’hanno rovinato ‘e donne!”. Giunge Anticlea ma l’Acheo dolorosamente la respinge. Alla fine con uno scettro d’oro si manifesta l’indovino Tiresia e si abbevera del sangue innocente. Quando vidi il filmato dell’Odissea del 1968 diretto da Franco Rossi con Irene Papas e Bekim Fehmiu rimasi sbalordito. Tiresia profetizza con la bocca rigurgitante di sangue: sembra un vampiro che ha appena sollevato la bocca dal collo di una vittima. Mi sono chiesto, e mi chiedo tuttora, come hanno fatto i greci ad immaginare che i morti avessero bisogno del sangue di bestie innocenti per raccattare spiccioli di misera, larvale vita. Non mi colpiva la tremenda profezia che Tiresia propina a Odisseo ma la bocca della larva tebana traboccante di sangue innocente. Nella mia mente quella è rimasta l’immagine emblematica dell’assassino cosmico che devasta il pianeta. L’assassino della specie dominante sulla terra che Stephen Hawking chiama schiuma chimica fluttuante su un pianeta di media grandezza. Il baffo della devota gorettiana fibrillava di gioia quando narrava la Nekya di Enea. Con una voce gutturalmente sexy, come se fosse posseduta da un dio, la professoressa, descriveva quello che era stato necessario fare per far penetrare l’eroe tra le fauci d’Aorno. La profetessa prende quattro giovenchi dal dorso nero, li bagna sulla fronte con il vino, strappa ciuffi di peli che brucia evocando Ecate. Quando questo è fatto, gli uomini che accompagnano il Teucro piantano coltelli in gola alle bestie e raccolgono in coppe il sangue tiepido. La Sibilla, a sua volta, sacrifica una pecorella, dal vello nero, e una vacca sterile alla madre delle Eumenidi e a Proserpina. E quando la notte giunge innalza altari e sacrifica tori al re dello Stige versando grasso nelle interiora ardenti. Dopo l’ecatombe sente ululare esseri simili a cagne e, allora, invita Enea a procedere con fermezza d’animo.
E il risultato di tutto questo immondo scannamento?
Una chiacchierata soprannaturale con il padre Anchise, uno scambio di idee metafisiche.
Il vecchio padre spiega al figlio il funzionamento delle ultime cose, per poi profetizzargli l’incombente grandezza di Roma. Enea – detestato da Priamo, umiliato da Achille, Menelao e Diomede -fugge evitando lo scannamento totale della famiglia reale e diventa l’avo della gloria futura di Roma; diventa colui che dà radici alla stirpe latina, ai padri albani e alle mura eccelse di Roma. Non Ettore, il fulgido massacratore, ma Enea, l’eterno sconfitto dà inizio alla gloria che si realizzerà nell’Impero.
E tutto questo non poteva avvenire se non si macellava un bel numero di innocenti, inermi creature. L’olocausto è il fondamento del mondo. Teofrasto e Plutarco sono ancora lontani, ma vicini sono Eraclito e Pitagora che con Empedocle gridano contro l’abominio del sangue. E distante ancora é Apollonio di Tiana, il nebuloso Cristo pagano, che sarà avversato dalla Chiesa nascente, e che si rifiuterà di indossare abiti di lana e sandali di cuoio, e che vivendo nel tempo del Cristo Gesù – un profeta incurante dello strazio animale – viene presentato al mondo da Filostrato come un santo pitagorico che compie prodigi simili a quelli del Vangelo come la resurrezione dei morti. Devo dire che tra gli attenti alunni della baffuta professoressa io ero quello che godeva di più delle sfortune dei Teucri e degli Achei. Provavo una gioia delirante quando gli uomini di Odisseo, dopo essersi divorate le vacche del sole, erano affogati nell’oceano ceruleo. Gli dei avevano concesso la distruzione di Troia ma ora i nodi tornavano al pettine. L’hybris andava pagata. Dopo la conquista di Ilio la misericordia era stata bandita dal cuore dei greci e gli dei li avevano esemplarmente retribuiti infliggendo loro terribili sofferenze. Nauplio si vendicò del destino del figlio, cambiando la posizione dei falò che segnalavano i pericoli del Capo Cafareo nell’Eubea, facendo infrangere le concavi navi contro gli scogli. Di mille e duecento imbarcazioni pochissime tornarono. Agamennone morì stroncato dalla bipenne. Menelao sospinto da tempeste terribili vagò con Elena per i mari perdendo cinquantacinque delle sessanta navi e finendo in Egitto ove restò per otto anni, per poi approdare a Cipro, in Fenicia, in Etiopia e in Libia e vivendo, dopo la perdita del grande bottino di Troia, di pirateria come un predone. Aiace Telamone morì folle massacrando armenti, impazzì per le armi di Achille che Odisseo subdolamente gli aveva sottratto. Aiace Oileo, che strappò Cassandra – più tardi maciullata dalla bipenne di Clitemnestra insieme ad Agamennone – dall’altare di Atena, fu inchiodato, per il grande sacrilegio, a uno sperone di uno scoglio durante una tormenta; Virgilio lo descrive travolto da un turbine con il petto folgorato che vomita fiamme. Odisseo, sballottato senza pietà da Poseidone, errò per anni per il mare senza poter approdare a Itaca. Enea – sempre soccombente davanti agli eroi achei e sempre salvato dagli dei – vagabondò anche lui per il mare, approdando a Esperia. Diomede, che si era scontrato con gli dei e aveva ferito Afrodite, avendo scoperto che sua moglie Egialea gli era stata totalmente infedele, decise di ripartire e sbarcò sulle coste pugliesi. Sposò la figlia di Daunio, fu dallo stesso re ucciso e fu sepolto in una delle isole Tremiti. E Idomeneo, dopo aver sacrificato suo figlio a Nettuno, scoprì che Leuco, l’usurpatore del suo principato, aveva ucciso sua moglie Meda e sua figlia, e dopo aver tentato di riconquistare inutilmente il regno, approdò nel Salento e visse lontano da tutti, come un casto eremita. Anche Filottete – l’uccisore di Paride, l’origine di tutto l’orrore – perse il regno e finì in Calabria, ove edificò Crotone, la città di Pitagora che condannerà i sacrifici degli animali sugli altari.
“Ciascuno soffre il suo demone” dice Anchise ad Enea.
Ed è vero: ogni essere senziente lo soffre.

“E tu per chi voti Jonathan?”
“Io ho sempre votato Labour ma l’ultima volta, nel mio piccolo, li ho puniti: ho votato per i Liberals perché sono contro la guerra in Iraq e per punire Blair che è un tory mascherato…se lui è un socialista io sono un tartaro…”
“Questa ve la voglio raccontare – interruppe Olmo – qui vicino abita un iracheno, un uomo molto educato che si chiama Ibrahim, e l’altro giorno – qui, nel pub – ebbe una discussione con Maddeleine, la figlia del fornaio. La bionda criticava l’intervento in Iraq e lui le disse: “Listen to me, my love… mio padre era comunista come me e Saddam Hussein ha distrutto il nostro partito, che era il più grande partito marxista mediorientale…e vuoi sapere una cosa cara? Noi comunisti iracheni siamo favorevoli all’intervento. Why? Perché senza intervento il mostro sarebbe ancora lì. Lo sai che il bastardo ha impiccato mio padre? E lo sai che i regimi comunisti facevano sempre lingua in bocca con il reprobo
che si era modellato sui nazisti e odiava i marxisti? Io spero ardentemente che lo impiccheranno come
lui impiccò mio padre…”
“Sic et Simpliciter…” dissi.
“Eh si… questa roba con Bush fa venire il voltastomaco – disse Jonathan – e il vostro amico Berlusconi lo segue… che pensi di Berlusconi, Olmo?”
“Meglio tacere…”
“Mia zia sta attendendo il nuovo salvatore…”
“Il messia?”
“Il messia del nuovo partito: Cameron, sarà lui che guiderà le repellenti schiere dei conservatori verso la vittoria. La santa donna è in uno stato di orgasmo; sente che qualcosa di nuovo si sta sviluppando e che forse non sarà inumanamente tassata, come afferma di essere…”
“Sapete che vi dico?- disse Jonathan – Cameron cercherà di cambiare il partito rendendolo leggermente più compassionevole ma come William Hague, Duncan Smith e Michael Howard troverà il muro granitico degli interessi consolidati dei vecchi vampiri, e i pescecani se lui non otterrà sondaggi positivi lo divoreranno e lo rigurgiteranno come fecero con gli altri tre.
Il mondo tory è spietato. Se Blair si toglie dalle palle e lascia il posto a Brown forse i laburisti sopravvivranno (i sondaggi li danno già perdenti) altrimenti Cameron ha una grande possibilità di vincere. Blair ha dissolto la sua credibilità con questa stupida guerra.”
“Avremo il giovane erede della famelica Thatcher – dissi – certo se voi siete messi male pensate a noi. Secondo te, Jonathan, è possibile che il centrodestra italiano possa ancora avere consensi che raggiungono il 47-48%? Ebbene è così… e lo sai perché? Perché 15 milioni di voti restano costantemente a sinistra, altri 15 costantemente a destra e il resto sono i voti degli indecisi. Ma lì subentra l’Italia profonda pippobaudiana. E a quel punto non si sa assolutamente quello che può accadere.- E poi c’è quello che i radicali chiamano the Catholic harassment, l’attacco, ad armi snudate, di Ruini e soci, tipo la guerra all’aborto e roba varia. E lì la massa ludi pippobaudiana vacilla. In fondo è vero siamo dominati democraticamente – si fa per dire – da una massa di gente che non legge una mazza. Siamo alla mercé di gente che se gli chiedi chi è il presidente della repubblica risponde che è Berlusconi. Sono come i cristiani che credono in Cristo ma che non hanno mai letto il Vangelo: una cosa tremenda. Il capitalismo selvaggio fa impazzire la gente…”
“È vero: gli inglesi stessi stanno ora scoprendo che il capitalismo consumistico sta facendo diventare matta la gente – disse Jonathan – i malati di mente sono ormai un esercito. Ho letto che sono oltre due milioni e pesano atrocemente sull’economia: quasi nove miliardi di sterline. Questo darwinismo capitalista rende tutti pazzi, produce depressione, stress, ansia, e poi creano – come dicono giustamente i francesi – le banlieuses, che non sono solo un problema transalpino ma un caso europeo. Insomma ci avviamo verso una crisi strutturale del sistema del capitalismo globale. Latouche docet…”
“Già… e i francesi, sempre abbastanza tolleranti, cominciano a reagire – intervenne Olmo – da noi ci sono Pera, Ferrara e la Fallaci e da loro la Carrere, Furet, Sarkozy ma l’intervento di Finkielkraut, quello che ha scritto L’ebreo immaginario mi ha sorpreso. Il filosofo ha affermato che i rivoltosi e i Gaulois francesi – i bianchi che hanno preso parte alla rivolta – desiderano solo i beni che la nuova aristocrazia possiede e ha parlato di un pogrom antirepubblicano. Ha anche detto che non sono i fascisti del Front National e Dieudonnè che vanno combattuti ma coloro che odiano l’Occidente. E ora questi Nèorèacs, simili ai neocon anglosassoni, sognano che il futuro leader francese sarà Sarkozy che farà da baluardo contro la rivolta araba dilagante. Insomma siamo allo scontro di civiltà di Huntigdon. Siamo spalla a spalla con la Fallaci. Lo stesso Jean Daniel ha scritto che è stata la rivolta delle banlieuses è stata una sommossa nichilista ispirata dalla televisione, dalla violenza dei film, dai rocchettari scemi e dagli idoli rap. Finkielkraut, invece, ha quasi giustificato il colonialismo: sembrava Le Pen. Ha detto che la disoccupazione, la miseria, la ghettizzazione non c’entrano nulla con la sommossa e ha parlato di una rivolta etnica religiosa cioè di una rivolta musulmano – nera. E ora i nuovi reazionari risusciteranno i vecchi padri: de Maistre, Bonald, Burke, Celine, Rawls, Dworkin… e magari anche Pio X e Pio XII…”
“Che vogliono fare santo…” precisò Jonathan.
“Vogliono fare santo anche Wojtyla …e subito” dissi
“Ma c’è una rivolta dei teologi contro la beatificazione di Wojtyla… non è vero Jonathan?” Chiese Olmo
“E’vero, la sto seguendo con attenzione e sto preparando un articolo per lo Spectator. In effetti Giulio Girardi, Josè Ramos Regidor, Martha Heizer, Casiano Florista e molti altri affermano che Giovanni Paolo II errò su molti punti. In particolare puntano il dito verso il brutale attacco ai preti che sostenevano la teologia della liberazione e lo accusano di aver lasciato Romero al suo destino: agli squadroni della morte. Dziwisz il segretario di Wojtyla lo nega, ma suor Maria Vigil che si prendeva cura del vescovo ha detto con chiarezza che Romero apparve sfiduciato e depresso dopo l’incontro con il Papa. Insomma ha fatto capire che se non fosse stato trattato come era stato trattato da Wojtyla gli squadroni della morte non avrebbero osato trucidarlo… e poi c’è l’affare Marcinkus e l’Ambrosiano…”
“Però una speranza per risolvere il male nel mondo… c’è…” dissi io
“Sentiamo…”
“Apophis: la meteorite che dovrebbe investirci nel 2036…”
“Troppo tardi per tutti noi… forse non per te Arnobio…” chiarì Jonathan.
“Troppo tardi anche per me… però questo simpatico sassolino dovrebbe sprigionare, se ci prende, qualcosa come 1600 megaton di energia, cioè 100.000 volte l’energia emessa ad Hiroshima.
Whoooop… dicono che potrebbe passare più vicino della luna e che è una sberla questo mammasantissima di quasi 400 metri di diametro potrebbe provocare una nuova estinzione di massa, che non sarebbe neanche un male…»
“Magari cade su Mecca…” disse Olmo ridendo.
“O sul Vaticano…” corresse Jonathan.
“O su Gerusalemme… ma una cosa vorrei precisare, – ribattè Olmo – vorrei chiarire che l’idea che le nuove aristocrazie siano solo bianche è una pia illusione. Leggevo che in Sud Africa la classe dominante, odiata dai neri poveri delle bidonville, è chiamata la classe dei waBenzi, un nome che deriva dall’uso sfrontato che la nuova borghesia, nera e rampante, fa delle Mercedes Benz. Insomma le nuove aristocrazie non sono solo quelle che dominano in Occidente ma anche quelle terzomondiste che tendono ad essere ancora più spietate delle nostre. Ma cambiamo discorso, Arnobio, parlami del tuo libro: Jonathan diceva che riguarda l’invasione del Giappone da parte dei mongoli?… è così o mi sbaglio?”

Ieri sono partito con Jonathan per visitare North Tawton un villaggio del Devon dove abitavano Ted Hughes a Sylvia Plath. Jonathan ama la poetessa americana e mi ha convinto ad andare. Siamo partiti la mattina e mentre guidavo il vecchio amico mi ha raccontato la storia della Plath che già conoscevo ma non in grande dettagli. La storia è simile a una tragedia greca che pone il poeta laureato del 1984, Ted Hughes, davanti a un ecatombe sentimentale che in sei anni liquida quattro esseri umani. Li uccide.
Mentre guidavo Jonathan leggeva alcune poesie della Plath e raccontava. A un certo punto mi fermai incuriosito per guardare la foto dell’americana: era una donna magra e piacevole ma non bella, che sposò Ted Hughes, il poeta inglese, molto attraente, che ebbe molte relazioni.

Ecco la storia: Hughes è il classico dongiovanni poeta. I due hanno due figli: una bambina e un bambino: Frieda e Nicholas e vivono – nei limiti che poeti consumati dall’angst possono farlo- felicemente.
Ted e Sylvia hanno due amici: un poeta canadese, David Wevill e sua moglie Assia, una donna bellissima di origine russa. Hughes non resiste: tutto quello che di decente passa il convento inevitabilmente finisce nel suo letto. E seduce la Wevill. E’ il 1962: sei settimane dopo sono amanti. La Plath scopre la relazione è scoppia il solito putiferio delle anime tradite. Per rasserenare la situazione marito e moglie fanno una vacanza in Irlanda, ma Ted, innamorato, sparisce e va a Londra per incontrare Assia. I due partono per la Spagna lasciando la Plath ferita a ruminare sull’abbandono. Gli amori sono spesso spietati. Tornando, il poeta litiga violentemente con la moglie che gli impone di lasciare l’amante. Lui rifiuta. E parte.

Jonathan interrompe la narrativa per recitare una poesia. Siamo all’altezza di Crediton sulla A337. Il traffico è scorrevole solo a Braunton abbiamo avuto problemi. Legge Words, scritta nel 1963, l’ultimo anno di vita della Plath:

…………..

That drops and turns,
A white skull,
Eaten by weedy greens.
To re- establish its mirror
Over the rock

……………

Poi riprende la storia.
L’11 febbraio del 1963 una Plath ferita a morte si suicida lasciando i due figli di nove e tre anni .
Passano due giorni e Assia è nel letto della defunta poetessa. Hanno un’interiorità pelosa questi poeti. Dimenticano in fretta. Il sangue è acqua. Contano solo illuminazioni e versi. La compassione non sembra albergare nel loro cuore. Lo afferma Jonathan, non io. Io penso di peggio. Quando ho sentito la storia mi è venuta la pelle d’oca. Assia è incinta e ci scappa un aborto: niente figli in queste precarie condizioni.
Il poeta canadese, David Wevill, decide di separarsi da sua moglie per sei mesi e parte per la Spagna.
Assia va a vivere con Ted e insieme visitano i suoi genitori nello Yorkshire.
Vivere insieme logora: Ted decide che le cose non vanno nel verso giusto, si separa da Assia che torna a vivere con il marito nell’appartamento londinese, a 23 Fitzroy Road, dove la Plath si è data la morte:.
Ma i contatti con i due continuano. La distanza spesso fa risorgere gli amori defunti.
Ma spesso li uccide. Nel marzo del 1965 una figlia nasce dal loro torturato amore la chiamano: Alexandra Tatiana.

Jonathan si passa una mano sulla fronte e sospira. Ci fermiamo a bere un caffè in un luogo chiamato Eggesford. Il mio vecchio amico ha gli occhi pieni di lacrime mentre narra la storia. Mi dice che conobbe la Plath, nel 1960, e che gli fece una grande impressione. Riprendiamo la corsa tra le verdi colline del Devon Siamo vicini alla foresta frusciante di Dartmoor. Jonathan mi legge un’altra poesia dell’americana: Edge scritta nell’anno del suicidio:

The Woman is perfected
Her dead

Body wears the smile of accomplishment,
The illusion of a Greek necessity

Flows in the scrolls of her toga,
Her bare

Feet seem to be saying

We have come so far, it is over

…………..

Siamo giunti fino a qui, ora è finito. Scrive Sylvia.

Poi riprende la storia: nel 1966 Ted e Assia decidono di vivere insieme in Irlanda.
Assia dipinge molto bene e decidono di lavorare insieme creando un libro di poesie illustrate.
Ma la madre di Hughes è malata e il poeta deve tornare nel Devon. E nel Devon c’è un problema notevole:
i genitori del poeta aborrono la Wevill considerandola una pessima influenza sul figlio. Ragionano come miserabili borghesi davanti all’amore e alla vita. Assia si è divorziata tre volte quindi rischia di contaminare la carriera poetica del figlio.
Interrompo Jonathan e dico: “Gli artisti sono vecchie mignotte!”
Tutto va pesato sul plumbeo bilancino della ragione: un rapporto del genere può distruggere il poeta, si dicono i due vecchi. Siamo alle solite: “Che dirà la gente?” E trattano Assia in maniera ignobile: la ignorano e la umiliano. E il grande poeta – spiega Jonathan fremendo – vergognosamente sopporta.
Ted è sempre dalla parte dei genitori: non si cresce mai. Ci vivi vent’anni con i tuoi e poi ce ne vogliono cinque per cancellare tutte le ignobili inanità che ti hanno inculcato nella mente. Non va: Assia deve andare; e cerca una casa; ma appare ormai evidente che Hughes di vivere con lei non ne ha grande voglia. Ma Assia ama Ted con tutto il cuore e quando capisce che la relazione è destinata a morire si uccide. E non solo si uccide sopprime anche sua figlia. Non vuole che sia allevata come un’orfana.

Sbando per l’orrore: siamo a Coppleston tra poco troveremo la A3072 che ci porterà a North Tawton.

Dopo il suicidio di Assia anche la madre del poeta muore. Troppo sangue. Sentita la storia del suicidio di Assia è colpita da una trombosi e dopo tre giorni si spegne.
Hughes affronterà il sanguinoso macello sintetizzandolo in una raccolta di poesie intitolata Capriccio:
venti poesie che cantano l’orrore e la bellezza della Wevill che – dice il poeta – decise di immolarsi sulla pira fiammeggiante della Plath. Lui non c’entra: ah les hommes!

Siamo a North Tawton mi è passata la voglia di vedere il posto.
Dico a Jonathan: “Ah…i grandi poeti che immolano tutto al loro immenso ego: che spudorata vergogna!”
Jonathan sospira e mormora: “Ecco la casa!”
Poi dice: “Nel 1998 al fetente diedero the Order of Merit. A veritable coward Ted Hughes!
La storia del suicidio della Wevill fu occultata: non bisognava intaccare la fama del poeta laureato!
Nessuno sa niente di Assia e Tatiana!”.
E accarezza un cane bianco che passa.

3- TARTARI E NESTORIANI

L’impero dei mongoli si estende sul mondo devastato dal 1206 al 1405.
Tutto ha inizio con l’unità imposta, attraverso il terrore, alle varie tribù da Temucin che diventa, nel 1206, Gran Khan ovvero Genghiz-Khan Altissimo signore dei popoli.
Il mandato celeste, che giunge a Temucin attraverso gli sciamani, profetizza la conquista del mondo. Nel 1205 le orde mongole si mettono in marcia e nel 1209 conquistano il Regno di Hsi-Hsia. Dal 1211 al 1219 attaccano il regno di Chin e lo devastano. Dal 1219 al 1225, i cavalieri del diavolo, come li concepisce l’immaginario medioevale, attaccano il Chovarasen. Dopo la conquista di Chovarasen, l’impero si estende dalla Cina settentrionale al Mar Caspio. La potenza mongola è ormai incontenibile. Sübőtäi, il generale mongolo, distrugge un armata russa che si confronta con le sue forze in un luogo chiamato Kalka. Nel 1227 muore Tamucin e l’impero è diviso tra i suoi figli. Prima di spirare il Gran Khan li invita a conquistare il mondo. La sua vita è stata troppo breve, dice, ma c’è un mandato celeste che vuole che i mongoli sottomettano la terra. L’impero che lascia ai figli Tamucin è due volte e mezzo più grande di quello di Alessandro, ed è un impero che si basa sui principi di egualitarismo e meritocrazia e non su quelli di aristocrazia e di sangue come in Occidente e si estende dal Pacifico al Danubio. I tartari si stanziano nel Karakorum. Mentre nelle zone conquistate esiste una tolleranza religiosa sconosciuta per i tempi, nei territori che resistono all’assalto mongolo il genocidio è abitualmente praticato. Un terrore tremendo scuote la terra: milioni di persone muoiono. Intere popolazioni sono massacrate: donne, uomini, bambini, bestie tutto viene consumato dalla furia tartara. Dal 1229 al 1241 Ögödai, il nuovo Khan, conquista definitivamente il regno di Chin ed estende la potenza mongola sulla Persia. Nell’immaginario collettivo le orde scatenate fanno pensare agli eserciti di Gog e Magog, ai cavalieri apocalittici degli ultimi giorni e ad Armaghèdon. Le città sono annientate, intere popolazioni massacrate, i contadini che arano la terra sono disprezzati e brutalmente eliminati. I Mongoli capiscono solo la pastorizia e disdegnano i sedentari. L’abbandono dell’agricoltura produce la desertificazione: intere regioni sono inghiottite dal deserto che avanza. Il mondo islamico stesso, fino ad allora trionfante, sarà piegato dalla furia dei Khan. È per i nostri peccati che paghiamo dicono cristiani e musulmani. Massacro segue massacro. Batü, nipote di Genghiz-Khan, utilizzando il grande stratega Sübőtäi, annienta i bulgari del Kama nel 1236. La campagna del 1237 –1241 è condotta da due eserciti che puntano alla separazione delle forze del regno di Ungheria e di Polonia. I mongoli non vogliono permettere che i due eserciti si uniscano per affrontarli. Durante l’inverno del
1237 -1238 cadono Ryzan, Mosca, Vladimir, Rostov, Yaroslav, Pereyaslav, Zalessky e Tver. Perisce il granduca Yury e la sua armata. Kiev cade nel 1240: ucraini e russi mai dimenticheranno il terrore tartaro. Il Papa freme, ma i cristiani bisticciano tra loro e non sembrano capire il pericolo immenso che incombe. È il periodo in cui Gregorio IX e Innocenzo IV si scontrano ripetutamente con l’Imperatore Federico II immemori di quello che può accadere se i mongoli sfondano e arrivano nel cuore dell’Europa. Le richieste pontificie di dominio universale entrano in contrasto con la visione imperiale di Federico. Le posizioni ideologiche dell’imperatore scatenano l’insano odio del cardinale di Viterbo, Rainer, che provoca un massacro fomentando discordie tra le truppe imperiali. Quando lo svevo reagisce all’arroganza papale mettendo in guardia il mondo sulle pretese temporali di Innocenzo, il Papa reagisce con la Bolla “Eger, cui lenia” che formula in maniera chiara e sprezzante la supremazia del potere spirituale sul quello regio.
Rainer arriva a invocare il regicidio, a chiedere l’uccisione dell’imperatore e del figlio Enzo.
Inizia un comico girotondo di scomuniche e di minacce davanti alla cristianità allibita.
Nel mondo cristiano, nel frattempo, l’apparizione dei cavalieri del diavolo provoca sentimenti contrastanti. Se da una parte i tartari producono sconcerto e distruzione, dall’altra rappresentano una possente forza militare in grado di stroncare la potenza islamica e, quindi, una potenziale alleata per la liberazione del Sacro Sepolcro. I nestoriani hanno sempre parlato di un ipotetico Prete Giovanni, e del suo regno cristiano immerso nelle distanti brume d’Oriente, sognando che un giorno sarebbe giunto e avrebbe messo fine all’egemonia maomettana. Il Concilio di Lione del 1245 viene convocato per esaminare le possibilità che si presentano per la comparsa della potenza mongola. Innocenzo IV invia alcune missioni per sondare le intenzioni del Khan. Partono con missive papali Giovanni da Pian dei Carpin, Ezzelino di Lombardia, Andrè de Longjumeau, Luigi del Portogallo ed altri. Ezzelino raggiunge Baigu nella steppa di Mughan. A Tiflis si aggrega alla spedizione Guicciardo di Cremona. Baigu legge la missiva del Papa e va su tutte le furie. I due cristiani rischiano di lasciarci la testa. Ritornano con due inviati mongoli il nestoriano Sargis e l’uiguro Aibek. A Tabriz incontrano il famoso monaco nestoriano Raban Atta vecchio amico di Genghiz Khan e gli chiedono aiuto per l’Europa cristiana. La risposta di Raban è lapidare: “Dite a Federico e a Innocenzo IV che invece di litigare riuniscano i cristiani contro il pericolo che incombe”. Nel 1253, inviato da Luigi IX, Guglielmo di Ruysbroeck, incontra Möngkä che legge la missiva del re e come risposta illustra al messaggero il potere dei mongoli e la protezione del Dio Eterno. I messaggi papali e reali ricevono brusche risposte che confermano senza esitazioni il mandato celeste per la conquista mongola del mondo.
I tartari dopo aver varcato sanguinosamente i principati di Vladimir, Tver e Smolensk procedono attraverso la Volhynia e la Podonia, e dividendo l’esercito in due spezzoni, seguono due direzioni confrontandosi con le forze tedesco – polacche e quelle ungheresi in due luoghi separati. Nel 1241 gli agili cavalieri coadiuvati da abili arcieri massacrano, a Wahlstaat presso Liegnitz, la cavalleria feudale e la fanteria dell’arciduca Enrico di Slesia che perisce nello scontro e alla confluenza dei fiumi Sayo e Theiss distruggono le forze dell’ungherese Bela e lo mettono in fuga. I due eserciti colti separatamente diventano facile preda del genio tattico dei tartari. Gli ordini dei monaci guerrieri assemblati contro il terrore che giunge dall’Oriente soccombono paurosamente. Le porte dell’Occidente sono spalancate alla forza demoniaca. Tutto sembra perduto ma avviene un miracolo: l’11 dicembre del 1241 Ogodai tira le cuoia e salva la cristianità occidentale da sicura conquista e da massacro genocidiale. L’armata mongola svanisce. Batü si ritira per eleggere un nuovo Khan e la conquista è sospesa. I polacchi stupidamente rivendicano la vittoria: “Gesù – dicono – ha ascoltato le nostre preghiere”. Ma la verità è che le forze mongole sono inarrestabili e che la cavalleria europea è totalmente inadeguata a far fronte agli arcieri e ai cavalieri orientali. La cavalleria feudale appesantita dal ferro è facile preda dei cavalieri tartari che utilizzando con immensa precisione l’arco mentre galoppano affrontano la conquista del mondo trasportando a cavallo solo una scimitarra, una lancia, due archi, 60 frecce, uno scudo, e nel sacco pentole per cucinare, carne secca e una boraccia d’acqua. Dopo la morte del Khan la Russia soccombe al terrore tartaro e attraversa la sua lunga e mai dimenticata notte. Dio l’ha abbandonata. Dal 1251 al 1259 Möngkä il nuovo gran Khan invia due armate al commando di due generali fratelli a conquistare la Cina meridionale. A questo punto fa capolino sul palcoscenico della storia del mondo Kubilai, che sarà Gran Khan dal 1260 al 1294. Nel 1277 il nuovo signore accoglie Marco Polo. Kubilai è differente dagli altri Khan non è un rozzo conquistatore. Con Kubilai siamo in un’altra dimensione. E’ l’ultimo dei grandi Khan, nel 1277 e nel 1281 tenta la conquista del Giappone: un atto di sconsiderata hybris.

A casa della vecchia si festeggiava la vittoria di David Cameron. Il giovane messia aveva sbaragliato Davies: 134.446 voti contro 64.398. Il 67% contro il 32%. Una vittoria epica. Travolgente. Dudù aveva invitato l’eterno Jonathan e Kitty Tolsworth, Tolly, forse la donna più stupida del pianeta, a festeggiare l’avvento del nuovo messia. Si beveva allegramente, Jonathan sorrideva sornione e mia zia era fuori di sé dalla gioia. Provavo un profondo disgusto. Ogni volta che i conservatori si riuniscono per gioire scompostamente per qualche vittoria provo un grande disagio, e quando questo avviene Raskòl’nikov comincia a ballarmi nel cranio. Tolly gongolava. La vecchia inglese é una grande ammiratrice dell’ammaliatrice italica, devo dire, però, che guardando il grande quadro appeso alla parete di magnolia, come un incubo di Fűssli, ci si rende conto che a Dudù non era stato difficile abbindolare maturi e benestanti babbioni anglioti. Donatella era stata una donna splendente e spregiudicata che sapeva usare, in maniera perfetta, le arti classiche delle troie italiane. Quattro cose in particolare ammaliano i boccaloni inglesi: la bellezza da troia latina, l’accento alla Lollobrigida, la cucina marchigiana – elaborata in tutte le salse – e il sesso sfrenato che travolge e sottomette le classi dominanti di Albione.
Con quelle qualità Dudù non aveva rivali e suscitava tremende invidie tra le dame inglesi che la consideravano un’autentica zoccola – arrampicatrice. Mia zia parlava, ormai, uno stravolto italiano con un leggero accento inglese. Ma si riusciva a ragionare con la megera, che non era stupida come la Tolly. Quando chiesi a Jonathan come aveva fatto ad amarla per tanto tempo, il vecchio saggio mi spiegò che era stata una cosa puramente sessuale e culinaria. Something merely sexual & culinary, mi disse.
Certo, la donna che appariva nel grande quadro simile ad una dama di Boldini non era per nulla male e si capiva come le sue grazie avevano scatenato autentiche guerre tra gli opulenti signori. Il povero Cyril era emerso vincitore dalla disfida d’Albione per una sola ragione: era l’uomo più ricco che Dudù conoscesse. Era bastato un misto di inglese lollobrigidiano, prelibati piatti marchigiani tipo passatelli in brodo e un serie epica di fellatio per trasformare una povera marchigiana di Orciano in una ricchissima lady. Cyril aveva poi peregrinato per la terra adornato da maestose corna. Ma Donatella aveva raggiunto il suo scopo. Aveva buttato la miseria da un’ornata finestra vittoriana mentre mia madre, Scolastica, che aveva scelto per amore un povero deficiente milanese, la miseria se l’era portata dietro – come dice Plotino del corpo – attaccata con una catena per tutta la vita.
Cameron era sulla bocca di tutti. Jonathan prendeva parte alle conversazione cazzeggiando e mascherando il suo assoluto disprezzo per i tories. Ma la cena sontuosa e lo champagne di alta qualità lo facevano tacere e simulare. “Habemus Papam!” Proclamò.
“Si… un papa di Eaton finalmente!” Esclamò Tolly.
“Cameron ce l’ha tutte – intervenni – ha studiato a Eaton, ha sposato la figlia di un baronetto, è ricco da far vomitare e arriva in un momento che Blair ha scassato gli zibidei al mondo intero con le sue stronzate su Bush e sull’Iraq… insomma è perfetto… ora lo esaltano tutti, salirà nei sondaggi – mi dicono che ha già nove punti di vantaggio – e nella stima generale e alle prossime elezioni Brown lo massacrerà…”
“Sai che ti dico Jonathan – ribattè Dudù – mio nipote non ci azzecca mai. David, the boy Cameron, farà i suoi bei discorsi, mostrerà grande tolleranza, parlerà di conservatorismo compassionevole; ma poi ci penseranno i vecchi – una volta al potere – a mettere da parte certe pretestuose scemenze. Il capitalismo moderno può funzionare solo se la mano del mercato è libera. Più incateni la mano del mercato e meno il capitalismo funziona. Più poni ceppi e meno opera. Guarda l’Italia: con quei sindacati e quegli interessi lobbistici si autodistruggerà. Non può sopravvivere alla globalizzazione. Il giovane Cameron questo lo sa perché è un ragazzo intelligente. E poi la moglie è un valore aggiunto. Gli inglesi non ne possono più di quella cotica con quel boccone storto e pieno di denti. Cherie è un peso enorme che Blair si porta dietro. Invece la moglie del giovane David è come la moglie di Bush è un valore aggiunto. Non trovi Tolly?»
“Absolutely!”
Intervenni: “E ti pareva…ora le mogli vincono le elezioni!”
“No… però aiutano a vincerle!” corresse mia zia.
“Va bene… se vogliamo discutere sul nulla facciamolo pure – disse Jonathan – ma veniamo ai fatti. I conservatori sono come la chiesa cattolica: una forza declinante. I giovani non si iscrivono più al loro partito. Ho letto che sono solamente 450 le associazioni attive e che non hanno più di 100 membri ciascuna: lo scrive il Mail on Sunday che non è un organo di informazione bolscevico. I Tories liquideranno il giovane Cameron come hanno eliminato Duncan Smith e gli altri. È la natura della bestia. Voi siete quelli che siete. In fin dei conti si vive in una società che manda al potere un partito con un misero 22% dei voti. E che democrazia è mai questa? E poi entrambi i partiti sono con Bush. Entrambi hanno appoggiato l’intervento armato in Iraq. Noi inglesi non siamo capaci di staccarci dall’America e siamo profondamente antieuropei. E diciamolo, girls, voi condividete molto con i laburisti. Voi conservatori siete contrari – come loro – all’introduzione delle civil partnerships, siete d’accordo sulla devolution del processo di pace nord irlandese, siete contrari a un ritorno all’educazione selettiva e alla pena di morte. Insomma andate a braccetto su parecchie cose. E anche sull’Europa siete d’accordo; la maciullate ma non volete uscire…”
“Già. Gli inglesi pensano che dopo Calais inizia Wogland – intervenni – pensano che dopo Calais iniziano le gradazioni di grigio che si dilatano – come una emanazione plotiniana – verso il nero profondo dell’Africa. E da Dover comincia la zona morale che finisce in Scozia. In ducati sonanti: noi italici siamo come some kind of white niggers nella mente della vostra maggioranza silenziosa. Ma non nella mente di tutti perché ce ne sono di teste pensanti in questo paese e negli USA; il problema è che sono una minoranza. Io resto profondamente europeista. Anche se penso che voi abbiate ragione nel criticare i contributi assurdi concessi all’agricoltura. Ma il protezionismo è parte integrante di questo capitalismo fasullo. Nel mio paese – che è governato da un Parlamento che Cordero chiama il santuario dei colletti bianchi delinquenti – esiste un capitalismo balordo, un capitalismo protetto. Se la Fiat va in barca mica la chiudono: lo Stato aiuta. Ma se Perepetè non ce la fa con la sua fabbrichetta allora si attacca al manganello, chiude i battenti e buonanotte. Licenzia tutti e va in Romania dove il costo lavoro è del 70% inferiore a quello italiano. E così tra delocalizzazione e capitalismo selvaggio il sud diventa preda della delinquenza organizzata. Non hai da dare da mangiare ai tuoi figli? E allora vai a spacciare un poco di coca. Il nostro è un capitalismo mascherato dove giornali insignificanti ricevono aiuti, dove la Sicilia inghiotte spaventose quantità di sussidi per ragioni elettorali. Ma se il capitalismo lo amano tanto se lo gestiscano secondo la logica spietata del mercato, che vuol dire, in soldoni, che se i fagioli brasiliani costano 10 e quelli francesi 100 uno è libero di comprare i fagioli brasiliani e non è obbligato a comprare quelli francesi…”
“Già… ma io stavo semplicemente dicendo – precisò Jonathan – che tra i laburisti e i conservatori non esistono differenze fondamentali perché Blair è de facto un tory mascherato con i valori degli yuppie trionfanti. Anche sull’Europa – dicevo prima – tories e laburisti non hanno posizioni differenti. E se il popolo potesse votare in un referendum uscirebbe dall’Europa, ma la City sa bene che questo non conviene a nessuno e i poteri forti ed economici non lo permettono”.
“Io penso – replicai – che francesi e tedeschi dovevano gettare le basi per un’Europa Centrale – Carolingia che escludesse – almeno inizialmente inglesi, danesi e le nazioni nel nord. Dovevano creare un superstato embrionale con Spagna, Italia, Olanda, Belgio, Lussemburgo e chi ci stava, ci stava. Un’aggregazione iniziale di qualcosa come 250 milioni di persone per creare una nuova potenza strutturata politicamente e militarmente con un parlamento sovrano e con le nazioni che diventavano de facto come regioni o come stati federali americani o come Länder tedeschi. Dopo questo passo potevano aprire le porte alla Repubblica Ceca, all’Austria, al Portogallo, alla Grecia, alla Slovenia e dire a inglesi, danesi e soci: volete entrare?
Io penso che la presenza inglese in Europa è vitale. Politicamente e militarmente. Ma si può vivere con l’eterno ricatto delle nazioni del nord?”
“Ma scusami – interruppe Dudù – tu stesso hai scritto nell’Indipendente che l’Italia non deve stare in Europa fino a quando non risolve il problema della delinquenza organizzata che domina una grande parte del paese? Come vuoi che uno scandinavo accetti di essere assorbito politicamente in uno stato sopranazionale che riscalda nel seno una vipera di natura colombiana? E ti riferivi alla Calabria… si o no?»
“Vero! Lo dice sempre anche Bocca che una parte della nazione è soggiogata da Mafia siciliana, Corona Unita, N’drangheta e delinquenza albanese e montenegrina…”
“Chi è Bocca?” Chiese Tolly.
“Un grande giornalista italiano: il migliore – risposi – ma è vero l’Europa deve dirlo con fermezza che non è più tollerabile sopportare il peso della metastasi malavitosa Italiana. L’Europa ci deve obbligare a sistemare le cose a casa nostra. Si…è vero…”
“E allora perché sorprenderti per la posizione del governo inglese, anzi di gran parte del popolo inglese?” Domandò Dudù.
“Perché gli inglesi – tentai di chiarire – quando pensano all’Europa pensano ancora ad Angincourt e sono fermi lì. Pensano ancora ai tedeschi come nemici; e si sa che storicamente hanno sempre odiato i grandi imperi che si formano nel cuore dell’Europa. Hanno detestato Napoleone e Hitler. Ma ora le cose sono cambiate e se tedeschi e francesi avessero dato il via a un superstato nell’Europa Centrale che avesse aperto i battenti, metodicamente e lentamente, agli altri stati europei, l’Europa sarebbe partita col piede giusto e voi non stareste qui a rompere le scatole con il vostro eterno piagnisteo… o dentro o fuori!”
“E la Turchia?” Chiese Jonathan.
“Ma come… crocifiggono uno scrittore che denuncia una tra le cose più note del mondo: il genocidio armeno e li facciamo entrare in Europa? Ma via! Riconoscano il genocidio e poi se ne parla. Ma avete letto cosa hanno fatto a Orhan Pamuk?”
“Si ho letto – disse Jonathan – un mezzo linciaggio. Ma nota bene: la violenza nazionalista è scaturita sia dall’estrema sinistra che dall’estrema destra.”
“Certo noi italiani diamo un buon esempio, nipote mio – interruppe Dudù – ho visto nel Daily Mail le foto di quel giocatore nazista… come si chiama?”
“Di Canio…”
“Ma è roba scandalosa…”
“È il calcio nostrano controllato dagli idioti. Bisognerebbe dargli otto giornate di squalifica al nazista e chiudergli lo stadio per tre. Non ci vorrebbe nulla, ma non si può fare. Equilibri precari per deficienti. C’è sempre qualcosa che frena. Devo dire che il fascista è stato notevolmente provocato. I tifosi livornesi gli gridavano: “a testa in giù come Mussolini”…”
“E che vuol dire “a testa in giù come Mussolini”?” Chiese Tolly, con gli occhi cerulei sgranati.
“Vuol dire – spiegai – che lo vogliono a testa in giù e penzolante da un traliccio come Mussolini a Piazzale Loreto…”
“Ho letto che un leader della sinistra disapprova l’esecuzione del Duce…””
“Si, D’Alema: così va il mondo: quando i generali che hanno provocato immani ecatombe vengono catturati non vengono mica sempre giustiziati come Vercingètorige; finiscono spesso all’Elba o Sant’Elena. Mussolini aveva provocato massacri, aveva devastato una nazione e stiamo a perdere tempo a vedere come lo hanno giustiziato. Che gente che siamo. Magari se lo catturavano gli inglesi o gli americani lo avrebbero mandato a Sant’Elena…chissà”
“Lo potevano anche condannare a morte” precisò Jonathan
“E se non lo facevano?” Chiesi
“A Norimberga ne hanno condannata di gente a morte…”
“Magari lui non lo avrebbero condannato. Ma ci possiamo preoccupare se giustiziano Ghengiz Khan? A proposito: lo sapete che quando feci il servizio sulla Mongolia, nel 2002, scoprii che anche lui era diventato un eroe nazionale? Così va il mondo invece di provare schifo per i massacratori li innalziamo sugli altari. Per questo il fesso fa il saluto romano negli stadi e detesta neri ed ebrei. Ma che dicono i giocatori neri della Lazio?”
“What do they say?” Domandò Dudù
“Un cazzo di niente… dicono. Tutti zitti. Basterebbe sospendere campo e giocatore e, dopo un’iniziale buriana, si calmerebbe tutto. Ma così vanno le cose. Il mondo è pazzo. Voi state qui al calduccio a brindare al leader dei ricchi mentre nel mondo 50 milioni di bambini sono invisibili. Pensate che mentre la figlia del baronetto mette al mondo il suo bebè, un bambino su 13 – nei paesi in via di sviluppo – è orfano e due milioni di poveri piccoli sono oggetto delle turpitudini sessuali di pedofili e assassini. E qui stiamo a fotterci la testa con Cameron… ma via zia! Veramente… è osceno!”
“I poveri ci saranno sempre ha detto Gesù” esclamò ispirata Tolly
“E ti pareva che Tolly non sparava una cazzata…” dissi
“Va bene, my boy, – intervenne Jonathan – non esagerare perché Dudù ti disereda! Vero Dudù?”
“Chissà… forse darò tutto ai poveri…”
“Fallo, cara zia, ma non dare un penny bucato ai conservatori…”
“So io cosa devo fare…” concluse drasticamente Donatella
“Ok, cambiamo discorso – esclamò Jonathan – vedi Arny, il mondo, malgrado questi orrori cambia, ti voglio raccontare una storia che ha colpito il nostro amico Olmo e lo ha fatto piangere…”
“Piangere Olmo?”
“Già. Ascoltate: un certo Robert Show, un uomo di 71 anni, si è impiccato perché hanno tagliato i suoi adorati pioppi. Un uomo si è ucciso perché non poteva più vivere senza i suoi alberi”
“Ma è un folle!” Esclamò Dudù
“E ti pareva che zia non dicesse una cosa del genere; invece è una storia stupenda”
“Morire per dei pioppi è una storia stupenda?” Chiese Tolly
“O per il tuo cane. O per le bestie che i cinesi scuoiano vive. Spiegami cos’è accaduto, Jonathan,
e sappi che la vecchiaia generalmente indurisce il cuore – precisai – lo rende di pietra”
“È semplice: a Robert Show hanno detto che bisognava tagliare i pioppi davanti alla sua casa perché le loro radici minavano le fondamenta di case vicine e lui quando ha visto i pioppi abbattuti non ha resistito e si è impiccato”
“Ma è un pazzo!” Disse Tolly
“No… io lo capisco – esclamai – non ha più potuto sopportare quello che noi facciamo al mondo.
I viventi e le cose sono cani di paglia. Hanno ragione Lao Tzu e John Gray, l’autore di Straw Dogs, siamo tutti cani di paglia, viventi o non viventi”

L’Essere è come la luce primordiale, è come un vuoto, luminoso palcoscenico che lascia improvvisamente essere le miriadi di cose. Su questo luminescente palcoscenico si manifestano i mille attori, i mille cani di paglia, che non si conoscono tra di loro, che si ignorano e che, spesso, pensano di essere gli unici attori recitanti su quel vuoto e immenso proscenio. Ogni stella che si manifesta nel nero firmamento dell’Essere è una coscienza peculiare, e totalmente soggettiva, che interpreta il terreno primordiale a suo modo.
Ed è come se un abitante nel cuore della foresta amazzonica immagini un mondo che non abbia mai visto. L’Essere è come una grande notte che improvvisamente lascia le miriadi di stelle apparire. È come una notte che sviluppa migliaia di occhi. E ogni stella è peculiarmente se stessa e descrive l’Essere secondo i suoi umori esistenziali. Il destino di ogni stella è la sua struttura corporea che nel suo milieu culturale determina la propria visione dell’Essere. Heidegger a Todtnauberg pensa – con il suo cervello da dasein umano – che l’Essere gli si concede in maniera differente da come, per esempio, si concede a un dasein in un pianeta nella costellazione di Andromeda, o in un pianeta in un altro universo, o in un’altra dimensione.
Magari il dasein del pianeta della costellazione di Andromeda non prova il senso di angst che esperimenta il dasein heideggeriano e la visione dell’Essere diventa per lui fondamentalmente un’altra. Il dasein, l’esserci, di quel pianeta immaginerà il grund essenziale in maniera profondamente differente dalla visione del filosofo tedesco. Heidegger stesso afferma che ogni esistenza è determinata dal proprio milieu culturale.
Ogni esistenza é definita dalla propria struttura celebrale che in un lontano pianeta può essere totalmente differente da quella dell’umano dasein; ed essendo la struttura celebrale lo strumento concesso dall’Essere per interpretare i mondi e l’Essere stesso, quel lontano dasein concepirà il grund originale in maniera totalmente differente dalla visione del dasein di questo pianeta. Forse ogni coscienza individualizzata – e determinata anche dal proprio livello evolutivo – elaborerà una propria peculiare visione dell’Essere. In breve: quel che è valido a Sparta può non essere accettabile ad Atene.
Lao Tzu dice una cosa splendida (ripresa come citazione da John Gray nel suo “Straw Dogs”) quando afferma che “Cielo e terra sono spietati e trattano le miriadi di creature come cani di paglia”. Ogni mattina il gatto di Dudù deposita sul tappeto il suo topo quotidiano. Ogni mattina mi piego per raccogliere quel piccolo corpo martoriato da una violenza innocente e gratuita. Ogni mattina penso a quello che disse Lao Tzu. Ogni mattina mi piego su me stesso e mi inchino salutando le miriadi di cani di paglia. L’Essere lascia essere il multiuniverso pluridimensionale che contiene nel suo immenso grembo le miriadi di cani di paglia.
E i cani di paglia gettati nell’esistere, gettati nell’immenso calderone del multiuniverso, sono in perenne lotta tra di loro. E sembrano gatti famelici, sostenuti da misericordiose gattare, che dopo aver divorato gli avanzi del giorno passano il tempo ad azzuffarsi e a massacrarsi tra loro.
Ogni pianeta ha la sua evoluzione peculiare – per quello che ne sappiamo – e questo dove viviamo è caratterizzato dall’immensa carneficina, dal globale cannibalismo, e sembra una ruota dell’orrore offuscata dalla bellezza ingannevole di leggiadri tramonti.
Il giardino leopardiano del grande invisibile patire appare come un luogo incantato agli occhi che non vedono l’orrore della lotta perenne degli insetti, degli animali e il soffrire delle piante.
In questo particolare pianeta il dasein dominante assomiglia a un mafioso di una poverissima cittadina sicula che impone il suo ottuso volere con violenza spavalda sugli altri abitanti.
In questo infinitesimale lembo del multiuniverso vige la legge dell’orrore: la specie dominante infligge sulle altre specie il suo domino tirannico. Ma su tutto il pianeta regna la legge della giungla e il cannibalismo universale è praticato da tutte le specie. E sembra che una volontà cieca scuoti le miriadi di cani di paglia. Come una mano in un guanto la volontà cieca agita le miriadi di marionette. L’innocenza del reale è ciò che determina i rapporti di tutti gli esseri senzienti. L’innocenza del divenire è quella particolare maniera di vedere le cose per cui non esiste compassione e l’orrore è il gioco degli dei che va accettato e preso per quello che è. Prendere o lasciare: il superuomo nicciano è colui che cavalca il puledro folle del divenire; ride e piange allo stesso tempo, ma l’accetta. La noluntas schopenaueriana è invece ciò che rigetta l’innocenza del divenire. È un religioso ritrarsi davanti all’orrore universale.
Durante il dominio efferato della specie dominante, in un momento particolare del suo sviluppo temporale, un dasein, perso in questo lembo infinitesimale del multiuniverso, comincia a pensare in una maniera che contrasta l’andazzo imperante dell’innocenza del divenire.
Sorge un modo di pensare che rema contro il flusso eracliteo, contro la corrente del fiume impetuoso del divenire e fa germogliare la compassione buddica.

In questo universo il Big Bang esplode 15.000 miliardi di anni fa.
La vita si manifesta sul pianeta 400 miliardi di anni fa.
Una specie particolare evolve una sua peculiare intelligenza che farà dire a Heidegger che tra il dasein e le altre specie esiste un abisso di essenza. Non un abisso di intelligenza, ma un abisso di essenza spiega il filosofo. Nell’immensità silenziosa che la sovrasta, la specie dominante ed evolvente, riesce a interpretare i misteri del cosmo. E procede con paurosa rapidità. La scienza, frutto della sua evolvente intelligenza, definisce il mondo. La tecnologia libera la specie e allo stesso tempo l’incatena. La libera dalla tirannia delle religioni e dai loro ottusi Weltanshauungen e la imprigiona in megalopoli simili a quelle descritte da Ridley Scott in “Blade Runner”. L’incatena alla mediocre banalità. La specie egemone scopre di essere la parte congelata, raffreddata dell’immenso calderone ribollente della creazione. Scopre di essere composta da atomi così minuti che se ne metti un milione insieme entrano tutti in un capello.
E scopre che questi atomi sono a loro volta composti di parti infinitesimali di elettroni e di quarks, e che queste microscopiche particelle sono i mattoni del visibile e dell’invisibile. Mediante la sua intelligenza evoluta – ma priva di compassione e spiritualità – la specie egemone scopre, attraverso esperimenti con minuscole macchine del tempo (gli “atomsmasher”e i “Chronoscope”), in condizioni che replicano piccolissimi big bang, il segreto degli inizi primordiali.

Eravamo andati con Olmo a Barnstaple per comprare dei libri. Avevo trovato uno spazio per parcheggiare la macchina quando qualcuno bussò al finestrino. Era una donna sui trent’anni dal volto paonazzo. Mi stava gridando che le avevo preso il posto. Olmo rideva.
Io dissi : “Signora me ne pento profondamente. Se aspetta un minuto mi tolgo, me ne vado.”
Olmo rideva a crepapelle.
La donna mi guardò e urlò: “Troppo tardi: non lo voglio più il tuo fottuto posto!” Olmo era in lacrime dal gran ridere. La donna osservava Olmo che rideva e stava diventando furiosa.
Io cercai di calmarla e feci rapidamente marcia indietro. “Ecco il suo posto signora!” Dissi: Please take it!”. La donna mi guardò avvicinando il volto al finestrino e mi gridò: “Non lo voglio più ora il tuo dannato posto! Do you understand? Fuck off! E rivolta a Olmo gridò: “Tu pezzo di merda….perché ridi?”
Mentre Olmo si sganasciava io cercai un altro parcheggio. E gli chiesi: “ Ma perché ridi in quella maniera? È imbarazzante…”
E lui sempre ridendo: “Ma tu segui sempre tutto quello che dicono le matte? Le dovevi dire di andare al diavolo!”
“Ma cosa voleva quella benedetta donna?” Chiesi, ero scosso.
“Rompere i coglioni…come fanno tutte!” Rispose Olmo ridendo.
“Dio santo era incinta… forse è stata abbandonata…mi sento male a pensarci…chissà che trauma ha prodotto una simile reazione… ”
“Il mondo è ricolmo di male non puoi farti carico di tutto…”
“Ma hai visto con che veemenza mi si è buttata addosso?”
“Non mi sorprendo più di niente…questo è un pianeta posseduto da una specie di folli!”

Ci sedemmo nel River Front Cafe nello Strand ordinammo due cappuccini con paste e il mio amico mi disse: “Sei scioccato eh? Ora ti racconto una storia che mi ha lasciato a bocca aperta. Durante un viaggio in Scozia scoprii una cosa assai misteriosa. E cominciò a raccontare: “Se arrivi a Glasgow e procedi verso il Firth of Clyde ti trovi sulla via Dumbarton. Dumbarton è un posto per depressi ove fioccano i suicidi. E’ un centro industriale che si estende sull’estuario del Leven e su uno spuntone di roccia è visibile il Castello.
Per arrivarci devi arrampicarti per una scalinata spaventosa che sfibra anima e corpo. Io ci rimasi quasi secco a farmela. Il cuore mi sobbalzava nel petto come un gatto imprigionato in un sacco.
La Scozia mi deprime sempre per la sua romantica bellezza. Se sosto presso un Loch, quando scende la sera, mi si inumidiscono gli occhi. Io, Arnobio, mi sfascio, mi destrutturo, mi scompongo davanti alla cupa, malinconica bellezza dei Loch. Ascolta: se da Dumbarton prendi la A82 e ti dirigi a Balloch scopri il lago più bello della Gran Bretagna: un posto idilliaco con trenta isole contenute tra rive boscose. Non lontano da Dumbarton, ritornando verso Glasgow, c’è una cittadina chiamata Milton. E a Milton c’è un ponte di granito: l’Overtoun Bridge. Un luogo arcano perché da quel ponte, in cinquant’anni, sono saltati cinquanta cani cercando la morte. Si, Overtoun Bridge è il luogo ove i cani si suicidano”

Quando Olmo mi raccontò questa storia rimasi sbalordito.
“Come si suicidano i cani? – Chiesi – Che cavolo dici? scherzi?”
“Si, si suicidano –spiegò – saltando tutti da un unico punto, da un parapetto. In questi ultimi sei mesi cinque cani si sono suicidati…”
“Ma è assurdo…come è possibile?” Chiesi.
“Anch’io non credevo possibile una cosa del genere. Gli esperti danno una serie di spiegazioni: la prima è che quel ponte è maledetto: da quel parapetto un uomo, un certo Kevin Moy gettò nel vuoto, nel 1994, il suo piccolo perché pensava fosse l’Anticristo. Quel ponte o ciò che è in fondo al ponte spinge gli esseri viventi a morire. Si…come le sirene di Ulisse che chiamavano i marinai alla morte. Un qualcosa seduce le creature e le spinge a gettarsi nel vuoto…”
“Ma questa città è cosi deprimente?”Chiesi.
“Dumbarton è uno dei luoghi ove la gente si suicida con più facilità. I giovani si uccidono continuamente.
Il capitalismo trionfante di Blair qui miete le sue vittime. Coloro che rimangano fuori dal gioco spietato del lusso e del trionfo non reggono. Si uccidono.”
“Ma non ho capito…è un ponte medievale?”
“No…questo ponte fu costruito, mi pare, nel 1895 da un certo Lord Overtoun, un calvinista. Un credo tremendo il calvinismo! Ti brucia la mente con il suo concetto astruso di predestinazione…”
“Che c’entra il calvinismo?”
“C’entra eccome…anche se la rigetti una religione – ormai sono in molti gli atei – è come una scia bavosa che resta sulle cose…”
“Ma è un fatto stravolgente questo dei cani…”
“La cosa strana e che i cani saltano solo nei giorni di sole. E sono i cani da fiuto più proni al balzo:
127 metri nel vuoto!”
“E perché i cani da fiuto?”
“Alcuni esperti danno una spiegazione scientifica: dicono che tra le mura del ponte i visoni abbiano – da tempo immemore – delle tane e che le loro ghiandole anali emettano un odore così forte e irresistibile che spingano i cani a saltare…”
“Ma è inverosimile…”
“Già…anche io trovo questa spiegazione poco soddisfacente… ma si annaspa nel vuoto…”
“I know the feeling!”
“E poi c’è la mitologia celtica che dice la sua…”
“Le streghe di Glastonbury? Sentiamo…”
“I sensitivi dicono che Milton è situato in uno dei punti chiamati thin place, cioè un punto ove cielo e terra si incontrano. Come un’apertura dei mondi ove i morti e i vivi, date certe peculiari condizioni, si incontrano. E i cani, dicono i medium, sono particolarmente aperti verso il mondo dell’Oltre – lo chiamo così perché non so come definirlo.”
“Lo sai che i cani possono sentirti a distanza? Io delle volte, quando parlavo di Uruq, e lui era lontano e non poteva ascoltarmi, agitava la coda. Un mio amico di Milano me lo disse. E quando mi svegliavo. Nel momento stesso che aprivo gli occhi lui mi sentiva e arrivava scodinzolando. Ma i sensitivi che hanno detto?”
“I sensitivi che hanno visitato il ponte non hanno provato nulla di strano. Tutto era assolutamente sereno.
Non c’era traccia di un haunting…”
“E quindi?”
“Quindi nessuno ci capisce niente…”
“E tu che pensi di tutto questo?”
“Che sono – come dicono gli inglesi-: flabbergasted… ma la soluzione non la conosco…”
Poi Olmo chiese: “Che libro vuoi comprare?”
Risposi “Un libro su Maometto…”
“L’Islam ti tocca il cuore?”
“Ma vuoi scherzare?”
“E perché lo compri?”
“Sono affascinato dalle visioni di Maometto: mi intriga l’apparizione di quello che lui chiama Gabriele.
Quando Muhammad ebbe le prime visioni, credeva di essere visitato da un jinni. Credeva di essere indemoniato e fuggì dalla caverna per trovare la morte: si voleva suicidare. E quando corse verso il dirupo per gettarsi vide un essere tremendo, immenso che sovrastava e occupava tutto l’orizzonte. E questo essere lo guardava immobile e se si girava da una parte lo vedeva e se cambiava direzione lo ritrovava. Era come qualcosa che stravolgesse lo spazio – tempo Le visioni di Maometto sono estremamente pittoresche. Sono strane, arcane, direi, e mi affascinano.”
“E credi che vengano da Dio?”
“No…quello non lo credo…io sono ateo…”

Morsi il dolce: il cappuccino era un’interpretazione anglosassone di quello italico.
Pensai ai cani che saltavano nel vuoto senza chiara ragione.
Dissi: “Spero che la povera donna del posteggio trovi pace!”
Il sole splendeva e Olmo sorrise.

4 – CONTRACCOLPO

Il 18 dicembre 2005 fu la seconda volta che vidi Olmo. Ci invitò a casa sua per un drink. Jonathan ordinò un taxi per raggiungere il traballante cottage immerso nel verde. Una casa di campagna minuta, fatiscente e stracolma di libri. Dalle pareti pendevano maschere di deità buddiste, grandi mandala tibetani e immagini delle statue del grande altare di Pergamo. Non c’era traccia di insegne fasciste o roba del genere. In cucina colava acqua dal tetto che veniva raccolta in un secchio. Tutto era profondamente austero, povero e minuziosamente ordinato. C’erano dischi di musica classica da 33 giri e un vecchio grammofono. I mobili davano l’idea di essere stati raccolti da una discarica, ma erano lucidi e puliti. C’erano bottiglie di vino francese e italiano su un tavolo di ebano. Un gatto tigrato entrava e usciva da una finestra. Il giardino era esiguo e curato. La casa piena di ogni tipo di cianfrusaglie mi suscitò profonda curiosità. C’erano moltissimi libri. Ricordo di aver visto volumi di Junger, Cioran, Evola, Eliade, Guénon, Bachofen, Michalstaedter, Moret, Jung, J.R.R. Tolkien, Prezzolini, Augusto del Noce e molti altri. C’erano anche le opere di Karl Marx. Su una mensola vidi una foto che mi fece trasalire. L’uomo racchiuso nella cornice di argento era il principe Junio Valerio Borghese, il capo della X MAS, quello del farsesco golpe dell’Immacolata. Nella foto, insieme a Borghese, comparivano due giovani sorridenti ed aitanti. Guardai con attenzione e feci finta di niente. Su un tavolo era aperto un libro di Goethe tradotto in italiano Gli Anni di Viaggio di Wilhelm Meister. Notai che Olmo utilizzava due decoder satellitari per vedere i canali televisivi europei: un Morgan’s Kingdom e un Manahattan 1000. Con questi due decoder – mi spiegò più tardi – seguiva gli avvenimenti italiani. Mi sorprese la sua accurata conoscenza degli eventi nostrani. Briganti parlò con precisione del governatore Fazio, che si era dimesso dalla Banca d’Italia, e dei media italici che rigurgitavano le eterne inanità dalle quali io stavo provando a distaccarmi. Parlò del flusso di sozzure che ci stavano scaraventando addosso i bancari rampanti con le loro scalate di cordata. Fu una cordiale conversazione che mi diede la possibilità di mettere insieme i tasselli del mosaico. I libri e l’immagine di Junio Valerio Borghese indicavano che Olmo – malgrado il nome di battaglia partigiano – era – o era stato – un uomo di estrema destra. Il mio sospetto era che uno dei giovani nella foto fosse Briganti. Me lo immaginavo amico di Mario Tuti, l’ergastolano, di Alessandro Colla, Franco Freda, Ventura, Gabriele Adinolfi, di Terza Posizione, di Fabrizio Zani e della camerateria della diaspora nera. Me lo figuravo a Predappio, ammantato di nero, a far la guardia d’onore nella cripta del Duce. Lo vedevo mentre scalava il Monte Rosa per depositare le ceneri di Evola in un ghiacciaio. Lo immaginavo membro della setta aristocratica dei Figli del Sole, o di Giovane Nazione, o del Fronte Nazionale Giovanile. Quando Jonathan gli chiese informazioni sul libro di Goethe, Briganti rispose che il poeta tedesco “aveva finito il pippone – così lo definì – nel 1829 quando Dostoevskij aveva otto anni”. E chiarì l’affermazione dicendo che tra lo scrittore russo e il vate germanico passava un oceano di differenza in potenza e in significato; e che giunto alla 350ma pagina non ce la faceva più a continuare. Aveva sbagliato a seguire i consigli di Citati – gli disse – che lo aveva fatto scivolare nel trappolone teutonico. Salvava del libro solo il racconto del “La Nuova Melusina” che lo aveva affascinato perché amava gli elfi. Dostoevskij, secondo Olmo, era anni luce davanti al Giove Olimpico Teutonico che lo stava annoiando da morire. Mi incuriosivano i due marchingegni satellitari e gli chiesi cosa riusciva a vedere: mi rispose che vedeva la Rai con il decoder Morgan, mentre con il decoder Manhattan poteva seguire Mediaset e un centinaio di inutili canali. Fu quando cominciò a parlare dei suoi viaggi che le mie antenne cominciarono a vibrare. Il mio intuito giornalistico si svegliò quando disse che aveva lasciato l’Italia nel 1970, che era ritornato nel 1972 per poi andare a vivere a Madrid, e lasciare la Spagna definitivamente alla fine del 1975. La sera studiai le date e tentai di unificare i frammenti del puzzle. Congiunsi i pezzi del mosaico: Olmo mi disse che era nato nel 1945 aveva quindi 60 anni.
Nel 1964 c’era stato il tentativo di golpe di De Lorenzo preparato dal Sifar. Nel 1969 era esplosa la bomba nella Banca dell’Agricoltura a Milano che aveva fatto 12 morti e molti feriti dando inizio alla stagione della destabilizzazione terroristica. La instabilità terroristica era stata ispirata dalla riuscita del golpe greco del 12 aprile del 1967 e dal timore che gli eventi del 68 potessero scatenare una possibile rivoluzione comunista. La morte di Michelini nel 1969 e l’elezione alla segreteria di Almirante avevano spalancato le porte al nuovo neofascismo. Rauti e l’estrema destra erano confluiti nel MSI. Nel 1970 i fascisti avevano galoppato la tigre della rivolta di Reggio. L’8 dicembre del 1970 c’era stato il tentativo golpista di Borghese. E nel 1971 il MSI aveva ottenuto il 14 per cento dei suffragi. Nel 1973 era scoppiata la bomba di Bertoli per punire Rumor. Erano coinvolti Maggi, il capo di Ordine Nuovo, Boffelli, Neami, il colonnello Spiazzi e il generale dei servizi segreti Maletti. Ricordavo di avere letto le dichiarazioni di Vinciguerra sul piano golpista, confermate poi, nel 1997, dal pentito neofascista Di Gilio. Sempre nel 1973, a Settembre c’era stato il golpe di Pinochet in Cile: la destra aveva cominciato a sognare un soluzione simile per risolvere i problemi italiani. Nel 1974 c’era stata l’aggressione di Piazza della Loggia a Brescia e il deragliamento dell’Italicus. Forse Olmo aveva fatto parte del Fronte Nazionale Rivoluzionario fondato nel 1968 che aveva ideato il golpe Borghese. Le date tornavano. I movimenti tornavano. Olmo poteva aver preso parte al colpo di stato fallito per poi fuggire. Era, poi, ritornato nei patri lidi durante il periodo della destabilizzazione bombarola. Dopo le bombe si era nuovamente eclissato in Spagna, lasciando Madrid quando il Caudillo – dopo una grottesca agonia – aveva tirato le cuoia.
E dopo la Spagna? Dopo la Spagna Briganti era stato nel Sud America per concludere il suo pellegrinaggio in uno sperduto luogo nel nord del Devon.
Briganti ci aveva spiegato che aveva lasciato l’Italia alla fine del 1970, per tornare nel 1973.
Era partito per Madrid nel 1974 e aveva lasciato definitivamente la Spagna alla fine del 1975.
Tutto tornava: il 20 novembre del 1975 era morto Franco.
E il Devon? Mi chiesi. Mi risposi che forse Evola – e l’ossessione nazifascista del Graal – avevano avuto un peso notevole per la scelta del luogo.
Ma alla mia domanda: “Perché il Devon?” Olmo aveva risposto: “Perché no?”
E qui avevo interrotto la serie delle domande per non insospettirlo.
Nella mia mente Olmo appariva come un giovane che era stato impiegato dai servizi deviati per compiere misfatti. Me lo immaginavo come un fascista che sognava di scatenare, attraverso il terrore, un caos foriero di colpi di stato. Ma forse mi sbagliavo. Noi italiani siamo ossessionati dai complotti. Siamo devoti al chiacchiericcio della congiura e dell’intrigo. Respiriamo cospirazioni dalla mattina alla sera. Le schegge del puzzle, però si raccordavano: c’era solo da indagare più profondamente senza insospettire. Jonathan era convinto che stavo allucinando, ma io mi stavo convincendo che Olmo fosse un fascista implicato nella stagione del terrore. Quando quella sera lo stavamo lasciando, gli chiesi a bruciapelo: “Sei tu uno dei due giovani con Junio Valere Borghese?”
Mi rispose senza alcuna esitazione: “Si, il secondo a destra”
Poi mi indicò un ritaglio di un giornale sul tavolo di ebano che era coperto dal libro di Goethe.
Era una foto dove il governatore Fazio appariva a braccetto con un alto prelato, forse Re, circondato dalla moglie e dalle figlie tutte chiamate Maria.
Olmo disse:“Guarda come sono belli con i loro San Tommaso e le loro tribolazioni alla Giobbe, tutte dedicate al Signore, mentre pregano e fregano il popolo di marpioni e lestofanti. Non vi fanno schifo? Le religioni andrebbero abolite. Fanno troppo male al mondo. Quelle monoteiste poi…”
Uscimmo: un taxi ci attendeva. Fuori pioveva a dirotto.

Il rabbino Tony Abrahamavic, responsabile del Movement of Reform Judaism di Londra, l’ha sparata grossa. Leggo rapito e sconcertato un articolo di alcuni mesi fa. Dice che la religione è una maledetta disgrazia e che i vari credi imperanti nel mondo sono ormai paurosamente disfunzionali. La religione che sta morendo in Occidente, prospererà invece nel terzo mondo e quello che verrà fuori da quelle lontane lande sarà qualcosa che avrà poco a che fare con l’idea buonista che abbiamo delle varie fedi. I marxisti – spiega Abrahamavic – hanno ragione quando affermano che è l’economia la base essenziale di ogni lotta e che è la povertà e non la religione il problema che deve essere affrontato nel mondo. La religione sta esaurendosi nelle terre dell’Occaso ma prospera e crescerà a dismisura nelle terre dei diseredati. E saranno le chiese dei poveri a stravolgere il mieloso cristianesimo della Chiesa d’Inghilterra e della Chiesa cattolica moderata. Secondo Abrahamavic é una follia pretendere che esista un solo filone di cristianesimo e delle altre fedi: quello che sta germogliando nelle terre dell’indigenza travolgerà la pacata, borghese visione del mondo dei teologi borghesi, dei paciosi prelati e dei soddisfatti rabbini; è bizzarro pretendere che Dio conceda una sola verità da gestire a un piccolo gruppo di persone perché, ormai, esistono fondamentali diversità che non possono essere aggregate e assorbite. I fondamentalisti cristiani della destra americana e gli estremisti islamici produrranno un brand di credi che poco avrà a che fare con il materiale religioso stucchevole e pacioso che ci elargiscono le elite occidentali e terzomondiste. I gruppi di potere egemoni nelle terre della ricchezza relativa e della grande penuria producono, anche in senso religioso, visioni del mondo condizionate dal capitalismo trionfante: l’economia determina il modo di vedere del mondo. E determina anche il mondo religioso. Il cristianesimo norvegese non potrà mai essere il cristianesimo nigeriano, come il cattolicesimo del Veneto benestante non potrà mai essere simile a quello delle bidonville filippine o delle favelas brasiliane. Il cristianesimo diventerà sempre meno significante nelle terre occidentali ma crescerà a dismisura, come l’Islam, nei territori dei poveri. John Bowden, un teologo anglicano, ha definito il fenomeno della crescita del nuovo “brand” di credi “terrificante” e ha spiegato che queste fedi – che sono guidate da poteri maligni che si beano del conflitto – sono, per loro natura, profondamente ostili tra di loro e porteranno al tanto temuto scontro tra civiltà; questi credi trionfalistici ed arroganti non avranno tempo per le minuzie teologiche come la morte di Dio. Cosa possono significare i matrimoni gay per cristiani nigeriani? Cosa può significare l’ordinazione di ministri di sesso femminile nelle Filippine? Questi sono problemi che il popolo cristiano delle terre dell’indigenza trova offensivi e irrilevanti. Questi sono problemi che riguardano la Chiesa dei ricchi ma non la Chiesa dei poveri. Per Abrahamavic – un ebreo che crede nella teoria dei due stati, e quindi auspica la nascita di un nuovo Stato palestinese – anche nel giudaismo è presente questo fenomeno fondamentalista evidenziato dalla filosofia dei coloni israeliani che vogliono imporre la loro visione biblica senza curarsi delle necessità dei palestinesi. Il conflitto dei credi – spiega il rabbino – è presente in vari paesi come il Pakistan, Israele, l’Afghanistan, il Nord Irlanda, il Sudan e i paesi balcanici. In questi luoghi l’appartenenza religiosa – ormai irrilevante in Europa e in altre parti del mondo – è determinante ed è ciò che mina il sogno della pace.
Forse sarà il terzo mondo il palcoscenico del grande scontro tra civiltà che stiamo preconizzando.

Ci incontrammo nuovamente il 21 dicembre a casa di Jonathan. Fui io a insistere per un nuovo incontro. Il vecchio inglese aveva preparato un prelibato pranzo . A metà del banchetto mentre stavamo godendoci uno Stroganoff ai funghi chiesi a bruciapelo: “Hai preso parte al golpe dell’immacolata?”
Mi rispose senza il minimo tentennamento: “Si. Quella sera ero nell’armeria, stavamo saccheggiandola mentre le guardie forestali erano a un paio di centinaia di metri a via Teulada intorno alla RAI…”
Jonathan mi guardò allibito.
“Andò male il golpe!” Dissi.
“Se non lo sai tu che scrivi sui giornali. Lo sai bene che fu una di quelle cose farsesche che l’Italia rigurgita con tremenda regolarità…”
“Stavate per catturare Saragat, magari facevate pure bene…”
“Si, il piano era di eliminare il capo della polizia con due killer mafiosi. Poi giunse il contrordine…”
“Contrordine camerati…”
“E già…”
“E chi lo diede?”
“Ma gli americani… e chi altro? Ricordo perfettamente erano le 1:40 di notte. Penso che chi diede l’ordine di sospendere tutto fu Ugo Fenwich dopo aver sentito il Dipartimento di Stato Americano…»
Quello che mi sorprendeva era l’assoluta tranquillità con la quale rispondeva alle domande.
Non temeva che un giornalista potesse metterlo nei guai. Se ne infischiava completamente.
“Ma a voi che dissero?” Chiesi
“Che le condizioni non erano appropriate per il golpe in quel dato momento e che bisognava disperdersi subito…”
“E tu che precisi compiti avevi?”
“Io avevo avuto l’incarico di stabilire contatti con un armatore che aveva messo a disposizione la flotta a Civitavecchia e che tremava di paura..e poi ero nell’armeria del Viminale con altre persone…”
“E che ruolo doveva avere Andreotti nel golpe?”
“Sarebbe dovuto diventare Presidente del Consiglio, così volevano gli americani…”
“Ma non voi?”
“Ma vuoi scherzare? Noi volevamo un tipo come Borghese a capo del governo!”
“E poi tutto fu messo a tacere… ma Andreotti avrebbe accettato l’offerta americana?”
“E chi conosce la profondità di quella mente mefistofelica?”
“Ci fu un silenzio tombale, fino a quando il Paese Sera informò – tre mesi dopo – il mondo universo che era partita un’inchiesta giudiziaria. E Miceli scattò in difesa delle forze armate…”
“Certo come sempre. Loro utilizzavano i poveri fessi come noi e poi – come Pilato – si lavavano le mani nel catino…”
“Ho letto quello che disse Vinciguerra quando raccontò tutto: secondo te era un infame?”
“Ma via… che termini… scusa i comunisti che hanno abbandonato Stalin sono degli infami?”
“Per me no, ma per molti tuoi camerati Vinciguerra e Di Gilio sono degli infami…”
“Vinciguerra non si è mai pentito, che io sappia…”
“No, ma ha denunciato con estrema fermezza le infiltrazioni di apparati dello stato tra i vostri ranghi.
Ha puntato il dito verso la manipolazione dei servizi deviati. Ha affermato che chi mise le bombe a piazza Fontana sperava nella proclamazione – da parte di Rumor, allora presidente del consiglio – dello stato di emergenza e nella conseguente instaurazione di un governo dittatoriale o almeno autoritario”
“E’ vero, siamo stati manipolati. Ma la ragione era semplice: se fossimo stati noi fascisti a tentare un colpo di stato, senza le forze armate, i comunisti ci avrebbero massacrato. Occorreva un pronunciamento di tipo cileno per prendere il potere”
“Di Gilio ha confermato che l’attentato a Rumor, la bomba di Bertoli del maggio del 1973, era un atto punitivo per il tradimento del democristiano”
“E’ vero: la bomba dell’anarchico di destra Bertoli era stata fatta esplodere per punire Rumor”
“C’erano, quindi, dubbi sostanziali che i democristiani fossero implicati nel golpe?»
“Così capimmo … poi…”
“Ma tu eri coinvolto con il terrorismo?”
“Che intendi?”
“Hai messo le bombe?”
“E se lo avessi fatto te lo direi?”
“Non te lo chiedo per uno scoop!”
“Se ti dicessi che sono uno di quelli che hanno messo le bombe a Piazza Fontana tu non mi denunceresti?”
“Non so… ma lo sei?”
“Tu lo pensi, vero?”
“Penso che fuggisti con Borghese in Spagna…”
“Giusto… ma da lì alle bombe ce ne passa…”
“E poi lasciasti la Spagna alla morte di Franco…”
“Bravo… per andare?”
“In Bolivia?”
“No, in Cile!”
“Conoscevi Izzo e i massacratori del Circeo?”
“Si… Izzo… lo conoscevo, ma quelli sono delinquenti, gente che fa schifo; scusa… ma non ci sono stati mass killer stalinisti?”
“Si…ma perché lo dici a me? E nel golpe di Sogno eri coinvolto?”
“Assolutamente no… quella era altra roba”
“In che senso?”
“A quel tipo di golpe aderiva il fior fiore delle destra italiana: comandanti dei carabinieri, dell’esercito, dell’aeronautica, della marina, esponenti del piano Solo, insomma gente che voleva la nascita di una repubblica simile alla quinta repubblica francese. E non auspicava spargimenti di sangue.
Il loro golpe lo chiamavano contraccolpo perché era, in effetti un golpe bianco per impedire un colpo di stato rosso. Con Sogno c’erano liberali, cattolici, socialisti, anche ex comunisti, e un bel mucchio di medaglie al valore. La cosa comica era che Sogno, doveva forzare Leone, il presidente della repubblica, con la pistola puntata verso il fondo schiena, a dare l’annuncio del colpo di stato. Ve lo immaginate Leone con il corno rosso in mano che annuncia che c’è stato un golpe bianco per impedire un golpe rosso?”
“Come un film di Totò! Tu non puoi capire Jonathan quanto possiamo essere ridicoli noi italiani…”
“Ma era una cosa seria: erano implicati comandanti della Folgore, delle Forze Mobili Terrestri, delle Forze Terrestri Alleate del Sud Europa… ce n’era di gente importante coinvolta…”
“Maletti parlò chiaramente di un coinvolgimento Usa…”
“Si… e poi si sparì e finì in Sudafrica”
“Volevano un governo gollista guidato da Pacciardi…”
“Vero… ma nel Luglio del ‘74 Andreotti sputò il rospo, mise Sogno sotto stretta sorveglianza, e fece, de facto, scattare l’operazione di Violante che ordinò la perquisizione della casa di Sogno e nel ‘76 lo fece arrestare. Ma fu prosciolto da ogni accusa. E più tardi, Sogno scrisse un diario che confermava il golpe, ma quando morì gli decretarono il funerale di Stato … facciamo pietà!”
“Ma da chi fu concepito il golpe di Borghese?”
“Nacque dai nostri vaneggiamenti… dalle farneticazioni del Fronte Nazionale Rivoluzionario.
In effetti l’idea era di unificare spezzoni neofascisti con ex combattenti della Repubblica di Salò e corpi scelti dell’esercito per prendere il ministero dell’interno ed eliminare il capo della polizia. Ma molte cose non le conosco bene. Io ero solo un misero bullone nell’ingranaggio”
“E pensavate che ci fosse una reazione armata della sinistra?”
“Molti pensavano che sarebbe finito come il Cile. Che la sinistra buonista e passivamente democratica non avrebbe reagito. Che sarebbe finito insomma come con Alliende e Pinochet, con un minimo spargimento di sangue. E dicevano che il popolo “unido che mai sarà vincido” si sarebbe arreso in massa davanti al golpe militare. Tu sai che in Cile molti giovani rinfacciano ancora adesso alla MIR e alla sinistra la supina accettazione del golpe. Altri, invece, pensavano che i partigiani avrebbero dissotterrato le armi e che ci sarebbe stato un bagno di sangue; e di conseguenza, se ci fossimo stati sconfitti sarebbe finito tutto veramente male. Molti ricordavano quello che successe a molti camerati alla fine della guerra…”
Interruppi: “Fu quella la ragione delle molte defezioni dell’ultimo momento?”
“Certamente! E chi rischierebbe la vita in un operazione simile? Solo dei folli come noi…”
“E della Principessa Pignatelli hai mai sentito parlare?”
“Ma quella è roba vetusta. La Pignatelli e suo figlio De seta…si…fu quando tutto ricominciò e gli americani erano pronti a riciclarci, lo sai, no?”
“L’ho sentito… ma tu come lo sai?”
“Lo dicevano i vecchi camerati: Borghese era da tempo in contatto con i servizi segreti americani, i vecchi fascisti mi dissero che i contatti cominciarono dal lontano 1944. Ma lo sai che furono gli americani a salvare Borghese?”
“No…”
“Fu Angleton…”
“Si…gli americani si preparavano alla guerra fredda. Erano sul punto di riciclarci. Un vecchio camerata mi raccontò che Nino Buttazzoni uno di quelli X MAS aveva tentato più volte di far capire agli americani che esisteva un nuovo scenario in Italia e nel mondo e che i fascisti potevano essere recuperati alla causa anticomunista. E poi anche i compagni erano attivi a reclutarci lo sai? Ci volevano riciclare tutti. Io ero appena nato e tutti mi volevano già reclutare. E anche la Chiesa aiutò…nascose molti fascisti nel Seminario Maggiore; e poi ci furono rapporti con Israele lo sai?”
“No…questo no…”
“Il vecchio camerata mi raccontò che l’attentato all’ambasciata britannica del 1946 era roba stato organizzato dagli ebrei con l’aiuto dei fascisti…”
“Lavoravano insieme?”
“E ti sorprende? Al vecchio camerata lo disse Romualdi…”
“Certo che mi sorprende…erano alleati con chi era complice di chi li mise nei forni…”
“Si… sconvolse anche me… ma i vecchi camerati avevano agganci con massoni, servizi segreti, americani, personalità della chiesa – che temevano il comunismo ateo – e gruppi monarchici…”
“Questo lo capisco, ma gli ebrei con i fascisti mi sorprende molto…”
“Mai sorprendersi: lo sai che un immagine del Cristo si manifestò nella casa di Nicola Pende quello del “Manifesto della razza”? Era un’immagine somigliante al Gesù leornadesco dell’ultima cena. Il Cristo – o chi per lui – si manifestò in una casa di Via Salaria a Roma. E prelati e porporati confermarono la “trasudazione” e la somiglianza del volto. E Pende invitò un medium, una certa Madame Sylvia a capire cosa succedeva…ridi eh?”
“Beh… è inaudito…”
“Ascolta: il giorno della manifestazione dell’immagine era il 14 ottobre, cioè il giorno della nascita di Leonardo da Vinci…”
“ Oddio!”
“E i comunisti s’incazzarono da morire e denunciano la macchinazione democristiana…e un critico d’arte di sinistra chiamò la “trasudazione” un misero sgorbio …roba ilare: la seconda persona della Trinità si manifesta nella casa di un…”
“Abietto razzista…ah ah ah….”
“ Dimmi…Franco lo hai mai visto?”
“Ricordo una cosa che mi fece una grande impressione: alla vigilia di natale, nella chiesa di San Francesco durante i funerali di Carreo Blanco, dopo che l’ETA l’aveva fatto volare su un tetto, vidi Franco lacrimare”
“Un volo spettacolare, alla Icaro, quello di Blanco…ma ti trovavi a tuo agio in Spagna?” Chiese Jonathan
“Voi non potete capire; ma gente come noi – parlo di giovani fascisti rivoluzionari – era a disagio con l’establishment franchista composto da prelati bavosi, capitalisti industriali, vecchi generali, e finanzieri marpioni. I contatti erano minimi e anche Borghese lo vedevamo poco. Ormai stava veleggiando verso l’Ade: stava tirando le cuoia e sembrava che se lo sentisse, era diventato un mezzo recluso”
“Eravate contrari a quel fascismo bigotto?” Insistette Jonathan
“I tempi vanno capiti: c’era stata l’utopia di sinistra, il PCI era arrivato al 25 per cento dei voti e nel ‘69 si respirava aria di sommossa. Erano gli anni delle tute blu, c’era l’autunno caldo e stavano facendo capolino le Brigate Rosse. Per gente come noi era inaccettabile immaginare che il paese cadesse in mano ai comunisti. Da lì scaturirono più di cento attentati. E la Spagna malgrado tutto era un modello di contenimento del comunismo ben riuscito. In essenza: o agivi come Franco o Pinochet o tutto era perso…”
“E c’era anche stato il caso Calabresi…” dissi
“Già anche quello…”
“E che pensi della confessione di Marino?”
“E che vuoi che penso…perché avrebbe dovuto tirare fuori il rospo? Certo, sono tuttora stralunato… flabergasted… come dicono gli inglesi…”
“Quando veniste a sapere che La Bruna aveva consegnato al giudice Salvini i dodici nastri che provavano il golpe e il coinvolgimento di pezzi dello stato – incluso il famigerato Gelli – al colpo di stato di Borghese?”
“Lo seppi subito: mi telefonarono da Roma. E seppi anche delle ripuliture dei nastri per non implicare vecchi marpioni”
“Mefistofele fecit…”
“Già… le cancellazioni avvennero con l’approvazione di Andreotti…”
“Ma non è finita, avete ancora Di Canio e i deficienti dello stadio…”
“Come fare la rivoluzione bolscevica con gli hooligans della Dinamo Mosca!”
“Quello che mi fece impressione di Borghese era che affermò che lui si sarebbe comportato come Suharto in Indonesia: voleva il massacro di centinai di migliaia di comunisti…»
“È vero… voleva liquidare la sinistra…”
“Tu sei un credente?”
“No, io mi sono formato con Nietzsche… ma con un Nietzsche mal digerito…»
“L’innocenza del divenire… eh?” Sussurrò Jonathan.

Nietzsche, pensando al fanciullo di Eraclito, dice che il divenire è un gioco dell’Eone che si diverte con se stesso trasformandosi in acqua e in terra. L’Eone edifica, come un fanciullo su una spiaggia, torri di sabbia per poi distruggerle. Eraclito spiega che questo cosmo non lo fece alcun dio “ma fu, è, e sempre sarà fuoco di vita eterna, che si riaccende e si spegne con misura”.
Il mondo individuale, il mondo delle miriadi di cani di paglia è qualcosa che il fanciullo cosmico, l’Essere, distrugge e ricompone come un castello di sabbia. Il divenire, dice Nietzsche è un “efflusso di gioia primordiale che come il fanciullo eracliteo dispone pietre qua e là, innalza mucchi di sabbia e li disperde”. Il divenire è un gioco divino e di quel gioco fanno parte i tramonti, gli oceani, la luce gloriosa, Auschwitz, Beslan, Gengis Khan, i mattatoi, Mengele, Pol Pot, Pinochet e il tavolo del vivisettore.
Schopenhauer – che non vede l’Essere come un fanciullo che gioca – dice un’altra cosa; dice che le miriadi di esseri e di cose, i cani di paglia di Lao Tzu e John Gray, sono il guanto che la mano della volontà cieca agita senza un fine preciso, come la mano di un burattinaio pazzo che dimena le sue marionette.
La volontà scuote i lignei burattini che credono di muoversi per volontà propria.
Il filosofo spiega che l’essenza delle cose è un cupo, oscuro ribollire, un impulso oceanico, cosmico, universale che squassa le miriadi di fantocci che sono gli esseri senzienti e le cose.
I cani di paglia, sbatacchiati dal vento impetuoso della cieca volontà, siamo noi.
Il flusso del divenire per la coscienza ferita, che si ritrae con orrore davanti al macello, significa che ogni quattro secondi muore un uomo di fame, di malattie o di stenti, e che muore per le stesse ragioni, ogni cinque secondi, un fanciullo che non gioca con i castelli di sabbia. E vuol dire che l’affilata lama del massacratore, che ha il volto della nostra specie, quello del killer cosmico, consegna al nulla, ogni
secondo – ripeto ogni secondo – 1500 inermi, innocenti, animali. Il gioco glorioso del fanciullo nicciano ci prodiga ogni anno una massa di 40 milioni di esseri viventi che si spengono per fame, malattie e stenti. E questa specie tremenda che lascia morire i suoi fratelli poveri di stenti e di fame, a sua volta perpetra, ogni ora, lo sterminio di 5 milioni e mezzo di esseri viventi che non appartengono alla sua specie.
Per Schopenhauer – scrive Safranski, un suo biografo, – “il mondo non è qualcosa di razionale e spirituale bensì un anelito oscuro, un impulso dinamico e assurdo se misurato con la scala della nostra ragione”. Dietro la facciata barocca della normalità paciosa – secondo il filosofo tedesco – bolle la vera vita fatta di un turbinare oscuro, di un cupo rimestare che è, in effetti, la “cosa in sé” dei filosofi.
L’essenza profonda delle cose è questo turbinio caliginoso che agita e tormenta le miriadi di marionette e genera, attraverso una sua peculiare manifestazione, la coscienza che è un occhio in grado di contemplare il cuore nero dell’Essere. La Volontà osserva esterrefatta il suo tremendo gioco.
E la coscienza? Si chiede Nietztsche.
E si risponde in La filosofia nell’epoca tragica dei Greci: “In un angolo remoto dell’universo scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari c’era una volta un astro, su cui animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e più menzognero della “storia del mondo”: ma tutto ciò durò soltanto un minuto. Dopo pochi respiri della natura la stella si irrigidì e gli animali intelligenti dovettero morire”.
E si chiede ancora: “Ma non sarà una disgrazia possedere questa coscienza?”
E si risponde in Schopenhauer come educatore: “In quella luce improvvisa ci guardiamo con orrore attorno e indietro: là corrono le raffinate bestie da preda e noi in mezzo ad esse. L’immenso muoversi degli uomini nell’immenso deserto della terra il loro fondare città e Stati, il loro guerreggiare, il loro raccogliere e disseminare senza posa, il loro correre alla rinfusa… il loro reciproco soverchiarsi con l’inganno e calpestarsi, il loro grido nella disgrazia, il loro gioioso ululato nella vittoria: tutto è continuazione dell’animalità.”
La natura si riflette nello specchio della coscienza umana..
Più tardi Heidegger interviene nella sua Introduzione alla Metafisica e scrive: “Rappresentiamoci la terra nell’universo, all’interno della buia immensità dello spazio: sulla superficie di questo minimo granello di sabbia vive nell’abbrutimento un ammasso confuso e strisciante di animali che si suppongono razionali, i quali hanno, per un istante, scoperto la conoscenza”.
Schopenhauer, che li ha preceduti, dice che il nostro mondo è un pulviscolo perso nello spazio infinito e su di esso “esiste un rivestimento ammuffito di esseri viventi e conoscenti” agitati, scossi dal vento del divenire, che è il turbine della cieca volontà.
Il divenire?
Il vicino di casa di Dudù prende da un ricovero un gattino che aveva vissuto una terribile vita.
Lo cura e lo rassicura. Una settimana di pace. All’ottavo giorno una macchina lo travolge e lo schiaccia.
Lo raccogliamo ancora caldo. Che ne facciamo dello Ja – sagen di Nietzsche?
Lo bruciamo come cielo e terra bruciano, spietatamente, i cani di paglia.

5 – IL CAMAURO DI RATZINGER

E’ il giorno dopo Natale: Boxing Day. Sono immerso in un vasca piena di acqua tiepida nel bagno hollywoodiano di Dudù. Ieri c’è stato il cenone di Natale e la vecchia ha invitato i soliti amici.
C’era l’eterno Jonathan – una presenza consolante come l’angelo del Signore nel momento della morte -, Tolly, più brilla e stupida che mai e Charlie Phipps, un cinquantenne di Milton Keynes cum signora,
due nouveau riche approdati da tempo alla corte di mia zia. C’erano i Cleveden, i Claris con il figlio deficiente, i Woodward , i Travis che sembrano due vampiri, Fred Dalymount e Rosalba, la lolita troia rumena e i Francis – Rotter con la figlia diciottenne, Molly, con due zinne da stravedere.
Devo dire che se a Milano e Roma, dove ho vissuto e lavorato, mi sono sempre sentito uno straniero, qui nel Devon mi sento come E.T, l’extraterrestre che il bambino, nel film di Spielberg, trova nella casupola. Proprio così: qui mi sento come un totale alieno. Ascoltare Phipps che si entusiasmava per il discorso della regina mi ha bloccato lo stomaco e anche Jonathan si é indispettito. Quando poi il reietto ha cominciato a prendere pose da baronetto inglese con il bicchierone ricolmo di cognac e con il gomito appoggiato al caminetto, allora ho cominciato a sentirmi male, ma mi sono controllato. Jonathan dice sempre che, quasi sempre, l’arricchimento improvviso provoca un corto circuito nella corteccia cerebrale degli ex poveri.
Il reprobo si è arricchito costruendo ponti e case nel terzo mondo e ora, stracolmo di soldi, fa il finto lord con il suo accento fasullo; ed è come se er Sor Cocuzza, capo dei tifosi della Curva Sud, tentasse di imitare l’accento con l’erre moscia degli Agnelli: una cosa a dir poco disgustosa.
Si è parlato di tutto. Phipps ha detto che stava leggendo The Da Vinci Code di Dan Brown e che trovava il libro affascinante. Jonathan è andato su tutte le furie e ha obiettato che quel libro é un prodotto classico della sottocultura e ha le stesse basi storiche dei libri che narrano le visite degli alieni sulla terra.
Il vecchio professore di teologia sistematica ha definito la parte dove Dan Brown parla dell’Opus Dei – e del monaco albino, il killer-terminator dell’ordine – preposterous, assurdo. Phipps che è più ignorante della patata lessa che stava mangiando ha cominciato a reagire dicendo: “Look here: il libro è una magnifica fiction!” “Sarà – ha risposto Jonathan – e perdona il mio francesismo però a me sembra fucking absurd! E poi – ha continuato – per me qualsiasi cosa che gira intorno a Templari, Catari, Maria Maddalena, Opus Dei, Graal e fregnacce varie è roba da mettere subito nel cestino senza neanche leggere la prima pagina.”
A questo punto Beryl è intervenuta in difesa del marito e ha cominciato a sproloquiare sulla chiesa cattolica e sull’oppressione delle donne da parte dei pontefici reazionari regalandoci un becero, strascotto femminismo anticattolico da nouveau riche. In breve mi è anche toccato difendere il papa che la reietta continuava a chiamare Noddy – come il burattino inglese con lo strano cappellino – a causa del camauro con il quale era stato recentemente fotografato. Devo dire che Ratzy boy se le va a cercare portando un copricapo così ridicolo. Il dibattito è continuato e Jonathan, inviperito dalla grassa ignoranza della coppia, ha tentato di spiegare che in effetti l’Opus Dei è qualcosa di losco ma criminalizzarla in quella maniera non aiuta. Infatti, da quando Dan Brown ha concesso il suo best seller al mondo, l’organizzazione è notevolmente cresciuta. E per chiarire con un esempio ha detto che si può affermare che Stalin sia stato un tiranno spietato ma non si può dire che mangiasse bambini. A questo punto Molly, sentendo il nome di Stalin – come svegliata da un incubo – è intervenuta dicendo che aveva letto sul Daily Mail un servizio di un certo Foreman che riportava notizie – filtrate dal paese dei limoni e del sole – che ci informavano che il vecchio Josef Visarionovitch aveva cercato di far creare da folli scienziati un’armata di ibridi, di
uomini – gorilla, come quelli del Pianeta delle Scimmie. Jonathan, sentendo questo, si è messo a ridere a crepapelle; ma Phipps stizzito ha precisato che con Stalin e Hitler c’era poco da scherzare e che tutto sarebbe stato possibile. E pensandoci bene l’idea del marpione non è poi così peregrina. A questa punto Beryl mi ha chiesto cosa pensassi di Berlusconi. Ho risposto – citando Sylos Labini – che the dear man è “una catastrofe nazionale”. Dudù ci ha bruscamente riportati nella realtà dell’abisso di Charles e Camilla gridando che nessuno voleva la nuova moglie di Carlo come regina. Tanto per dire qualcosa di contrario ho cominciato a difendere la reietta. Si sono formati due partiti. Uno che affermava che Camilla poteva diventare regina perché le tradizioni cambiano. E l’altro che lo escludeva a priori. Jonathan che è monarchico come lo era Robespierre quando fece tagliare la testa del re ha perso la pazienza e ha detto: “Non reggo più questo principe di merda e le sue troie!” A questo punto la cameriera, Odilia Carazo del Bufalo, è entrata saltellante nella sala da pranzo con un vassoio pieno di bicchieri stracolmi di alcol ed
è franata sulla televisione e sul decoder Sky di Dudù per poi rialzarsi smadonnando per il pavimento scivoloso nella lingua di Cervantes: “Carajo….este piso de mierda…”

Immerso nell’acqua tiepida rifletto. Phipps è il classico cazzone inglese, l’autentico english prick. Charlie rientra nella categoria dei Bruce Forsyth, delle ministelle, dei Beckham, dei i nuovi ricchi rocchettari, degli yuppie, dei froci monarchici, dei tofs che imitano l’aristocrazia rendendosi ridicoli e chiamano la regina Mam e provano una malcelata simpatia per Charles e Camilla. E se qualcuno mi chiedesse chi rappresenta il massimo della cazzoneria britannica non esiterei ad indicare il manager che vinse per l’Inghilterra i campionati del mondo del 1968: Alf Ramsey. Studiandolo accuratamente per un reportage che scrissi nel 2001 colsi nel pallonaro l’essenza numinosa della british prickness. Descritta in soldoni l’essenzialità arcana del cazzone consiste in un fiero antieuropeismo, in una xenofobia diffusa e travolgente, nell’idea che Wogland, la terra dei bongo – bongo, cominci da Calais; nell’assoluta convinzione che la monarchia è una istituzione inossidabile; nell’idea che le tradizioni non cambino mai;nella delusione di grandezza; in una grassa ignoranza della propria storia e nell’accanimento verso i poveri del terzo mondo che arrivano nel paese della cuccagna per distruggerlo. Studiando Ramsey, attraverso innumerevoli filmati, il tecnico mi è apparso come la quintessenza dello sciovinismo inglese. Forse sono ingiusto ma questo mi è balzato nella mente. Associo lo sciovinismo all’ignoranza più abietta e rispetto le classi lavoratrici solo quando sono politicizzate. Se la classe operaia è lasciata a se stessa allora – secondo il mio umile parere – evolve in una visione delle cose essenzialmente protofascista. La classe operaia anglosassone ha questa propensione e l’hooliganismo non è altro che il frutto del tetro rimuginare – delle classi alienate e confuse dal modernismo – che si concretizza principalmente nello stadio dove tutto può essere urlato e scritto. Il lumpenproletariato e il proletariato annichilito dalla modernità trovano sbocco per le proprie frustrazioni sulle gradinate dello stadio. E chi subisce l’orrore che si concretizza in quei momenti di selvaggia passione sono generalmente i giocatori di colore. Ma questo è ormai un problema mondiale. Nei paesi dell’est tutti gli scalmanati da tempo imitano gli hooligans inglesi. E noi nel paese dei limoni e del sole siamo all’avanguardia dell’orrore. Le immagini di Di Canio che elargisce il saluto nazista al suo popolo sono l’espressione più pura di quello che cova sotto le ceneri. Il saluto – dice il reprobo – era solo un saluto romano? Ma ci faccia il piacere. Quello era un saluto nazista alla Goebbels altro che saluto delle legioni romane!
Devo dire che dopo la cena delle beffe è stato un vero piacere addormentarmi con Houllebecq. Io sono tra coloro che legge lo scrittore francese con grande piacere. Mi piace il suo essere politicamente scorretto e trovo deliziosa la sua critica alle religioni monoteiste. Ieri notte, dopo aver subito la cena con reprobi e megere, l’empio Charlie ed il povero Jonathan – che britannicamente è ciò che di meglio offre il convento – ho letto un brano del francese che tutti dovrebbero leggere per capire come finiamo. Houllebecq descrive in “Le Particelle Elementari” la decomposizione di un cadavere ed espone le varie fasi che il nostro corpo affronta dopo il dissolvimento dell’ingombrante ego.

Ho fatto un esperimento: ho mostrato a Dudù le immagini di Ogodai Khan, Kubilai Khan, Genghiz Khan con quella di Bodhidharma, il maestro Zen dipinto da Hakunin che introdusse il buddismo in Cina nel quinto secolo.
Poi ho chiesto alla megera: “Secondo te, zia cara, tra questi personaggi qual’è Genghiz Khan?”
L’arpia non ha esitato un istante: “Questo!” ha detto, indicando Bodhidharma.
Kubilai appare, nell’immagine che ho mostrato a Dudù, come un pacioso babbo natale.
Uno zio mongolo dal volto dolcissimo. Quasi tutti i Khan hanno un’espressione pacifica e confortevole. Il resto è sangue, castrazioni, decapitazioni, massacri, genocidi, olocausti.
Il mondo è fatto così: Genghiz Khan è considerato in Mongolia un eroe nazionale, come lo sarebbe stato Hitler se i nazisti avessero vinto la guerra.
Un altro esempio? Napoleone parte verso la Russia con un’armata di 691.000 uomini e ritorna nel dicembre del 1812 con 30.000. Il freddo, i cosacchi, le malattie e soprattutto i parassiti hanno falcidiato la Grande Armeè. I Francesi ossessionati dalla grandeur gli fanno un monumento di proporzioni incredibili. Poi si accorgono l’imperatore aveva nuovamente introdotto la schiavitù e tutti si incazzano. Napoleone parte con 691.000 uomini, ritorna con 30.000 e non lo fucilano: lo mandano a svernare prima all’Elba e poi a Sant’Elena. Genghiz Khan diventa il dio dei mongoli moderni. Gli fanno una grande stele che tutti baciano. I mongoli si raccolgono in preghiera sotto il cippo. In ducati sonanti: più stermini e più sei amato.

Passons: é il 1264 ed è in corso uno scontro finale tra Kubilai e Arigh Böge.
Arigh Böge soccombe e Kubilai, che è di un’altra pasta se paragonato agli altri Khan, non lo uccide e gli permette di ritirarsi in pacifica prigionia. Niente sangue: Arigh Böge tirerà le cuoia nel suo caldo letto.
Hulagu ha scelto il partito di Kubilai, Khaidu quello dello sconfitto, ma non cede le armi dopo la vittoria del nuovo Khan e continua una logorante guerra nelle regioni occidentali.
Corre l’anno1267 quando Kubilai muove guerra ai Sung per realizzare il mandato celeste sulla terra e
creare una nuova dinastia: la Yuan. Il nuovo Khan punta alla conquista totale della Cina.

Tutto era iniziato con Genghiz Khan che aveva invaso il regno Chin tra il 1211 e il 1215.
In quest’ultimo anno i mongoli avevano raggiunto Pechino. Nel 1227 avevano distrutto il regno di Hsia-Hsia. Poi si erano uniti ai Sung per distruggere lo Szechzwan e lo Yunnan. Tra il 1233 e 1234 si erano spartiti il regno Chin. Poi per i Sung era giunta la nemesis. Chi semina vento raccoglie tempesta: i Mongoli puntano ora alla conquista del loro regno, attaccano da tre direzioni e avanzano verso Lin – an, per mettere fine al potere di Kia Sse-tao, l’uomo forte che, implacabilmente, controlla gli imperatori. Mentre Kubilai scatena l’attacco, l’imperatore Sung Li-tsung muore e viene sostituito da Tu-tsung totalmente soggiogato al volere di Kia Sse-tao. In quell’anno i generali di Kubilai assediano Siang–yang. Nel 1272 cade la città di Fan-cheng e dopo un assedio di oltre cinque anni cade anche Siang –yang. Kubilai mostra grande nobiltà d’animo concedendo l’onore delle armi al valoroso difensore della città e accettando la sua elezione a governatore della città conquistata. Per il nuovo Khan la violenza è un estremo rimedio e va controllata: Kubilai non è Genghiz Khan. L’avanzata mongola continua malgrado la guerra civile con Khaidu che non sembra mai terminare. Si combatte su due fronti. Quattro colonne mongole si muovono verso Lin- an.
E’ il momento della verità: Kia Sse-tao si confronta, in uno scontro finale e frontale, con gli eserciti di Kubilai. La sopravvivenza della dinastia Sung dipende da questa battaglia. Nei pressi di Yang-chou Kia, Sse-tao soccombe, l’esercito sung è in rotta, viene fatto prigioniero e più tardi verrà ucciso. Lin- an si arrende nel 1276. Niente massacri o saccheggi. Le autorità locali mantengono le cariche. L’imperatrice e suo figlio raggiungono la corte di Kubilai e vengono trattati con grande umanità e, nel 1288, dopo avere studiato il buddismo tibetano divengono monaci. La dinastia Sung si dissolve compassionevolmente: Kubilai mostra grande saggezza.
Il tempo delle guerre genocidiali è per il momento sospeso. Più tardi Tamur lo zoppo, Tamerlano ci riproverà. Nel sud due giovani fratelli, Shi-Yi e Ping –Kuang, continuano la resistenza contro i mongoli.
Shi-Yi muore nel 1978, Ping –Kuang continua la guerra. Ma la potenza mongola è inarrestabile.
Nel 1279 ogni resistenza da parte della vecchia dinastia risulta vana: La guerra tra Kubilai e Khaidu continua. Nel 1267 Kubilai aveva mandato una prima ambasceria al Giappone e aveva chiesto la sottomissione del regno. Il mandato celeste è chiaro – aveva dichiarato – nulla deve contrastare il dominio universale dei mongoli. I giapponesi avevano risposto picche. Afflitto dalla continua guerra con Khaidu, che appare imbattibile, Kubilai cerca l’espansione verso le isole lontane. Il Giappone in quel momento è sotto il dominio di una giunta militare, il Bakufu degli Höjö. Bakufu significa governo delle tende,
un nome ideato da Minamoto no Yoritomo, il capo del clan dei Minamoto e fondatore del Bakufu di Karamura. Per molti anni i regimi Bakufu di Minamoto, Ashigara, Tokugawa hanno controllato il Giappone sotto gli auspici di imperatori astratti, quasi invisibili. E così sarà fino alla restaurazione Meiji.

Nel momento in cui l’hybris si svincola nel cranio di Kubilai, la famiglia Höjö detiene il potere nella terra del sole levante: i leader del clan resteranno Shikken, reggenti, dal 1199, l’anno della morte di Yorimoto, fino alla caduta di Kamakura nel 1333. Nel 1318 Godaigo diventa imperatore. Nel 1331 è costretto a fuggire dalla capitale e sulle montagne incontra l’eroe nazionale giapponese Kusunoki Masaighe, il grande difensore delle cause perse, che eseguirà il harakiri dopo la sconfitta presso il fiume Minato.
Nel 1333 gli eserciti di Godaigo e Kusunoki Masaighe riprendono Karamura e mettono fine al Bakufu degli Höjö per poi essere definitivamente sconfitti nel 1336 e costretti a ripiegare verso il sud.
La battaglia del fiume Minato è un punto epocale della storia del Giappone ed avviene 55 anni dopo l’invasione di Kubilai. Lo scontro avviene in un giorno rovente d’estate, dura sette ore ed é considerato la Waterloo giapponese. Kusunoghi Masaighe e Nitta Yoshisada sono sconfitti da Ashikaga Takauji.
Il fratello di Kusunoghi, Masasue sceglie di suicidarsi insieme al fratello. E mentre la lama gli apre il ventre urla il suo shichiso: “ Possa io rinascere sette volte nel mondo degli uomini affinché mi sia concesso distruggere i nemici della corte”. Questo è il buddismo Zen dei samurai. Invece di dissolversi nel nirvana vogliono reincarnarsi nel samsara per continuare a massacrarsi. Lealismo degenere quello dei samurai; lealismo folle e contorto.
Dal 1200 il buddismo Zen si è diffuso in Giappone come un fuoco sospinto dal vento in una brulla foresta ma è male interpretato.

Kubilai aveva mandato una prima ambasceria al Giappone nel 1277 chiedendo la sottomissione del regno. Il mandato celeste è chiaro – aveva detto – nulla deve contrastare il dominio universale dei mongoli. Le navi non erano arrivate in Giappone: un uragano le aveva disperse. Kubilai ci riprova e fa inviare dei messi attraverso il re vassallo di Corea. Gli ufficiali del Bakufu di Hoio impediscono alle navi di approdare. Il Khan è furioso e non desiste: corre l’anno 1274 e una flotta mongola composta da novecento navi, quindicimila rematori e diecimila soldati veleggia verso Tsushima e Iki e occupa le isole. Subito dopo la flotta approda a Kyushu, i mongoli sbarcano e si scontrano con i giapponesi.
Le scorte delle frecce finiscono e i tartari si ritirano: con quella forza esigua l’invasione è impossibile.
Kubilai si divora le unghie. E nel 1277 ci riprova: manda altri messaggeri. Non solo lo Shogun del Bafuku di Höjö risponde picche ma ha anche l’audacia di mettere a morte i messi.
Il Khan è livido. Come osano questi maledetti ignorare il mandato celeste?
L’hybris si scatena e provoca il resto.

Sono immerso nel bagno. Odilia Carazo del Bufalo entra per sbaglio e grida: “Madre de Dios!”
come se avesse visto un mostro. Poi si ritira sorridendo e ammiccando.
Le dico: “Mujer, c’è grande speranza: il subcomandante Marcos ha detto che “grasso è bello” e che l’anoressia è roba per capitalisti e per decadenti occidentali.” Odilia ride ed esce dal bagno farfugliando.
Gli sono simpatico ma è troppo grossa. Altrimenti sedurla non sarebbe difficile.
La camerera dominicana è la porta che spalanca il mio mondo a Raskòl’nikov.
Resuscita il reprobo. Senza Carazo del Bufalo quella porta non s’apre e il russo resta fuori con la sua ascia affilata. Bisognerebbe infilarsi sotto le coperte della mujer, accarezzarla offrendole grande tenerezza. Semplificando: necessiterebbe cojonarla per bene. Ma non ce la faccio. E’ semplicemente troppo voluminosa. Se fosse solo robusta con ciccia solida ci proverei. La contessa milanese Luisa Maria de’ Gabadei me la sono fatta almeno quindici volte e pesa ottanta chili abbondanti. Ma è prestante con carne solida e durante il coito ulula come una iena. Odilia è oltre i limiti. Quando è caduta, l’altra sera, pensavo che crollasse la casa: Odilia, come il Battista, ha scosso le fondamenta. E poi mia zia me l’ha detto chiaramente che non vuole fornicazioni nella sua casa. Se vuoi scopare va fuori, mi ha detto. E io gli ho risposto: però, zia cara, una cameriera migliore la potevi trovare. E lei: Così ti fottevi la troia e trasformavi questa magione in un bordello. Sempre così le vecchie megere succhiano biscioni fino a sessant’anni per poi scoprire la via mistica verso la patria celeste. Mia zia che nella vita è stata una Porta Pia erotica spalancata verso gli eserciti invasori ora parla con sussiego delle fornicazioni. E’ sempre così. E magari i cristiani della vicina Abbazia qualcosa gliel’avranno suggerita. Le chiedo credi alla vita eterna?
Serra gli occhi come fessure e risponde: e chi lo sa?
Fottono il mondo intero, vivono vite peccaminose praticando un’etica da sgualdrine per poi raggiungere i campi elisi cristiani dove non trovi un nero neanche se lo cerchi col lanternino.
Vivono nel mondo dei ricchi tra gli agi, se ne strafottono di poveri e bestie, quando tirano le cuoie lasciano il corpo decomposto sotto un marmoreo baldacchino e l’anima la concedono agli angeli che la consegnano a un Gesù biondo platino con gli occhi cerulei che li accoglie in un paradiso che assomiglia vagamente a Pasadena o alla ex villa di Gore Vidal a Ravello.
Houllebecq descrive la decomposizione di un cadavere che è un brano che dovrebbe essere pubblicato, diffuso nelle scuole, incorniciato e appeso alle pareti delle case.
Se c’è un testo da rammentare e scolpire nella propria memoria è questo.
Il francese spiega che il cadavere dopo la morte è attaccato da specie di mosche Musca e Curtonevra Appena la decomposizione è avviata altre due specie intervengono: la Calliphora e la Lucilla.
Le larve rilasciano batteri e succhi gastrici e il cadavere diventa un luogo ove lievitano fermentazioni butirriche e ammoniacali. Dopo tre mesi – continua Houllebecq – le mosche finiscono il proprio lavoro e allora appaiono sul palcoscenico della decomposizione i coleotteri Dermes e i lepidotteri Anglossa pinguinalis. Altre specie di larve, la Piophila petasionis e i coleotteri Corynetes si occupano delle materie proteiche di fermentazione. A questo punto la decomposizione è quasi completa, gli acari intervengono e prosciugano le ultime zone di umidità, le ultime sanie. Il cadavere, giunto a livello di mummificazione, accoglie larve di attageni, di antreni e i bruchi dell’Anglossa cuprealis e della Tineola bisellelia.
E qui si conclude la dissoluzione della sede dell’ego: il disegno divino ha provveduto a tutto.
L’anima invece vola verso la Pasadena celeste dove ai neri non è permesso entrare. Loro hanno il loro bel paradiso – ghetto dove si guardano il loro football violento, il loro basket, dove ballano come scemi al ritmo della rap music e si pappano il loro junk-food di merda.

Il mondo gira. Pinochet ha negato tutto. E Contreras ha riconfermato: è stato lui ha dare tutti gli ordini ma ora lo nega. Tutto passava attraverso le sue decisioni. Il maledetto crepa lentamente ma continua a negare.
Contreras informava sempre il tiranno: non ci sono dubbi. Chi fucilerei con il vecchio reprobo è il mostro – consorte. Anche lei ispirava gli orrori. Resta lì appesantita e sfatta come un monumento vivente al golpe.
Era lei che spronò Pinochet a ribellarsi. La patria e il cristianesimo attendono il nuovo Bolivar – gli disse.
I massacratori se la cavano sempre.
Ah les femmes!
Mamma Rosa imperversa e Dudù la stima. Bondi pubblicherà un giorno “I pensieri di mamma Rosa”.
Fazio è svanito inabissandosi tra abati e monasteri in una nube tossica di misticismo tomista.
Ieri notte ho sognato due cervi che correvano liberi nel giardino. La radio ci ha appena informato che Churchill voleva arrostire Hitler sulla sedia elettrica e lasciar morire di fame Gandhi.
Charles e Camilla andranno a lezione di cha cha cha dagli scellerati del programma adorato da Dudù: me l’ha detto Tolly ieri; e mentre lo diceva sorrideva beata.
Uno storico russo, Nikolay Dobriukha, ha appena dichiarato che Stalin è stato avvelenato per ordine di Nikita Krushchev, Beria e Malenkov. Ci può pure stare: hanno fatto bene a dargli il veleno. Secondo Dobriukha gli epigoni, dopo aver ucciso col veleno il tiranno, fecero fuori anche il doppio di Stalin che se la spassava nel Cremlino. Siamo oltre l’esercito degli scimmioni. Bruce Forsyth ha ricevuto un’onorificenza dalla regina ma non quella che voleva. Elisabetta – o chi per lei – non lo ha fatto baronetto e lui si è incazzato come una iena. In Cina le masse rurali si sono rotte le palle. La radio sta annunciando, mentre gioco con l’acqua, che oltre 3 milioni di persone hanno preso parte a incidenti di massa e che le piccole jacquerie sono state oltre 70.000: il 20 per cento più del 2003. A Pechino hanno arrestato Tian Fengshan, ministro dei territori e delle risorse, che si è intascato bustarelle del valore di quasi mezzo milione di dollari. Ma non l’hanno impallinato. Hu Jintao e Wen Jiabao hanno provato a ripulire il partito, ma la corruzione cinese ricresce sempre come i funghi. Alcuni pensano che democrazia formale e libero mercato farebbero precipitare la Cina nella completa anarchia del periodo degli stati guerreggianti. Ormai la corruzione è endemica: quasi 50.000 funzionari sono stati puniti, 1000 di loro si sono suicidati e 8000 se la sono data a gambe cambiando paese. La Cina, ormai, è il cupo ribollire di un calderone surriscaldato: la gente si ribella contro il capitalismo selvaggio che massacra i minatori e distrugge l’ambiente, contro le vergognose espropriazioni determinate dalla corruzione della burocrazia partitica – che si comporta come se i suoi membri fossero manager di multinazionali americane – , contro la mancanza vergognosa di protezione sindacale, contro la pena di morte. La crescita economica produce un livello di coscienza che entra in contrasto con le enormi disuguaglianze prodotte dalla logica della crescita esponenziale immediata e sente il disagio che può facilmente esplodere in sommosse. Lo stato postmaoista tenta di arginare la corruzione cinese e ogni tanto impallina un corrotto. Se Fiorani e i suoi soci banchieri e faccendieri fossero cinesi forse li liquiderebbero con un colpo in testa. Nel paese dei campanelli, invece, i banchieri corrotti diventano vittime della giustizia rossa e dei poteri forti. I DS, gli ex comunisti si sono impelagati in un pantano di cordate e borse. Scalfari gli ha gridato: con Berlinguer non sarebbe successo. Mentre sono immerso nel bagno caldo Dudù mi grida che sta andando dai cristiani di Lee Abbey per una visita ufficiale quasi fosse la regina. Ha ragione Jonathan quando dice che l’assorbimento del cristianesimo nella sfera ideologica imperiale ha creato un mondo degenere. Il vecchio filosofo insiste a dire che il neoplatonismo ci avrebbe elargito un credo migliore. Dice sempre che gente come Porfirio, Plutarco, Giambico, Temistio, Simplicio, Macrobio erano più attenti al dolore del mondo. Avevano gli occhi dell’anima aperti verso gli altri esseri senzienti. E che si fosse sviluppato il filone filosofico che parte da Ammonio Sacca, attraversa Plotino, si chiude nel V secolo con Proco e trova sbocco in Cusano e Meister Ecjkhart il mondo forse sarebbe stato differente. Ma dei se e dei ma sono piene le fosse. Jonathan dice sempre che il monoteismo disprezza ciò che non è umano e che la spaventosa alterità di Jahvè – Allah ha creato un finimondo. E pensa che la distruzione del pianeta origina anche da questa degenere di visione del mondo. Meglio un paganesimo illuminato, dice.

Me lo sono sempre domandato anch’io cosa sarebbe accaduto se l’Impero Romano avesse scelto una fede differente dal cristianesimo. Se per esempio il neo-platonismo di Porfirio, fosse stato accettato da Costantino come religione di Stato e si fosse evoluto senza costrizioni dogmatiche cosa sarebbe accaduto? Se avessimo avuto, invece di Cristo, un saggio come Apollonio di Tiana ad insegnarci la presunta via verso la Luce, cosa sarebbe successo? Se avessimo seguito i precetti dello stesso Apollonio, di Pitagora, Eraclito, Empedocle, Plutarco, Teofrasto, Porfirio e molti altri cosa sarebbe avvenuto?
Se fossimo approdati sui lidi di un politeismo luminoso – perché quella era la direzione che stava prendendo il neo platonismo -, senza radici ebraiche, ma con una visione aperta e compassionevole verso il non umano cosa sarebbe accaduto?
Non che il paganesimo fosse migliore del cristianesimo verso il non umano, ma nel suo
apparato teologico esistevano aperture che il cristianesimo ha continuato a precludere sino ad oggi.

Il massacro nel paganesimo era la norma: la plebe era assetata di sangue come un vampiro.
Un esempio? Nell’80 avanti Cristo durante l’inaugurazione del Colosseo ci furono feste che durarono 100 giorni e furono massacrati 5000 animali oltre a un numero notevole di gladiatori.
La munificenza imperiale di Tito concesse lo scannamento di 5000 animali, in una orrenda venatione, alla mostruosa plebe. Nel 249 dopo Cristo, 329 anni più tardi, durante le festività per il millennio di Roma, furono trucidati 32 elefanti, 60 leoni, 6 ippopotami, 10 tigri, 10 iene, 10 alci, 10 miti giraffe, 10 zebre, 20 asini selvaggi, 40 cavalli selvaggi. In altre venationes i bestiari con le loro lance acuminate uccisero anche coccodrilli, cammelli, tori, pantere, tigri, struzzi, antilopi, bisonti e orsi. E questo orrore si protrasse fino a circa la metà del VI secolo, mentre i combattimenti tra gladiatori furono sospesi dal 405 dopo Cristo quando uno sventurato monaco, chiamato Telemaco come il figlio di Odisseo, fu fatto a pezzi dalla folla perché cercava di interrompere i giochi sanguinari. Dopo l’uccisione del monaco, Onorio, mise fine ai combattimenti ma le carneficine animali continuarono. Anche se nel paganesimo, e in particolare nella sua variazione neoplatonica, esistevano spiragli notevoli verso il non umano che non erano presenti nel cristianesimo e nel mitraismo, culto del dio Mitra in competizione con la religione di Gesù per elevarsi a religione di Stato. Basta leggere l’irritata reazione di Porfirio verso Paolo di Tarso, riguardo i sacrifici animali e il mangiar carne, per rendersi conto come si sarebbe potuto sviluppare il neoplatonismo, e come sarebbe stato differente il rapporto con gli animali e con la natura se fosse prevalsa questa filosofia.
Pitagora aborriva i sacrifici e mai si avvicinava a macellai o a cacciatori – e siamo intorno al 500 avanti Cristo considerando che il saggio morì nel 490 – ed Empedocle metteva in guardia gli umani: uccidendo un animale, diceva, avrebbero potuto uccidere un loro fratello reincarnato nel corpo di una bestia. Diogene Laerzio ci dice che i due filosofi sostenevano che tutti gli esseri viventi hanno gli stessi diritti e che pene tremende attendono coloro che infieriscono sulle bestie. Pitagora non indossava mai abiti di lana o calzari di cuoio. Eraclito si era espresso con la usuale magnificenza quando aveva affermato che i mortali si macchiano purificandosi con altro sangue come uomini che volendosi lavare dal fango si gettano nel fango. Oreste uccidendo il porcello era sguazzato nel fango, nel luridume della sua contaminazione. Da quello che emerge dalla notte del tempo si comprende, con estrema chiarezza, che esisteva, nel paganesimo, un filone minoritario che aborriva gli spargimenti di sangue. Attraverso Plutarco sappiamo che Eraclito ed Empedocle dichiaravano che gli uomini si dilettavano nell’ingiustizia del commercio degli animali e si rallegravano di strappar le membra di chi sarebbe potuto essere stato, in un’altra vita, il proprio genitore; e sostenevano che era una grande vergogna spargere sangue e divorare animali ai quali era stata tolta la vita in modo violento.
E’ Teofrasto di Ereso che, intorno al 300 avanti Cristo, ci informa, con grande accuratezza, che da umili offerte di cereali e frutta, gli umani, erano passati per una strada illegittima, ai sacrifici cruenti e mostruosi che insanguinavano gli altari. Il filosofo adotta grande eloquenza per denunciare l’orrore e utilizza un linguaggio che non sarà mai usato dai mistici cristiani per condannare le uccisioni di bestie, e spiega che agli albori del tempo gli umani offrivano pie oblazioni, pitture d’animali, profumi, mirra, incenso e libazioni delle api dorate, e che con il tempo erano passati da quelle innocenti offerte all’abominio dello sgozzamento di esseri inermi sugli altari; il filosofo scrive: “E se qualcuno dicesse che il dio ci ha dato gli animali allo stesso titolo dei raccolti, per il nostro uso, gli risponderei che quando si sacrificano gli esseri viventi si causa loro ben qualche torto perché li si deruba dell’anima. Non bisogna dunque sacrificarli.”
Ma sono gli Oracoli Caldei che gridano con grande veemenza, come avevano fatto precedentemente gli Orfici, il loro orrore per lo spargimento di sangue. E’ tra il primo e il secondo secolo dopo Cristo affermano: “Non è agli dei ma ai demoni che i sacrifici di sangue sono offerti da coloro che hanno conoscenza delle potenze dell’universo. Tutte le forme di intemperanza, tutti i desideri di ricchezza e di gloria sono ispirate dai demoni, in particolare l’inganno. La menzogna è infatti il loro dominio. Vogliono essere dei e la potenza che si trova alla loro testa vuole passare per divinità suprema. Sono i demoni a gradire l’odore delle carni che ingrassa la parte pneumatica e corporale del loro essere. Tale loro parte vive di vapori e di esalazioni […] essa trae forza dai vapori che salgono dal sangue caldo e dalle braci bruciate.” Lapidari: gli dei olimpici sono demoni se richiedono il sangue. Come Jahvè nel suo tempio a Gerusalemme.
Dalla foschia del tempo di Settimio Severo emerge, intorno al 220 dopo Cristo, un resoconto di Filostrato – scritto per l’ eclettica imperatrice siriana Giulia Domna – sulla Vita di Apollonio.
Nella narrazione sulla vita del saggio di Tiana – che sarà da molti considerato il Cristo pagano – leggiamo ingiunzioni che ci invitano a rispettare la vita di tutti gli esseri viventi condannando l’uccisione e il divoramento di animali. Se qualcuno vuol considerarsi mio discepolo non mangi carne, dice Apollonio , e sui sacrifici che avvengono presso l’Oracolo di Delfi cita Eraclito che mai invitò il popolo a lavarsi dal sudiciume col sudiciume. Apollonio transita attraverso la storia romana fino al regno di Nerva. Naviga attraverso dodici imperatori. Ma è una figura storica o un personaggio inventato dal paganesimo morente? Gli storici si confrontano da anni su questo dilemma. Ci sono contraddizioni evidenti con i tempi storici. Agostino combatterà i paragoni tra il veggente pagano e Gesù, ma riconoscerà la grandezza del saggio. Che i romani prendessero seriamente Apollonio non c’è dubbio: Caracalla, figlio di Giulia Domna, nel 215, si ferma a Tiana per onorare la memoria del saggio; ce lo racconta Dione Cassio. Filostrato narra che Apollonio ebbe la visione della morte di Domiziano mentre era a Efeso. Importante è capire l’attenzione del santo pagano verso il non umano; importante è capire che mentre Francesco d’Assisi – il più aperto verso il non umano dei santi cristiani – mangiava carne, Apollonio neanche la sfiorava; importante è comprendere che la compassione che il pagano provava verso tutti gli esseri senzienti si estendeva anche a sorella gallina che Francesco, senza esitazioni, si trangugiava. “Se vi offrono un pollo di venerdì mangiatelo, perché è essenziale che percepiate la carità di chi ve lo offre” diceva. Non solo mangiava carne ma la mangiava pure il venerdì. Ma il paganesimo era morente e il neoplatonismo era troppo intriso di paganesimo degenere.
Il disastro è provato dall’insuccesso del tentativo disperato di Giuliano l’Apostata di restaurare la fede morente. L’impianto teologico degli antichi dèi assettati di sangue e di stermini collassa. Ma Jahvè che viveva in un tempio- mattatoio non era meno sanguinario degli antichi dèi. Anzi, era più risoluto. Ma
gli ebrei erano un popolo che sapeva usare un linguaggio grandioso per descrivere e onorare il proprio invisibile Dio: un linguaggio ispirato come quello biblico o l’espressività evangelica o coranica hanno la capacità di sublimare l’essenzialità del mitologico messaggio.

Ma ci fu una resistenza disperata e perdente da parte del paganesimo morente: Porfirio e Celso sono due esempi.
Porfirio, quando Paolo di Tarso invita i cristiani a mangiare tutto “quello che si vende al macello perché del Signore è la terra e tutto quello che contiene” risponde che l’apostolo propone di mangiare qualsiasi altro cibo e oltre alla carne dei sacrifici, ma si contraddice quando, più tardi, afferma che “ciò che i pagani sacrificano, lo sacrificano ai demoni e non è giusto essere in comunione con loro” perché i cristiani sanno che l’idolo non è Dio, e che esiste un solo Dio. E dice che non è il cibo che ci avvicina a Dio e che, quindi,
i cristiani possono mangiare carne sacrificale perché, in effetti, cambia ben poco. Porfirio ci informa che Paolo di Tarso “dopo queste chiacchiere da ciarlatano biascicò- come se fosse malato – decretando di mangiar, senza scrupolo alcuno, tutto quello che si vende al macello” E il filosofo conclude: “Oh, finzione scenica mai prima pensata! Oh, sentenza assurda e contraddittoria! Oh, discorso che si distrugge da solo! Oh, maniera arcana di tirare con l’arco: la freccia raggiunge e colpisce colui che la scaglia!”

Ma tutto fu inutile: il monoteismo trionfante archiviò stizzito il problema del non umano.

6 – ATALANTA FUGIENS

Oggi, la megera segaligna si è inerpicata a piedi verso Duly Point trascinandosi dietro la dominicana sbuffante e Tolly, la dama di compagnia, che l’ha seguita galoppando come una puledra.
Prima di uscire ho fatto in tempo a urlarle che Cameron aveva appena gridato urbi et orbi che capitalismo e comunismo sono entrambi “due forme offensive di estremismo”.
Chi ti ha detto che il ragazzo ha dichiarato una cosa così stupida? Ha urlato Dudù.
“Lo ha scritto Irwin Stelzer direttore dell’Hudson Institute.” Ho risposto.
“Un coglione!” Ha puntualizzato la megera.
“Stelzer ha detto che era sorpreso che un allievo di Eaton se ne uscisse con una stronzata del genere.”
“Ci penseranno i vecchi a farlo ragionare al ragazzino!”
“Quelli della caccia alla volpe?”
“Si. Quelli. Quelli come Norman Tebbit.”
“Il vampiro thatcheriano?”
“Un uomo che ha molto sofferto!”
“Usciranno dai sepolcri della Transilvania per far ragionare il ragazzo?”
E lei stizzita: “Ora esco ne ho abbastanza delle tue cazzate!”
Anzi ha detto delle tue fuck talks.
La casa dove abito è vicino a Lee Abbey in un posto chiamato Lynton considerato, con il porto
Lynmouth la piccola svizzera inglese; furono i poeti Southley e Shelley ad affibbiargli questo nome. Questi luoghi amati dai vittoriani pullulano d’estate di turisti.
Lynton si raggiunge da Bristol o da Londra seguendo la M5, uscendo a Dunball, proseguendo verso Bridgwater e prendendo la A39 per Wiliton e Minehead.
Lynton e Lynmouth sono uniti da una ferrovia la cliff railway e situati nel centro di grandi zone boscose.
Il fiume East Lyn che scende a valle verso il porto, nel 1952 straripò provocando una disastrosa alluvione a Lynmouth. Presso il porto c’è una torre chiamata Rheinish Tower costruita ad imitazione delle torri tedesche del Reno. Questi luoghi ameni sono nel mezzo di Exmour National Park, con le sue 265 miglia quadrate di territorio protetto dove vivono ponies, cervi, corvi, poiane, i merli acquaioli, allodole e falchi. Prendendo la strada verso Countisbury e Foreland Park nelle ore pomeridiane di una giornata solare è come avventurarsi in una landa paradisiaca, sembra di soggiornare nelle isole dei beati. Quando ho attraversato Exmour Forest ho provato sensazioni indescrivibili. Una volta mi sono inerpicato fino a Dunkery Beacon, una montagnola di circa 500 metri, per contemplare il panorama sottostante ed è stata una delle rare volte che mi sono sentito veramente a mio agio con il mondo. L’angoscia da alieno si è placata per poche ore.
La magione di Dudù, Villa Desirèe – classico nome pacchiano -, si erge a precipizio sul mare, a Crock Point, tra colori perennemente cangianti di cielo, terra e oceano. Cyril Cockwell Smythe acquistò la villa in questo luogo perché originario di Watchet, una cittadina vicino a Minehead. La villa è un edificio Regency di linee pure e di chiara semplicità. La facciata è bianca di stucco, le finestre sono contenute in un arco continuo e nel piano superiore si spingono fino a toccare la linea del tetto e danno sul mare.
E’ un’architettura ispirata da Voysey.
Nella casa c’è un grande camino e una scalinata di legno. La magione ha dieci stanze candide e luminose ed è arredata con notevole gusto seguendo le indicazioni di Dudù.
Vagando per le stanze si possono vedere sculture lignee policrome senesi, vasi bronzei dei fratelli Zoffoli, coppie di mori marmorei di origine veneziana, arazzi belgi del XVI secolo. In una stanza c’è un grande mobile a bambocci con due savonarole in legno di noce, in un’altra un mobile a due corpi umbro marchigiano del XVIII secolo, nell’atrio una panca toscana di noce toscana del XVI secolo e un bassorilievo di marmo di un sarcofago romano. Appesi alle pareti quadri di Xanto Avelli, dello Pseudo Pellicano, di Taddeo Zuccai e di Vigano. Alcune stanze, invece, sono arredate modernamente con un mobilio chiamato Shades of Chestnut e del Witshire che assorbe con le sue sobrie linee la luminosità della casa.
Nell’ufficio di Cyril c’è un’immagine che mi ha sempre colpito: dietro a una canefora di terracotta e una poltrona ricoperta di broccatello c’è un frammento di alabastro dove si vede un uomo con un martello, che conduce, tirandolo per le redini, un cavallo con in sella un uomo ammantato. Quando ho chiesto a mia zia chi fosse l’uomo col martello mi ha risposto che Cyril le aveva detto che era Caronte.
“Ma non può essere Caronte; – ho esclamato- Caronte è il barcaiolo che trasporta i morti oltre lo Stige.”
E lei: “Allora, non so”: l’uomo con il martello rimane un mistero.
Nel giardino, tra zampillii di acqua, stagni e una varietà incredibile di piante si intravedono tra la vegetazione le statue d’arenaria di Diana e di Atalanta. All’inizio Donatella non ne voleva sapere di vivere lì, ma dopo avere sedotto Jonathan cambiò idea. Dudù amava molto Jonathan e il professore adorava spassarsela con la bella marchigiana; e penso che in fondo, alla maniera sua, l’amasse.
Me lo sono spesso chiesto: si può amare per ragioni puramente sessuali se non si riesce a comunicare una mazza? La risposta è sì. Il sesso è un sentire che ti lega in maniera coinvolgente. Io ad esempio l’amore senza sesso non riesco ad immaginarlo. Si può amare senza sesso? Ne dubito.
La vecchia ogni due giorni si fa una passeggiata a Valley of Rocks, un posto splendido abitato da capre Cheviot, segue un sentiero che sale e che provoca panico a Odilia Carazo del Bufalo che soffre di vertigini. Ogni volta che si inerpica verso Duly Point, e guarda verso il basso, la dominicana si fa il segno della croce. Da quella punta esposta sul mare si vede l’abbazia dei cristiani dove i borghesi si ritirano per mettersi l’anima in pace. L’abbazia ha grandi finestre gotiche ed è stata costruita nel 1859, sulle fondamenta della dimora dei De Wichelhalse in Valley of Rocks, una valle formatasi su sedimenti del periodo glaciale. In questo luogo leggiadro ci passeggio spesso, in grande solitudine. Quando raggiungo Castle Rock mi affaccio nel precipizio e vedo spesso Rasskòl’nikov, in fondo al baratro, che mi fa segni con una mano e gesticola come per dire: è qui che la vecchia troia deve finire, e mi bisbiglia nel cranio che l’eredità passa attraverso le immense cosce di Odilia Carazo del Bufalo. Sedotta la camerera – mormora il maledetto – tutto diventerebbe più facile. Ma non ce la faccio, gli rispondo. E lui svanisce. Ma il seme è gettato nel campo arato della mia mente. L’altra notte, lo slavo infernale mi ha suggerito una nuova strategia che richiede l’intervento del discepolo del fondatore della X MAS.

Oggi, incuriosito, sono andato a osservare da vicino la statua di Atalanta.
E’ una versione vittoriana e fortemente insoddisfacente della fanciulla semidivina.
Erminio Fondali, un mio amico giornalista che scrive per il Corriere, mi ha mandato da Milano un libro L’angelo della finestra d’Occidente, la storia del mago elisabettiano John Dee narrata dallo scrittore austriaco Gustav Meyrink. Mi ha colpito il frontespizio del volume con l’immagine dell’Atalanta fugiens di Michel Maier un famoso alchimista. Nell’immagine la fanciulla appare , in una notte di luna, come una sonnambula vagante che ha nelle mani mazzi di fiori, frutta e cereali ed è inseguita da un traballante vecchietto con una lanterna. Mentre avanza Atalanta lascia tracce sul sentiero. L’illustrazione è metafisicamente stupenda ma non la capisco. Indubbiamente ha un significato recondito. Il mito greco narra che Atalanta, a causa di una profezia che la metteva in guardia a non sposarsi, non volendo unirsi a un uomo, per evitare pasticci, sfidava i pretendenti a correre. Se l’uomo vinceva se la poteva prendere come sposa ma se perdeva era spacciato: Atalanta lo trafiggeva con un dardo. E così accadde sempre fino quando la fanciulla non incontrò Ippomene che la vinse con uno stratagemma.
Ma l’immagine non la capisco. Mi sfugge il significato. Nella storia mi affascina la mascolinità carica di sensualità della giovane donna. Il mito dice che Atalanta era troppo maschile per gli uomini e troppo femminile per le donne: un androgino. E mi colpisce la spietatezza della leggenda con la messa a morte degli spasimanti che rischiavano la vita per lei. Ma Maier ovviamente attribuisce al mito un significato alchemico. Adoro le illustrazioni alchemiche e ne ho una appesa nella stanza dove scrivo sopra al cofanetto ligneo che contiene le ceneri del mio cane Uruq. Senza Uruq non potrei neanche cominciare a scrivere il libro. L’immagine appesa e ingrandita è un’illustrazione di J.D. Mylius dalla sua Philosophia reformata e rappresenta la Calcinatio alchemica. Mercurio è seduto dietro un tavolo e ha le ali di un angelo. Ai suoi lati si vedono la luna e il sole che lo proteggono. Sulla tavola ci sono erba e fiori. Un leone divora un serpente. A sinistra fuma una grande fornace. L’illustrazione ci dice che attraverso la calcificazione lo spirito mercuriale è reso stabile; e quando è reso permanente nel suo humus, lo spirito mutevole, può, allora, godere della natura rappresentata da frutti e fiori. Le illustrazioni alchemiche mi affascinano perché mantengono una zona d’ombra incomprensibile. L’Atalanta fugiens mi colpisce per questo. Per la sua zona di oscurità che non capisco. C’è la luna, c’è il suo mito, c’è il vecchio alchimista che la insegue e ha dei grandi occhiali. Chissà cosa vuole rappresentare. L’immagine mi ossessiona. E poi c’è Atalanta nel giardino.

Ma cos’è l’Atalanta fugiens?

Il mistero che avvolge il testo di Meier è fitto. Il titolo della Atalanta Fugiens si rifà alla storia di Atalanta che “fugge”, mito che per gli ermetici alludeva alla parte “musicale” del testo, la “fuga” che è un’ elaborazione contrappuntistica di temi differenti. Maier nel testo usa dei “canoni musicali” a “tre voci” in cinquanta “fughe” che accompagnano altrettanti emblemi. L’Atalanta Fugiens è una concentrato di testi musicali, matematici e poetici. Infatti il mito di Atalanta racchiude figure simboliche che spiegano le relazioni metafisiche tra vari eventi dell’universo, attraverso la connessione di teorie musicali, scientifiche e artistiche. Il testo cela nelle sue allegorie e nei suoi enigmi le chiavi alchemiche della trasmutazione degli elementi: teorie note negli ambienti rosacrociani. Maier riunisce in sintesi le sette fasi del percorso “ermetico”: il frontespizio dell’ Atalanta fugiens si riferisce ai sette gradi dell’insegnamento alchimistico: sette sono le note, sette le chiavi musicali e sette i gradi del percorso alchemico. L’enigma sembra avere dei riferimenti suggeriti dallo stesso Maier nella prefazione: l’Amore conferisce all’Arte il significato di vincere sopra la Natura. Maier descrive il “carro filosofico” che si muove su quattro ruote: natura, ragione, esperienza, e studio di speciali scritture. Per Maier e gli ermetici l’alchimia è la scienza dell’imitazione della natura attraverso l’arte, e nel mito di Atalanta è attraverso un inganno che Ippomene la sconfigge. La natura ottiene dunque il miracolo dell’Uno seguendo i suoi tempi, mentre l’alchimista desidera completare l’opera magna nella sua vita e questo richiede per riuscire un’ accelerazione (la corsa di Atalanta) degli eventi. E l’artificio alchemico ne è il mezzo.

Ho cominciato a leggere il libro di Gustav Meyrink mentre Dudù sgambettava a Valley of Rocks e Raskòl’nikov si era momentaneamente acquietato. Poi ho letto qualcosa che mi ha fatto inorridire. Gustav Meyrink, nel libro, descrive il rito scozzese del taghairm. Il primo di maggio un devoto della Grande Madre Isais cattura cinquanta gatti neri, li imprigiona e li porta in una foresta. Poi li arrostisce a fuoco lento uno a uno. I miagolii disperati dei gatti bruciati scatenano la folle reazione degli altri. I miagolii diventano una clamore infernale, dissonante, tremendo. L’idea è di raggiungere la Grande Madre nera – una divinità
ctonia – infernale – attraverso il portale dell’orrore che si spalanca attraverso le terribili sofferenze delle bestie e i loro disperati miagolii. L’obbrobrio va eseguito in una notte di luna piena.
Nel libro, il maledetto che commette l’atto raccapricciante lo fa in una notte senza nuvole mentre cade miracolosamente una pioggia fredda. Ogni gatto che il malvagio arrostisce soffre atroci tormenti per circa mezz’ora. L’operazione viene ripetuta cinquanta volte senza interruzione. Quando l’efferatezza si conclude e lo scellerato è riuscito ad arrostire i cinquanta gatti – un’operazione che può durare 25 ore – la grande dea si manifesta, filando con le mani un fuso di carne umana, da un’apertura vorticosa della terra spalancata. L’adepto, allora, si unisce indissolubilmente con la grande madre e i gatti raggiungono un luogo paradisiaco. Leggendo questo sono arrivato a una conclusione: una specie che ha un solo individuo capace di commettere una simile atrocità dovrebbe sparire dalla terra. Solo l’animale umano è capace di simili orrori. Quando ho raccontato questa storia a Dudù mi ha risposto che lei odia i gatti neri.
Raskòl’nikov, nel mio cranio, ha riso e la sua risata mi ha destabilizzato.
Gli ho chiesto: “Bàtjuška, mi domando sempre come può una persona come me, che non è capace di schiacciare un verme, desiderare di far precipitare la propria zia in un baratro?”
La risposta del russo è stata lapidare: “Semplice: dandogli una spinta mentre si inerpica verso Duly Point!”
E mi ha chiesto: “Merita la vita un’arpia che ti dà una risposta del genere?”
Ho risposto: “Francamente, no!” Poi mi sono chiesto ma perché anche i cristiani si comportano così schifosamente con le bestie?

C’è un filone cristiano che tende disperatamente verso il non umano ma è frenato dalla struttura teologica, dall’apparato tetragono e dogmatico della Chiesa paolina trionfante.
Se si leggono i Padri del Deserto, Gertrude di Helfta, la vita di Francesco di Tommaso da Celano,
Isacco di Niobe, le storie edificanti di Macario, quelle di Palladio su Santa Lausiaca, Isacco di Ninive, Girolamo e i suoi leoni, le storie dei monaci d’Egitto, le storie di Sofronio su Maria Egeziaca, la vita di San Colombano di Giona di Bobbio e tanti altri scritti non si può non pensare che la pulsione compassionevole, fortissima nei solitari, verso il non umano sia stata impedita e svilita dalla chiesa dogmatica.
E un esempio moderno è il disperato tentativo di Linzey che fa molta tenerezza perché si muove su basi teologiche sfuggenti come sabbie mobili.
Una cosa è certa: un umano che prova compassione non può limitarla soltanto alla propria specie.
Non è concepibile che un solitario del deserto non giunga alla compassione verso tutte le cose.
La solitudine mistica e la misericordia escludono la chiusura verso il non umano.
L’esempio fulgente è Albert Schweitzer che cura lebbrosi ma è anche attento alla sofferenza animale.
In tutta la mistica cristiana l’anelito che spinge i santi a prendersi cura di tutta la creazione è frenato da Genesi 9, 1-7, dal sogno lucido di Pietro in Atti, dalle ingiunzioni di Paolo nella Prima lettera ai Corinti 10: 25- 27 e da altre inanità di questo tipo.
La contraddizione di Francesco d’Assisi descritto da Tommaso da Celano nella Vita Prima mentre salva un leprotto e, allo stesso tempo, mangia carne di gallina evidenzia la confusione verso il non umano esperimentata dai cristiani. Il cristianesimo percepisce il non umano come qualcosa di “totalmente altro” dall’uomo creato a immagine di Dio e dotato di un’anima immortale.
Un Francesco che si preoccupa dei vermi affinché non siano schiacciati e mangia carne è cosa, a dir poco, sorprendente, ma non più sorprendente dell’esistenza di francescani cacciatori.
Tutto il grande amore e il fiammeggiante trasporto dei mistici verso la natura e le cose sono stati umiliati e sviliti, attraverso i secoli, da monaci adiposi, da teologi depravati, da cardinali corrotti e da principi della Chiesa degenerati. Sarebbero bastate un paio di ingiunzioni evangeliche per ridurre enormemente lo strazio del mondo. Ma non ci furono. Gesù e i suoi discepoli si curarono solo della “cosa pensante”.
Il mondo restante era insignificante, per loro, poiché differente dall’uomo.
Ma è tutta la filosofia occidentale carente verso il problema del non umano.
Tutta la filosofia passata – con alcune luminose eccezioni – percepisce l’uomo come l’essere senziente “essenzialmente” differente dal mondo e dagli altri esseri senzienti, lo presagisce come una “cosa pensante” che si confronta con il non umano che è immersa nel non umano, ma non è parte del non umano. Il non umano non essendo considerato “cosa pensante” è quasi ritenuto un ostacolo.
Forse Sartre è l’esempio più fulgido di questo autismo che chiude la “cosa pensante” in un recinto angusto e gioca, come un folle, con la sua farneticante coscienza.
E Nietzsche è il più grande dei folli che gioca dolorosamente con la propria coscienza mentre scivola nell’abisso della pazzia.
Anche Heidegger è lapidario verso il non umano: tra il Dasein e il non umano dice c’è “un abisso di essenza” invalicabile.
Sì, tutte le porte della fortezza del pensiero sono sbarrate.

Anni fa visitai l’India per intervistare Kocheril Raman Narayan, l’unico presidente dei Dalit, gli intoccabili, morto da poco, rimasi profondamente scosso quando mi disse che anche l’ombra di un Dalit poteva contaminare la piscina di un bramino. Narayan mi disse anche che il codice Manu – vecchio ormai di 3000 anni – vieta drasticamente ai fuoricasta di pregare nei templi e leggere testi sacri e che sono i quattro Veda che concepiscono la divisione in caste tra bramini, soldati e re, latifondisti e mercanti, e i servi.
Nella follia indù esistono 3000 tipi di caste e 25000 sottocaste. Insomma, gli ariani si sono inventati un bel casino. Quando ho letto che questa specie degenere oltre a friggere gatti neri è anche capace di far suicidare membri delle classi superiori indiane per evitare l’implementazione della legge voluta da Ghandi e da Ambekar – che limita il diritto delle classi superiori a ottenere una quota del circa l’80 per cento dei posti pubblici – sono rimasto allibito. Ho anche letto che dopo lo tsumani non fu concesso ai fuoricasta di dividere cibo con le caste superiori e che un giudice bramino fece portare acqua dal Gange per purificare la poltrona dove si doveva sedere perché, prima di lui, un Dalit ci aveva appoggiato le natiche. Una religione capace di grande saggezza ha ideato qualcosa di realmente tremendo e protegge la prevaricazione religiosa con il terrore. La saggezza indiana affermando che un Dalit, per i peccati passati, per il suo Karma, sconta la condizione attuale diventa una spinta poderosa verso l’ateismo. Che viviamo in un mondo di pazzi è provato dal fatto che anche i comunisti indiani non desiderano l’abolizione delle caste ma solo la lotta di classe. Ma non mi riesco a spiegare perché i Dalit non abbiano cambiato religione in massa diventando musulmani, cristiani o buddisti; queste religioni almeno non hanno la separazione in caste ma solo quella in classi. Ma il mondo è balzano e ognuno dice la sua.

Raskòl’nikov l’altra sera – rannicchiato nel mio cranio ma, nello stesso tempo, presente nella stanza – sussurrava: pensa ai fetenti della “banda dei quattro” che si inventarono tutte quelle oscenità per impedire l’imborghesimento del partito.
Ho tentato di spiegargli che fu colpa di Mao.
E lui: certo che fu colpa di Mao, ma la leadership quando ha capito che intorno al vecchio marpione c’era odore di bruciato – dal momento che aveva fatto crepare 40 milioni di persone con le sue idee insane – si sono scatenati. E sai cosa mi ha colpito più di ogni cosa? Quello che le Guardie Rosse hanno fatto all’arte, alle antichità. Hanno devastato tutto. Poi quando il vecchio puttaniere si è accorto che i maoisti avevano scatenato il pandemonio ha chiamato l’esercito. E sai come è finito tutto?
Con il processo ai reprobi – ho risposto.
E lui: Bravo! Yao Wenyan si è beccato 20 anni di carcere ed è crepato giorni fa. Wang Hongwen
ha lasciato questa valle di lacrime nel 1999, Zhang Chunqiao è partito per l’Ade l’hanno scorso e la troia di Mao, Jiang Qing, si è suicidata nel 1991…peccato vero? E lo sai che cosa ha scatenato tutto?
E io: Bèh… non ricordo… Bàtjuška …dai…
E Lui: Ma che cavolo di giornalista politico sei? Un fottutissimo spettacolo teatrale : La destituzione di Hai Rui, criticato pubblicamente da Yao, ha aizzato il bordello ideologico. Yao – Mao benedicente – diceva che era una subdola critica nei confronti del grande leader e le Guardie Rosse scatenarono il pandemonio. Il figlio di Deng Xiao ping ci rimase paralizzato e quando venne il momento il vecchio marpione gliela fece pagare ai maoisti. Li eliminò. La vendetta è un piatto che si gusta freddo.
Allora gli ho chiesto: Bàtjuška… ma com’è possibile che voi nell’inferno siete informati di tutto? Ma che avete la televisione satellitare?
E lui: ma quale inferno… scemo…lo sai che disse a John Dean, Bartlett Green, il reprobo che bruciava i gatti? Disse che alle spalle di questo mondo c’è “un retromondo, una molteplicità di dimensioni che non si esauriscono nel mondo dei nostri corpi e del nostro spazio…”
E io: Mica so quello che vuoi dire.
E poi ho chiesto: Rodja, tu vivi nel retromondo ?
E lui: ma che te ne frega dove vivo?…io sono qui per aiutarti. Però il vostro mondo è pazzo…ascolta: in Bolivia stanno cercando di coprire legalmente gli assassini del Che, perché l’indio Evo Morales ha vinto le elezioni e i reprobi rischiano la galera; e così la destra uscente ha coperto istituzionalmente i macellai di Guevara con il titolo di benemeriti della patria. Ridi eh? Lo trovi ridicolo? Bèh… è roba da piangere…
E io: Ma scusa … non erano tutti morti o semimorti gli assassini del Che?
E lui: Non tutti. Però la maledizione ha colpito duro. Prima è partito per il retromondo Barrientos – che diede l’ordine dell’esecuzione – e gli scoppiò l’elicottero sotto il culo; poi Roberto Quintanilla che tagliò le mani del Che e fu accoppato da una donna nel 1970. Nel 76 creparono Juan Josè Torres, rapito e giustiziato e Joaquin Zenteno Anaya trucidato mentre faceva l’ambasciatore a Parigi. Gary Prado Salmon – che non è un pesce – vive invece una morte rigida paralizzato per un agguato.
La maledizione del Che ha colpito ma ce ne stanno ancora altri di bastardi in giro.
E io: bàtjuška ma Guevara è nel retromondo?
E lui: Eh…quante cose vuoi sapere…è un segreto.
E io: Certo che è un mondo strano: ho letto che Ratzy boy si è messo a fare il fetente con i francescani
perché a lui, a Messori, e ai cattotaliban da fastidio il mieloso buonismo dei pacifisti cattolici.
Devo dire che Messori ne ha sparata una bella: ha detto che Francesco d’Assisi ha fatto il cappellano ai Crociati. Apriti cielo! I Francescani si sono incazzati da morire e Ratzy boy li ha umiliati pubblicamente:
gli ha imposto di accettare l’autorità del Vescovo.
E lui: I cattolici mi fanno morire dal ridere… c’è stata gente che quando ha visto, durante il funerale di Wojtila, le pagine del vangelo deposto sulla bara mosse dal vento ha pensato che fosse lo Spirito Santo a muoverle. Ridi eh? Ma che dice la camerera dominicana di Evo Montales?
E io: Non ci capisce una mazza di politica.
E lui: Castro ha detto che non capisce perché gli arabi o gli iraniani non possono avere la nucleare se l’America, l’Inghilterra e Israel ce l’hanno?
E io: Si… ha detto che le grandi potenze non devono avere il monopolio delle armi atomiche.
Mica sbaglia…

E così Raskòl’nikov si stava intrattenendo nella mia testa essendo, allo stesso tempo e peculiarmente presente nella stanza. Era fisicamente davanti a me ma mi sembrava fosse solo un’emanazione della mia mente. Pensai che si annoiasse nel Retromondo. Devo dire che mi appariva non come descritto in Delitto e Castigo con occhi stupendi, capelli castani, alto, esile e snello ma con capelli brizzolati sotto un cappello cencioso messo sulla ventitré. Era di media statura. Non mi dava la sensazione di un personaggio arrogante, appariva orgoglioso e allo stesso tempo umile, direi dimesso, ma a volte era sarcastico e sfottente e aveva una lingua tagliente come un rasoio affilato. Ma non c’era un’atmosfera luciferina intorno a lui. Il senso del vuoto lo circondava; questo era fuori dubbio: sembrava che fosse tornato per legittimare un lontano evento e che si fosse faticosamente estratto, tirato fuori, da una dimensione distante. Inaccessibile.

A un certo punto per cambiare soggetto gli ho chiesto: “Senti Rodja … hai un senso di colpa per Alëna Ivànovna, l’usuraia che hai maciullato?”
“E perché mai – ha risposto – quella voleva fare come tua zia. Non sai che la bagascia lasciò tutto a un monastero per salvarsi la sua sudicia anima, e che neanche, Lizaveta, la sorella ricevette un rublo?
E tua zia farà lo stesso: lascerà tutto ai cristiani dell’abbazia, al partito conservatore e alle associazioni per la cura del cancro e a quelli che vogliono perpetuare la vivisezione.”
“Tu dici?”
“E allora perché ciancio nella tua testa, secondo te?”
“Per aiutarmi?”
“Bravo, scemo!”
“Senti, Rodja, io sarò scemo ma se tu sei un’invenzione di Fëdor Dostoevskij come puoi essere vivo – se vivo è il termine giusto?”
“Il termine giusto è presente… l’immaginazione è vita. Ma come posso spiegarti in due minuti come funziona il multiuniverso pluridimensionale?”
“E’ difficile capirlo?”
“Senti Arny…tu concentrati su una sola cosa: togliti dalla testa le idee di retribuzione, di male e di bene perché sono concetti dello spazio tempo e delle fisica einsteniana: funzionano solo da voi.”
“Mica facile…”
“Provaci Arny… o non si va lontano…”
“Ci proverò..ma scusa la curiosità, bàtjuška, quando hai visto Alëna Ivànovna aprirti la porta hai cominciato a tremare?”
“Bèh…si….non è stato facile… sono mica un assassino io…”
“E le hai detto: io vi ho portato un oggetto…”
“Esattamente…”
“E lei che aveva indovinato tutto ti ha chiesto: perché siete così pallido e tremante, bàtjuška?”
“Esattamente: la megera guarda l’oggetto, il pegno, pensando al guadagno ma sa in cuor suo che sarebbe stata massacrata… sembra sentirlo, glielo leggo negli occhi…”
“Osserva il portasigarette, sente il pericolo che incombe e si preoccupa se l’oggetto é d’argento…”
“Quello era il vero problema…il guadagno…”
“E tu, Rodja, a quel punto, estrai da sotto il soprabito l’ascia affilata…”.
“E mi prende un capogiro…”
“E poi le molli una randellata micidiale sulla treccia a forma di coda di topo, sui capelli bisunti, e gli fracassi il cranio e il pettine di corno …ma utilizzi non la parte affilata della scure ma quella opposta del taglio… perché?”
“L’idea era tentare di evitare lo spargimento eccessivo di sangue…”
“E lei annaspa con le mani nell’aria, le leva istintivamente verso la testa…”
“Però…lo hai letto bene quel brano?”
“Mi ronza da tempo come un moscone nel cranio quel pezzo… insomma, Rodja, Alëna Ivànovna getta un debole grido e cade stringendo il pegno… l’oro e l’argento fino all’ultimo…fino all’ultimo secondo della sua fottuta esistenza…”
“E ha gli occhi sbarrati che sembrano schizzare fuori dalle orbite…”
“E c’è sangue… sangue…sangue…”
“Quel colpo Fëdor Dostoevskij lo dedica a tutti gli usurai che lo hanno sfruttato…”
“Una rivincita virtuale”
“Meglio di niente…”
“E tu Arny, riusciresti a fare una cosa del genere a tua zia: carne della tua carne e sangue del tuo sangue?”
“A carne, sangue, famiglia, patria, Dio e cazzate del genere non ho mai creduto perché sono la rovina della terra. E di Dudù me ne frego altamente. Mi sento più vicino a un cinese sconosciuto che alla sorella di mia madre”
“Ma lei ti vuol bene…”
“Dudù è capace solo di un amore calcolato. Non prova niente per nessuno. E’ stata la sua poverissima infanzia a renderla così. Mi vuole vicino per un senso deviato del sangue. Figli non ne ha voluti. Troppo doloroso il parto, diceva… ”
“Allora vuoi che ti trovo un’ascia affilata?”
“Eh no… bàtjuška… io non faccio le cazzate che hai fatto tu, tutto va organizzato come un’operazione militare…”
“Ed io sono qui per questo”
“Ma tu chi cazzo sei? E’ questo che non capisco… e poi un’altra cosa: ma cosa cavolo è il multiuniverso pluridimensionale?”

L’ Essere è ciò che contiene gli universi e le dimensioni.
L’Essere é il terreno primordiale da dove le miriadi di cose sgorgano, è il Grund originale che permette alle cose di essere. L’Essere è ciò che, non essendo ente, lascia essere le miriadi di cose.
Gli esseri coscienti sono gli occhi dell’Essere. Senza Essere non ci sarebbe l’esserci, e senza esserci non ci sarebbe Essere. Dice Heidegger: senza Sein non ci sarebbe Dasein e senza dasein non ci sarebbe Sein.
Da un punto infinitesimale del multiuniverso pluridimensionale un dasein si chiude in una casupola di Todtnauberg e comincia a pensare l’Essere decidendo che il terreno primordiale è finito e circoscritto dal Nulla. E sono pagine di stupenda poesia; ma che una coscienza peculiare – una tra le miriadi di coscienze – presumibilmente presenti nel multiuniverso pluridimensionale si arroghi il diritto di capire la natura del fondamento di tutte le cose fa sorridere. L’Essere, lascia essere il multiuniverso pluridimensionale e in un lembo infinitesimale di questo multiuniverso pluridimensionale una coscienza desolata – peculiarmente programmata e prigioniera di tutti i preconcetti dello spazio – tempo – tenta, basandosi sui propri umori soggettivi e particolari, di interpretare l’enigma dell’Essere stesso, mentre un altro dasein, in un rumoroso caffè parigino, ci prodiga la sua visione della natura delle cose descrivendo la loro essenza vischiosa che definisce en soi. Le cose che sono filamenti di energia – ma che appaiono alla mente programmata in questo particolare pianeta come solide e ostili – provocano nella mente di Sartre una nausea dolciastra come il ciottolo di Roquentin ne “La Nausée”.
La domanda è: come può una coscienza isolata – e programmata in una certa peculiare maniera – descrivere l’essenza, la natura di qualcosa (che non è un qualcosa, cioè non è un ente) così immenso e incomprensibile come l’Essere?
La risposta è: perché l’esserci è l’occhio dell’Essere.
E chi lo dice?
E se in un’altra parte del multiuniverso pluridimensionale esistessero coscienze infinitamente più avanzate della nostra che fossero giunte ad altre conclusioni?
Giudicare l’Essere in questo momento della storia è come cercare di capire la vicenda americana in Iraq vivendo sotto le mura di Ilio, al tempo di Teucri e Achei.
Un uomo elargendoci uno stravolgente pensiero, sicuramente il più originale del ventesimo secolo, si arroga il diritto di comprendere l’essenza del terreno primordiale che lascia essere il multiuniverso pluridimensionale che contiene le miriadi di cose. Questo dasein, strutturalmente e inestricabilmente legato al suo tempo, determina dalla sua prigione – illusione – che è essenzialmente la sua struttura celebrale – la natura stessa del grund originale. Del suo peculiare Essere –Tao.
E che altro può fare il dasein se, gettato nella sua esistenza, contemplando l’immensità sovrastante sente l’angoscia prenderlo alla gola? Che altro può fare se non provare a interpretare l’immensità silenziosa che lo sovrasta. Che altro può fare, vivendo in un mondo scellerato e impazzito, se non dirsi che è venuto il momento di abbandonare il pensiero calcolante e di cercare di interpretare la meraviglia dell’Essere ponendo la domanda essenziale: perché ci sono cose invece di niente?

7 – HYBRIS

Il 2 Febbraio da Ciampino raggiunsi, con la Ryanair, Olmo a Santiago de Compostela.
Tra noi c’era stato un nuovo incontro e dopo una lunga notturna conversazione ero riuscito a capire le cause del cambiamento drammatico del fascista.
Erano state tre le ragioni della sua metamorfosi spirituale: la prima originava da un rapporto che aveva avuto con una polacca, Sara Wirszubski; la seconda riguardava un problema filosofico che lo aveva stregato e ammutolito; la terza le condizioni del pianeta e dei suoi abitanti che lo avevano allarmato.
La storia della donna mi aveva profondamente commosso.
Olmo aveva amato un’ebrea polacca con tutto il suo essere e questa donna lo aveva ricambiato trasformandolo interiormente. Mi aveva raccontato che Sara viveva a Santiago de Compostela in condizioni avvilenti e che lui non era in grado di vederla a causa della sua inadeguatezza finanziaria. Le due indigenze ostacolavano un incontro. Mi offrii di pagare albergo e volo. Non ne volle sapere, solo dopo un intervento di Jonathan si convinse. Olmo arrivò un giorno prima di me, lo incontrai in un albergo a Rua Da Virxe Da Cerca e parlammo a lungo. Devo dire che la storia della polacca mi affascinava e mi commuoveva profondamente. Briganti mi disse che l’ebrea lavorava nei gabinetti pubblici vicino alla cattedrale. Se si ammira la stupenda facciata dell’Hostal dos Rejos Catòlicos e si scende a sinistra per Costa Do Cristo si trovano i gabinetti immediatamente a sinistra. La polacca era una persona mitissima, priva di qualsiasi malizia e sembrava toccata dalla luce di Dio. Devo dire che approfittai anche del viaggio per sondare l’anima di Olmo e per capire se lo scellerato piano di Roskòl’nikov fosse attuabile. Però le storie che mi narrava Briganti mi allontanavano dal fantomatico russo.
Scoprii anche che Olmo era nato a Crema. E questo favorì le mie indagini. Nella mia vita di giornalista avevo avuto pochi fan ma a due di loro ero particolarmente affezionato. Un rockettaro milanese, Elvis, e un giovane architetto diessino, animalista e vegetariano che viveva nella città di Crema. Quando seppi che Olmo era nato e vissuto in quel ridente – si fa per dire – centro agricolo nella bassa pianura lombarda sul fiume Serio presso Cremona, contattai immediatamente il mio giovane amico, Albino Guerreschi detto
Bibo, e gli chiesi di indagare in maniera intelligente su Briganti che viveva nel Devon ma che aveva avuto un passato fascista e forse anche bombarolo. Bibo mi rispose che l’avrebbe fatto e mi avrebbe informato entro una decina di giorni. A Crema ero stato una volta quando Albino aveva organizzato un incontro con i satrapi locali riguardo “politica e diritti animali” e aveva avuto il coraggio di invitare la sinistra locale per dibattere su come si potessero aiutare le povere bestie sofferenti. In quell’occasione ebbi modo di constatare quello che immaginavo. La sinistra ulivista e diessina se ne straffoteva delle bestie e se la diede a gambe.
Fu un boicottaggio quasi totale dell’evento. Il fatto che io fossi presente aiutò pochissimo. Nessuno degli spocchiosi ras del luogo voleva toccare il soggetto. Era dinamite. Avrebbero perso i voti dei cacciatori e degli agricoltori e quindi dopo aver incoraggiato subdolamente il povero Bibo a presentare il dibattito lo avevano solennemente snobbato. La cosa mi fece oltremodo indignare e ne venne fuori un dibattito acceso. Devo dire che Bibo ebbe le palle – che è convinto di non avere – di sfidare l’establishment diessino su qualcosa che, come la pederastia nel diciannovesimo secolo, non doveva essere neanche menzionata. Gli unici che presero parte al dibattito furono i Verdi e una rappresentante di quel partito ci massacrò per un’ora sulle sorti del pianeta. Per azzittirla necessitò quasi un intervento armato. Presi molto male la storia del ripudio della sinistra e scrissi un articolo sull’Indipendente che il mio fottuto editore tagliò facendomi arrabbiare da morire. Anche lui non voleva indispettire i cacciatori e gli agricoltori cristiani. Bibo mi impressionò per la sua compassione e per il suo coraggio davanti a tanta vergognosa spocchia. Certe cose non si dimenticano. Ora avrebbe indagato sul mistero di Olmo e mi avrebbe fatto sapere.

Quello che mi colpì di Sara Wirszubski fu la storia di Belsen.
Sua nonna e suo nonno erano state vittime dei due mefistofelici nazisti Irma Grese e Josef Kramer che furono impiccati per i loro crimini dopo il processo di Norimberga.
Se ci sono due grandi raffigurazioni del male questi due torturatori calzano alla perfezione le sue sataniche fattezze. Si dice che il male di Josef Kramer si materializzò in un autentico haunting e che qualcosa del suo orrore sopravvisse in forma spettrale tra le volte del campo di concentramento.
Irma Grese, che era stata l’amante di Mengele e di Josef Kramer, fu la prova vivente che se certi uomini sono raccapriccianti le donne non sono da meno. Quello che questo mostro in gonnella e stivali neri fece ai prigionieri è semplicemente inenarrabile. Una delle sue sadiche delizie era scatenare cani affamati contro i prigionieri e provava una goduria infinita nel selezionarli concedendo loro vita o morte. Se si accordano a una mezzamanica poteri infernali – come quelli concessi ai nazisti a Belsen – emerge subito l’essenza maligna assopita che alberga nel cuore. Sara conosceva minuziosamente, per averlo sentito da un sopravvissuto, quello che la diabolica coppia era stata capace di fare ai suoi nonni. Ed aveva un sogno ricorrente: vedeva dei lampadari di pelle umana – preparati appositamente per Irma – e sentiva una voce che le diceva che il lume sul tavolo di legno era stato fatto con la pelle di suo nonno.
La narrazione minuziosa e continua degli eventi di Belsen aveva minato la fede fascista di Olmo.
Era stato come la goccia nella roccia. Dopo un continuo gocciolare la pietra si era arcuata. E Olmo era lentamente cambiato. Stavolta non erano i comunisti che gli narravano gli eventi di Belsen – che gli storici revisionisti alla Irving negano sempre – ma una donna profondamente amata che aveva perdonato Irma Grese e Josef Kramer. Sara, infatti, durante i suoi esercizi spirituali abbracciava con la mente i due mostri, li stringeva a sé, e chiedeva alla Luce Divina di perdonarli.
Ad un certo punto della sua vita Sara aveva deciso di lasciare Olmo e di andare a Santiago de Compostela e – pur non rigettando la fede ebraica – aveva percorso il lungo pellegrinaggio da Arles.
Non si era convertita ma aveva fatto la scelta della castità e dell’estrema povertà decidendo da quel momento di lavorare nei gabinetti pubblici: il lavoro più infimo che poteva trovare. Con un gruppo di persone aveva formato un gruppo mistico chiamato i figli della luce infinita che praticava un misticismo ascetico ed eclettico. Moshè Wirszubski, suo nonno era stato un cabalista, un seguace di Yitzhak Kaduri, uno di quei rabbini che annunciano con frastornante regolarità la venuta del Messia e l’inizio del processo di redenzione e che sistematicamente vengono disdetti e annientai dai fatti. Con la fine del mondo e la venuta del Messia i mistici non ci prendono mai. I suoi nonni erano devoti di Yitzhak Kaduri a tal punto che avevano dato a Sara il nome della sua prima moglie. Ma i grandi maestri cabalisti se ne fottono della castità e il seguace di Luria, Kaduri, dopo la morte di Sara, la prima moglie, si era risposato con una donna chiamata Dorit cinquant’anni più giovane di lui. Sara Wirszubski aveva creato una suo credo eclettico e aveva vissuto secondo l’etica che si era imposta. Aveva lasciato dolorosamente Olmo dopo – in un certo senso – averlo convertito. La descrizione minuziosa dei fatti di Belsen avevano sconvolto il fascista e provocato una reazione drammatica. Ma solo l’amore aveva potuto tanto perché se qualcun altro avesse provato a farlo Olmo non lo avrebbe ascoltato. La stranezza era che Briganti, dopo l’abbandono, si era immerso nel Talmud leggendolo continuamente. Come si fosse ingoiato le 2711 pagine che riassumevano la legge ebraica era per me un grande mistero. S’era pappato Mishnà e Ghemarà senza battere ciglio: quando me lo disse rimasi senza parole.

Nei giorni di Santiago, mentre Olmo passava il suo casto tempo con Sara, mi persi per i silenziosi e odorosi vicoli della cittadina ammirando gli scorci dei campanili barocchi e, dai punti più alti, gli improvvisi panorami fatti di case bianche intervallati da gigantesche palme, alberi secolari e vermiglie camelie in fiore.
Un pomeriggio incontrai Sara: era una donna minuta, con i capelli castani e lunghi, divisi in parti uguali sulla testa. Aveva gli occhi marroni, uno sguardo malinconico, ed era estremamente ben fatta. Aveva un seno prominente e una piccola bocca. Una luce interiore sembrava propagare dal suo essere. Sembrava ondeggiare nel sole. Non so descrivere il sentimento di mitezza che l’ebrea emanava. L’esercizio dell’abbraccio mentale di Irma Grese e Josef Kramer mi aveva lasciato senza parole. Io li avrei massacrati se avessi potuto. Penso che per certi atti non ci sia mai perdono. Ma solo per certe azioni.
Eravamo insieme ad Olmo sotto lo splendido Portico della Gloria, nella cattedrale quando Sara mi indicò un angelo trombettiere del porticato e disse: “Per quanto tempo ha suonato, poverino, ma nessuno l’ascolta!”. Feci finta di capire quello che intendeva dirmi e procedemmo verso l’altare maggiore.
Quando vidi due immensi angeli dorati che sostenevano il pomposo baldacchino dissi: “Preferisco il romanico del portico a questo sfarzo esuberante di barocco!”
Sara rispose: “Il barocco ricolma l’horror vacui, la paura del nulla, e riempie ogni spazio, mentre invece lo spazio andrebbe creato e protetto con il silenzio, l’immobilità e l’amore totale. In questa cattedrale, fiamminghi e spagnoli, riempirono tutto, adattarono il baldacchino allo spazio disponibile ed è per questo che appare eccessivamente sproporzionato.”
“Questo immenso angelo – dissi – mi fa pensare all’angelo verde di Gustav Meyrink che visita John Dee, il mago elisabettiano del libro: L’angelo della finestra d’Occidente …”
Mi rispose: “Che strano che lei menzioni Meyrink perché il nostro piccolo gruppo religioso ha preso molte idee da Meyrink…”
“E quali?” Chiesi.
“So che lei pensa che Meyrink ha scritto dei feullietton, ma tra le pagine di quei romanzi mistici d’appendice si trovano veri tesori…”
“Frammisti ai polpettoni… Meyrink è come un film americano di orrore comincia bene e deborda nell’assurdo…un peccato!”
“Esatto…ma se lei legge Il Volto Verde capirà. Lì il protagonista riceve un manoscritto dove si trovano idee originali che noi abbiamo assorbito e messo in pratica. Quel libro ci ha aiutato.”
“Mi faccia un esempio…”
“Il discorso sull’immobilità e sul silenzio e i pensieri come uno sciame di api…ma lo ha letto il libro?”
“No, ma lo leggerò. Però L’angelo della finestra d’Occidente mi ha colpito per alcuni fiammeggianti dialoghi: devo ammetterlo.”
“Quali?”
“Quelli di John Dee con l’angelo verde e con il rabbino di Praga – che se la ride a crepapelle quando il mago elisabettiano gli dice che è visitato da un angelo – e l’incantevole conversazione – con descrizione dell’incontro – tra Dee, Kelley e l’imperatore alchimista Rodolfo di Boemia, che sospetta di avere a che fare con due ciarlatani e li tratta da cialtroni…”
“Devo dire che anche io ho trovato quelle conversazioni esilaranti …”
“Mi dica una cosa Sara ma non le sembra che Meyrink proponga idee manomesse dal buddismo tibetano e ripassate in una padella cristiano – massonica?”
“E che importa? Le idee sono idee. Noi crediamo nell’eclettismo… ci mancherebbe. Dio ci guardi dai dogmi. Bisogna essere aperti… anzi spalancati a tutto!”
“Sa cosa dice del paradiso Meyrink? Dice che coloro che vi giungono si creano il loro luogo di beatitudine un mondo nuovo con le immagini che amano. In poche parole se uno muore trova in cielo tutto ciò che ha amato nella vita terrena, che so… la nonna, la cagna, la casa, il mobile…”
“L’amante…”
“Perché no? E dice se un cristiano muore e ha sempre pregato la Madonna, sognerà tra le braccia di Maria.
E dice anche che i saggi, gli illuminati che conoscono la verità trapassano, invece, in un paradiso incolore.
Se uno vuol vedere Dio o dormire con le Uri riposerà nel grembo di Dio o se la spasserà con le vergini.
Ma coloro che sanno, gli illuminati, vivranno in una specie di limbo. In poche parole: la verità ci distrugge.”
“Insomma è come un film americano del paradiso…ognuno ricrea il proprio cielo o inferno?”
“Meyrink dice che gli illuministi fanno un gran male attaccando le religioni, e che la religione è necessaria per la perpetuazione dell’illusione, senza illusione non si costruisce un paradiso d’immagini.
Afferma, insomma, che quello che ci costruiamo mentalmente in cielo è un agglomerato di immagini illusorie.”
“E mi pare che fosse convinto che ci fosse un mondo invisibile che compenetra il mondo così detto reale.
E che i morti attendono in quel non – luogo. O sbaglio?”
“No. E detestava gli spiritisti perché diceva che aprivano spiragli a entità orrende mascherate da defunti.
Da quei neri buchi dimensionali non si sa mai cosa esca fuori.”
“Si scherza con il fuoco…”
“In effetti è vero quando parla di risveglio è chiaramente buddista dice che astri e dei passano ma non il risvegliato che è ormai oltre gli dei e non passerà mai. Ricorda il Buddha riverito dagli dei?”
“Esattamente. Gli dei porgono omaggio al risvegliato”.
“E poi affermava che bisogna pregare il Sé profondo – la luce in fondo al pozzo – che alberga nel cuore e non un Dio nei cieli. Diceva che l’unico Dio è il Sé profondo che vive nella nostra interiorità e che gli idoli sono una grande sventura e se chiedi pane agli dei ricevi solo pietre.”
“E sui pensieri come sciami di api che diceva?”
“Diceva che i pensieri che ti investono come sciami di api si nutrono della tua forza vitale ma se tu sai controllarli con la tua volontà e li allontani da te, essi ritornano carichi di idee come miele.”
“Controllare la scimmia che salta tra le sbarre del cranio?”
“Già… e diceva che se stai fermo, se resti immobile e non muovi un solo muscolo il corpo reagirà con ferocia… insomma l’immobilità è la via per la conoscenza come la meditazione per il Buddismo”
“Il corpo reagisce come i demoni a Pispir che assalgono Antonio nel deserto…”
“Si….ti assalirà con mille frecce…”
“Come gli eserciti dei fantasmi sguinzagliati da Maya contro Buddha….”
“Si… ma Meyrink diceva che le vittorie degli asceti non erano successi veri ma trionfi illusori ed egotici.
E che lo scopo finale fosse giungere a uno stato di veglia superiore”
“Maledettamente semplice… sa io ho problemi col misticismo fai da te: lì ognuno dice la sua…”
“Ah ah ah…è simpatico lei…- e mentre mi diceva questo mi sfiorava la fronte con la mano – c’è luce nella sua anima… ma c’è anche una grande ombra.”
“Russa?”
“Russa? Perché russa? Non so…ma c’è l’ombra e va vinta. Mi dica Arnobio… Dio che strano nome ha…
ma chi glielo ha dato?”
“Fu un maledetto parroco a suggerirlo a mia madre che si chiama – pensi un po’ – Scolastica, il che è tutto dire…”
“Scusi la mia ignoranza: ma chi era Arnobio?”
“Un importante apologeta cristiano che visse in Africa alla fine del III secolo. Scrisse Adversus Nationes. Era un estremo difensore del cristianesimo contro le dottrine neoplatoniche: diceva che abitiamo corpi opachi simili a otri di escrementi e a giare piene di immonda urina…”
“Un mattacchione…”
“Appunto…”
“Ma mi dica, Arnobio, è vero che sta scrivendo un libro su un evento bizzarro che riguarda i mongoli? Un’invasione? Un’invasione…di cosa?”
“Del Giappone… ”

Nel 1279 Kubilai chiama il suo generale Arakan e gli dice: devi conquistare il Giappone.
Il mandato divino ce lo impone. Arakan si prostra: con i Gran Khan non si dibatte, si ubbidisce e basta.
Il generale la testa la vuole mantenere salda sul collo e annuisce a pecoroni tremando.
Quando si solleva da terra comincia a pensare : il vecchio caprone ci riprova e ci manda allo sbaraglio
Che cavolo c’entriamo noi con le navi? Come portiamo i cavalli in quelle isole lontane?
Che idea malsana alberga in quella vecchia mente? Dove ci manda questo vecchio assassino?
Ma non sussurra parola. Ci sono troppe spie in giro e la volontà del Khan è sacra.
E poi c’è il mandato celeste. Ma Kubilai non ha finito e gli dice: entro un anno voglio quelle lontane isole soggiogate. Arakan si inchina nuovamente e pensa: fottuto caprone ci mandi tutti ad annegare.
Il Gran Khan dà poi un ordine perentorio ai cinesi conquistati e gli intima: dovete creare una grande flotta entro un anno. I cinesi – che odiano i mongoli – si mettono di malavoglia al lavoro e costruiscono numerose navi, ma molte non sono all’altezza dell’operazione. Inoltre, i mongoli, perquisiscono imbarcazioni a fondo piatto adatte per navigare nei fiumi ma non nel mare: un errore fondamentale; la fretta e l’hybris tirano brutti scherzi. In un anno i cinesi – obtorto collo- costruiscono e mettono insieme una flotta di 4.400 imbarcazioni.
E’ il 1281, un fatidico anno, quando i giapponesi improvvisamente avvistano una nuvola immensa approssimarsi alle coste: è una smisurata armata navale che si avvicina verso la baia di Hakata dove è situata la moderna Fukuoka.
I nipponici hanno scorto la flotta della dinastia Yuan composta da guerrieri cinesi, mongoli e coreani
inviata da Kubilai per conquistare la terra del sol levante.
I soldati Yuan quando vedono la terraferma dalle navi scorgono una grande muraglia costruita sulla spiaggia. Avvistano postazioni di pietra lunghe 20 chilometri e situate a dieci metri dalla riva del mare.
Questa muraglia di pietre è stata costruita tra il 1276 e il 1277, dopo la prima invasione, lungo la baia di Hakata per resistere a una futura aggressione. I samurai hanno fatto tesoro dell’esperienza passata.
Infatti rischiarono molto.
Nel 1274 i soldati Yuan dopo lo sbarco avevano vinto la battaglia ma non avevano capito di avere ottenuto la vittoria. L’esercito Yuan composto da 8000 soldati coreani e 15.000 mongoli e cinesi aveva sgominato la cavalleria nipponica. I samurai si erano ritirati nel Kyushu perché i cavalli terrorizzati, dalle esplosioni non rispondevano più ai comandi dei cavalieri. La ritirata dei samurai era stata interpretata dai mongoli come un ripiegamento tattico; più tardi si era scatenata una grande tempesta che aveva costretto la flotta Yuan a ritirarsi. Nell’invasione del 1274 la forza composita dei mongoli era di 40.000 armati con 900 navi mentre i giapponesi avevano messo in campo 10.000 soldati.
Nel 1281 lo schieramento giapponese conta su 40.000 armati. Gli scontri del 1281 si svolgono nelle vicinanze della città di Kyushu, come nella precedente invasione, l’esercito Yuan si confronta con i giapponesi in una miriade di scontri che vanno sotto il nome di battaglia di Kouan.
Il rotolo di Akasaki narra gli eventi dell’invasione mongola.
Quando le navi appaiono i giapponesi cominciano a pregare. Vengono dedicate ai templi miriadi di spade, forgiate da fabbri meditanti, che hanno grandi qualità spirituali. In tutto il Giappone si invocano le divinità scintoiste. Arakan si mette all’opera e dice: bisogna creare una beach- head, conquistare un lembo di terra per far sbarcare l’armata; se non ci riusciamo in tempo siamo spacciati: moriremo di fame o Kubilai ci accopperà. E comincia ad attaccare: prima con un bombardamento di frecce che hanno una gettata di 400 metri, poi con proiettili rudimentali che esplodono sulle postazioni nipponiche. Dopo il bersagliamento i soldati mongoli sbarcano sulla terraferma ma i samurai, con le loro sciabole affilate, resistono splendidamente e li ricacciano con gravi perdite. I mongoli si trovano a disagio in una battaglia dagli spazi contenuti sotto i baluardi di pietra. Arakan è confuso. Se l’immenso esercito non approda i viveri finiranno. Si impazzirà per il calore sulle navi. Tornare indietro significa morte sicura: bisogna assolutamente approdare. E pensa: ecco che cosa ha combinato il vecchio caprone: ci ha mandato allo sbaraglio. Meglio crepare trafitti da una lancia nella steppa che affogare in queste acque salate. Fa caldo sulle navi e i mongoli si ammalano; hanno conquistato il mondo a cavallo, ora devono combattere come una qualsiasi fanteria con spada e lancia e vivere in spazi ristretti; per loro, abituati alle steppe, questo tipo di guerra è oltremodo destabilizzante. Ogni tentativo di approdare si riduce a una sanguinosa ripulsa. I samurai mietono vittime con le loro spade ricurve. I preti scintoisti intanto pregano. Una conquista mongola per i nipponici è impensabile. I samurai resistono stupendamente. Arakan pensa: non gli era bastata la batosta di sette anni fa al vecchio caprone, ci ha riprovato. Se il Gran Dio del cielo ha lasciato respingere una flotta perché rimandarne un’altra?

Poi il Caso o gli dei intervengono.
Il 12 agosto del 1281 la grande flotta mongola scompare.
Svanisce miracolosamente nel nulla.
Gli storici affermano che un poderoso e inaspettato tifone si è abbattuto sul Giappone tra luglio e agosto del 1281: le preghiere dei preti giapponesi sono state esaudite?
Una stramba mitologia nipponica, come un immenso baldacchino metafisico, si eleverà su questi eventi.
Il Giappone diventerà agli occhi dei suoi abitanti un luogo sacro protetto dagli dei che hanno annientato, per difenderlo, l’armata navale mongola. Il vento divino, Kamikaze, é stato alitato dalla bocca degli dei.
Un grande tifone si è levato ed ha distrutto la grande armada. Il vento ha soffiato a 150 miglia all’ora. Navi lunghe 230 piedi hanno cominciato a infrangersi contro le scogliere. Le imbarcazioni piatte si sono schiantate per prime non reggendo la furia degli elementi. Con lo scatenarsi del tifone l’intera flotta è stata spazzata via. Sono affogati 70.000 uomini e 4400 imbarcazioni sono svanite nel nulla. Arakan ha maledetto il Gran Kahn nei suoi ultimi momenti: l’hybris si paga amaramente. La volontà mongola di potenza è infranta. Inizia il declino: l’età d’oro si appanna. Il mito di invincibilità – già incrinato dai Mammalucchi, nel 1260, presso la Fonte di Golia – è annichilito.
Il professore giapponese Kenzo Hayashida, nel 2004, proverà la validità della teoria del tifone: i suoi subacquei avvisteranno delle ancore sommerse in uno strato di melma e sabbia, presso la spiaggia dell’Isola di Takashima, puntate verso il mare aperto. Significa che qualcosa di tremendo ha sradicato le imbarcazioni dalle ancore gettandole con immensa forza verso la riva.
I giapponesi, dopo la grande vittoria che resterà eterna negli annali della loro storia, esperimentano una profonda crisi: il paese è in ginocchio per lo sforzo bellico. Il trionfo sui mongoli non ha portato bottino e terre. Gli dei del mare si sono ingoiati tutto. Senza bottino e senza conquista dei territori lo Shikken, il reggente, va in crisi. La logica della conquista delle terre spartite tra i samurai vincitori viene meno.
Quella logica di spartizione è la conditio sine qua non della fedeltà feudale.
Ma non si può dividere il mare e i mongoli sono svaniti nel nulla.
Lo Shōgun non può ricompensare i feudatari. Clero ed aristocrazia guerriera entrano in fibrillazione.
Lo scontento si scatena contro la famiglia Hōjo. L’imperatore Go-Daigo ne approfitta per riprendere il potere perduto. Nel 1324 sfida lo Shogun, viene sconfitto e finisce in esilio nell’isola di Oki.
Ma nel1333, Ashikaga Takauji, conquista Kyoto e gli concede il potere. Mentre questo avviene un altro grande signore della guerra, il feudatario Nitta Yoshisada, massacra i vincitori dei mongoli, gli Hōjo, e distrugge la città di Kamakura: e così facendo chiude un periodo di gloria e di sangue.
Lo Shogunato Kamakura collassa e sarà seguito da quello degli Ashikaga che durerà fino al 1573. Dal 1478 al 1573 lo stato rischia lo sfascio quando la terra del sol levante si inabissa nel tempo dei Regni combattenti.

Nel 1294 Kubilai muore e Teműr Őljjeitu diventa Gran Khan

La notte sognai di essere con Sara e Olmo in un luogo di mare e dicevo che mi sembrava che le cose fossero diventate altre, che il mondo le avesse contaminate e trasformate. Provavo disagio per le cose.
Vedevo una finestra gotica aperta sul mare e mormoravo: “Se fossi un pittore dipingerei quella finestra”.
Sara mi guardava e sorrideva. Le cose nel sogno erano altre. Un senso di angst aleggiava nel sogno.
La mattina uscimmo con Olmo e ci avviammo verso la Cattedrale, salendo dalla Rua Da Virxe, per una scalinata, prendemmo la direzione di Praza de Santo Agostino e attraversammo un grande mercato dove contadine accovacciate vendevano frutta, verdura e animali vivi. Mille occhi si puntarono verso di noi. Olmo sorrideva e le donne rispondevano con cenni della mano. Io facevo finta di niente. Poi chiesi a bruciapelo: “Hai mai fatto l’amore con una donna grassa come quella contadina?” E indicai una venditrice di lattuga. Rispose di sì e mi spiegò che poteva anche essere piacevole. E io, diabolicamente, pensai alla cameriera dominicana della megera: Raskòl’nikov aveva detto che il misfatto passava attraverso la sua seduzione.
“Cos’è che ti manca più dalla vita, Olmo?” Chiesi
Rispose: “Viaggiare!”
E io: “Ci vogliono soldi…”
E lui:“Si…molti…”
“Però ho un’idea…- dissi – magari ce lo facciamo il giro del mondo…”
Mi guardò frastornato: “Che idea?” Chiese.
“Tutto a suo tempo” risposi, e poi cambiando argomento: “Ma Sara che lavoro faceva prima della crisi mistica?”
“Era una bibliotecaria. Dopo studi filosofici aveva lavorato per diversi anni nella Biblioteca pubblica di Cracovia. Mi diceva sempre che amava il silenzio delle sale di lettura e gli scaffali polverosi che custodiscono il pensiero dei grandi spiriti…”
“Ma questo lavoro…”
Non mi fece finire – eravamo giunti a Praza Cervantes: “Lo ama questo lavoro: sta seduta tra il gabinetto degli uomini e quello delle donne, in uno sgabuzzino aperto su entrambi, e in una nera ciotola di plastica raccoglie le mance”
“Ma come è possibile Olmo? Non è concepibile…passare dalle sale di una biblioteca ai cessi pubblici!”
“Perché non è possibile? Tutto è possibile…soprattutto per una persona come Sara…”
“Ma tu condividi quello in cui lei crede?”
“No. Però devo dire che sappiamo pochissimo dell’Essere. Ti faccio un esempio: si sa da poco che questo universo – forse situato in un numero illimitato di dimensioni – è costituito da quella che chiamiamo materia. Abbiamo appreso che ci sono vari tipi di materia e che la materia che chiamiamo normale forma solo il 4 per cento della massa dell’universo. Gli scienziati affermano che il 23 per cento della totalità della massa dell’universo è formato dalla dark matter, materia oscura, e che la restante massa dell’universo è, invece, costituita da qualcosa che chiamano dark energy, energia oscura, una sostanza che mantiene la materia divisa. Non è che si sappia molto su questa dark energy, però gli scienziati dicono che è composta da particelle trasparenti alla luce e che – a differenza della materia ordinaria – non hanno carica elettrica.
E dicono che malgrado questa fragilità essenziale, direi questa immane leggerezza (i termini divengono insignificanti nel mondo subatomico) la dark energy è sufficientemente pesante da provocare una pulsione gravitazionale tale da impedire che le stelle nelle galassie si allontanino tra di loro. Ora, mi domando, se l’universo è così complesso e l’idea originale della materia è cosi drammaticamente messa sottosopra, chi ti dice che passato, presente, futuro siano in effetti come li concepiamo noi? Se non conosciamo il 96 per cento della totalità della materia come possiamo capire come funziona l’Essere?
I mistici amici di Sara affermano che ciò che appare non è la vera essenza delle cose. Un vecchio refrain filosofico. Dicono che come ci siamo ingannati per secoli nell’interpretazione della materia così ci inganniamo anche nell’interpretazione dell’aldilà. Loro, però, dicono che non c’è un aldilà ma solo porte dimensionali che si aprono e si chiudono. E affermano che – malgrado la spietatezza del reale – l’Essere è costituito da un luminoso, abbagliante amore. E se ti immergi nell’amore trascendi tutto. E che tutto, tutto è amore luminoso e abbacinante sotto l’apparenza del terrore.”
“E tu credi in questo?”
“No. Ma se osservi il loro drammatico cambiamento ti viene da pensare. Queste persone vivono in una grande serenità, vivono in quello che i santi chiamano la luce di Dio. Vivono in una celestiale beatitudine.”
“Olmo…io ho visto bambini vivere tra cumuli d’immondizia, ho visto l’Etiopia affamata, la rivoluzione d’Haiti, la guerra in Nepal, ho intervistato i sopravvissuti del Ruanda, a Cuba ho visto gente che gettava gatti vivi ai coccodrilli e ho visitato la grande foresta amazzonica, dove ogni essere senziente vive nel perenne terrore dell’esistere. Nella giungla ogni vivente divora il vivente. Insomma quello che ho visto e vedo è una universale bottega da macellaio. Un mattatoio globale! E se un mistico mi dice che dietro il massacro, dietro il macello perenne c’è una luce che assorbe le creature massacrate io gli rispondo che per me vaneggia. E gli dico che la dark energy non ha nulla a che fare con l’immortalità e l’amore. Io penso che quando la gazzella è divorata dal coccodrillo o dal leone la sua individualità svanisce ed è buonanotte ai suonatori! Poi i mistici possono dire quello che vogliono e possono anche autoingannarsi con le loro allucinazioni. La fede è una grande medicina, Olmo, fa star bene, ma la verità è un’altra cosa. In fin dei conti anche Meyrink dice che l’angelo verde che è solo un’emanazione della mente di Dee. Quando questo cervello è divorato dai vermi svanisce la coscienza. E la coscienza è per molti l’anima: la confusione originale è lì. Confondere la coscienza temporale con l’anima immortale. Ma noi umani siamo maestri dell’autoinganno. Noi sappiamo meravigliosamente e costantemente ingannarci.”
“E sei sicuro che la coscienza sia l’anima?”
“Ne sono certo!”
“Io da diverso tempo non ho più certezze…ma cosa disse l’angelo a Dee?”
“No, non fu l’angelo a dirlo a Dee, ma un certo Gardener che era morto e si manifestò nel momento della morte dell’alchimista. E Gardener, come il rabbino di Praga, diffidava delle apparizioni e lo aveva messo in guardia del rischio che correva. Ma Dee era stregato da un ipotetico Oltre e mentre trapassava chiese:
“Chi è L’Angelo verde, l’Angelo della finestra d’Occidente?”
E il fantasma – chiamiamolo così – di Gardener rispose che l’angelo non era altro che un eco. Un eco che si proclamava immortale perché non avendo mai vissuto – e non avendo conosciuto la morte – si immaginava
immortale …”
“Bizzarro…”
“Eh si…chi più ne ha più ne metta…ma fammi finire: e gli disse che tutto il sapere, la potenza, il male, il bene che provenivano dalla terribile entità originavano da lui stesso.”
“ Freudiano… e invece il rabbino che gli disse?”
“Quando Dee, pieno di entusiasmo, gli raccontò che un angelo lo “faceva mirare – metafisicamente – alto perché sosteneva il suo arco” al rabbino Löw si drizzarono le antenne e chiese: “Di quale angelo parli?”
E Dee descrisse la terribile apparizione dell’angelo verde.
A questo punto l’ebreo cominciò a ridere come un folle, rise a crepapelle mostrando il suo unico dente…”
“Insomma in rabbino capì con chi aveva a che fare Dee… ma quest’angelo prendeva tutti per i fondelli?”
“Era un autentico cojonateur…. ah ah ah…dopodomani diceva sempre… ah ah ah….”
“Mańana…ehhh…l’alchimia, la magia, le religioni…”
“Sai cosa mi fa imbestialire?”
“Sentiamo…”
“Hai seguito tutta le demonizzazione da parte dei media inglesi di Abu Hamza, il musulmano con gli uncini che predicava il terrore a Londra?”
“Si.Una belva islamica…”
“E sai cosa diceva quel fetente in un sermone degli anni 90’?
“No…”
“Diceva che il dio dell’Islam è un dio che ama il sangue. Che gli è gradito il sangue degli agnelli, come quello dei serbi e in particolar modo quello degli ebrei. Ma si, Olmo, il deleterio dio del monoteismo e il demiurgo gnostico… che altro dire…”
Eravamo a Plaza Do Obradoirio davanti alla cattedrale.
“Consolati caro – dissi – oggi ho letto una perla filosofica di Previti: il principe del porto delle nebbie ci informa che anche lui – come Platone – è convinto che la dismisura è all’origine di ogni male…”
“Scaccazzaburunt” esclamò Olmo sorridendo e si avvio verso i gabinetti del suo perso amore.”
“Cicerone?” Chiesi.
“Catilinarie” rispose.

8 – UN MISTICO A BAGHDAD

Il 14 febbraio incontrammo Sara a Praza do Toural e procedemmo verso Rua do Franco, diretti verso un ristorante italiano. Un simpatico ma scontroso cameriere ci disse che l’esercizio apparteneva a un italiano (siamo presenti ovunque anche nei recessi dell’inferno); chiesi se sapessero fare le penne all’arrabbiata al dente. Mi rispose che avrebbe provato a chiederlo ma non si prendeva nessuna responsabilità. Olmo cominciò a ridere. Sara domandò in spagnolo: “Un cuoco italiano non riesce a cucinare penne al dente?” Il cameriere rise, scosse le spalle e si allontanò. Più tardi arrivarono delle penne dure come mattoni.
La mattina leggendo i giornali avevamo appreso che il mondo islamico era insorto per le vignette su Maometto, e riprendemmo la discussione del giorno prima.
Dissi: “Se c’è una cosa che mi fa girare i maroni, è il trattamento riservato ai cani da parte dei musulmani:
ieri sera leggevo Il mio nome è rosso di Ohran Pamuk, e nel capitolo io, il cane, una simpatica bestiola ci informa che se un cucciolone entra in una casa di un musulmano, il devoto lava l’abitazione tre volte, se gli sfiora il caftano con i peli umidi lo lava sette volte e se gli lecca un tegame, getta il recipiente o lo fa ristagnare. Io ho amato molto il mio cane e ho le sue ceneri nella stanza dove scrivo, e a leggere queste stronzate mi viene il sangue alla testa: non sopporto le imbecillità delle religioni. Ora senza approdare alla Fallaci, che esagera, vi dico: non reggo più le fesserie che i fanatici religiosi rigurgitano dalla loro mente malata … le vignette? Non me ne può fregare di meno… ”
Olmo sorridente mi guardò e disse: “Però i danesi potevano evitarlo, se gli islamici credono in quelle cose è meglio non provocarli. Si sono persi migliaia di posti di lavoro… un giornalista si sveglia la mattina e fa esplodere il mondo! Siamo seri… non è bastato Rushdie?”
“Sì…ma basta – esclamai – non c’è un’ingiunzione coranica contro la rappresentazione di Maometto.
Si basa tutto su due sure che non dicono niente. Un religioso si inventa un Hadith, – che se non erro è la Sunna di al –Bukhari – contro le immagini e succede un pandemonio… e i fondamentalisti cristiani non sono da meno. Pensa alle idiozie sul creazionismo. Loro fanno cagare come gli altri. Secondo voi un cane ha meno diritto alla vita di un embrione? Ma via! Ci si può basare su cose rimuginate nel deserto secoli fa?
E ora spunta Ratzinger che ci propina i suoi sermoni sull’amore, ma veramente… ha parlato anche agli arbitri italiani… Olmo…ha tirato fuori gli arbitri! Non ci sono più limiti, i soliti banali inviti a comportarsi bene…ma che c’entrano gli arbitri italiani?”
“Nel Corriere della Sera ho letto la risposta di Severino riguardo al riferimento di Ratzy boy a Nietzsche,
– intervenne Olmo – il filosofo dice che il tedesco e Leopardi affermano che il cristianesimo non è fedele alla terra perché esalta un aldilà che dal punto di vista del pensatore e del poeta è un puro nulla…”
“Un puro nulla? – chiese Sara – però in un senso è vero: l’ aldilà è un puro nulla!”
“Sì. Un puro nulla. Severino dice che liquidare Nietzsche in poche frasi non è corretto- continuò Olmo – e che per il filosofo il cristianesimo è nichilismo puro perché annienta i valori della vita: la bellezza, la potenza…”
“E la bellezza è nell’innocenza del reale (che per me non è per nulla innocente)…” conclusi.
“E cos’è il reale?” Chiese Sara.
Risposi: “Qualcosa di assolutamente gratuito scaturito dal Caso o da una volontà che se ne infischia totalmente dei destini individuali.”
“Speriamo che non sia così; – disse Sara. – io spero, per quello che ho ascoltato e visto, che il reale sia una parte infinitesimale del Tutto. Nietzsche demolisce la casa platonica dietro le cose. Ma quella, nel suo tempo, era un’ovvia reazione alla banalità cristiana. Ma l’Essere è ben altra cosa. E’ molto più complesso!”
“Però, – dissi – comincio a provare una certa simpatia per i tre pilastri di pietra contro i quali i musulmani scagliano pietre. Sono secoli che tirano sassi contro le steli che rappresentano Satana. Detesto il satanismo ma provo compassione per quella materia fatta oggetto di tanto spaventoso odio. In fondo aborro il monoteismo”.
“Anche il mito delle steli origina da una rielaborazione coranica di una storia biblica – spiegò Olmo –
in quel luogo Abramo stava sacrificando Ismaele e Satana gli intimò di non farlo. Ma lui non obbedì, e quando sfoderò il coltello Allah intervenne e al posto di Ismaele venne sacrificato un agnello…”
“E ti pareva – dissi – gli esseri miti sempre soccombono nel mondo del monoteismo e del superomismo
dell’innocenza del reale. E con queste dabbenaggini abbiamo sfinito la terra. L’abbiamo devastata. E poi
c’è una cosa che non mi va giù. Io i cristiani non li sopporto, ma in Turchia c’è stato un genocidio: hanno eliminato almeno un milione d’armeni. E il fatto che i turchi si ostinino ad ignorarlo è spaventoso.
E i Neocon su un punto hanno ragione, i musulmani non possono permettersi di perseguitare le altre religioni nei propri paesi. L’Arabia Saudita andrebbe bandita dal mondo civile per non permettere che non vengano costruite chiese sul suo suolo…ma scherziamo?”
“Ma lì c’è il petrolio!” Chiarì Olmo.
“Devo dire che simpatizzo, in parte, con Garton Ash quando scrive che bruciare la bandiera danese equivale a bruciare quella europea e che forse sarebbe stato necessario ritirare gli ambasciatori europei da Damasco…”
Olmo mi corresse: “Mi sembra eccessivo, ma c’è una sura coranica, la 33, che parla chiaro e mi sembra che dica che coloro che offendono il profeta, Allah li maledirà…o qualcosa del genere…insomma se vivi nel medioevo e credi che il Corano è la parola di Dio potrai anche reagire…questi bigotti vanno capiti!”
“In parte sì… io ho scritto – come tu sai – nel 2001, una serie di articoli sul mondo arabo, quindi ho seguito quello che stava accadendo, ebbene, una volta lessi che il presidente del Pakistan, Zia ul-Haq, mi pare fosse nel 1982, fece inserire nel codice di procedura penale una legge – o qualcosa del genere – che puniva con la morte la blasfemia contro Maometto.”
“Il problema principale nel mondo è la mancanza d’amore…” interloquì Sara.
“Tu parli d’amore – risposi – ma il mistico Al Hallaj che d’amore era stracolmo fu crocifisso, bruciato e le sue ceneri sparse nell’Eufrate e nel Tigri perché basava la sua fede sull’ hobb, sull’amore…i musulmani, nel passato, si sono comportati verso i loro mistici come la nostra inquisizione verso i nostri asceti, e hanno fatto fuori molti santi perché non seguivano la loro becera ortodossia. Il poeta filosofo Ma’ari, che scrisse l’etica del perdono, intorno al 1000, fu giustiziato per blasfemia. Pensate a Khomeini … lo avete mai visto ridere? Puro medioevo… se parlavi d’amore ai Mullah come fai tu, Sara, ti avrebbero risposto che non si può amare Dio perché Dio non è una persona. Nei secoli X e XI, a Baghdad, molti cercarono di trovare una via mistica oltre la strettoia dei dogmi ma finirono male…”
“Tuttavia non è una cosa puramente musulmana, – disse Olmo – Jonathan, prima di partire, mi ha fatto notare che la blasfemia era punita dagli ebrei con la morte. E ha citato Esodo e Levitico.”
“Ma vi rendete conto che bisogna star a sentire roba rigurgitata dal deserto almeno duemila e seicento anni fa? – Ribattei- Una cosa va detta, tuttavia: se per caso i musulmani si mettessero in testa che l’Occidente intero vive in uno stato di blasfemia e deve sottomettersi ad Allah e a Maometto allora bisognerà battersi… e bisognerà battersi anche se gli orrendi redneck di Bush vorranno imporci il loro demente cristianesimo edificato su cretinerie come il creazionismo e la sacralità della vita degli embrioni. Io tra un agnello e un embrione salvo mille volte un agnello. Ma lei Sara – amore di Dio o non amore di Dio – l’agnello se lo mangia. Vede: i mistici innocui o i buddisti li rispetto e li studio ma i Taliban fetenti o i focolarini fanatici – che mi informano che lo Spirito Santo – e non il vento – voltava le pagine del vangelo sulla bara di Wojtyla – li detesto e li combatto.”
“Una nuova crociata con Borghezio, la Fallaci, Pera e Ruini?” Domandò Olmo ridendo.
“Ma che c’entrano le crociate? Ma se qualcuno mi cammina in testa reagisco…no? Borghezio è un mostro…è un’altra cosa. Borghezio è un provocatore nato!”
“Chi è Borghezio?” Chiese Sara.
“Per la barba del profeta…un grande statista celtico – padano.” Rispose Olmo ridendo a crepapelle.
“Un vichingo! – Dissi. – E poi c’è la musulmana somala, Ayaan Hirsi Ali – ripresi io – una deputata olandese – che vive protetta 24 ore al giorno – che senza mezzi termini dice che gli inglesi non hanno pubblicato le vignette di Maometto, col turbante esplodente, perché temono la reazione mussulmana, insomma si sono cagati addosso dalla paura. E ha detto che quando gli islamici parlano di responsabilità e sensibilità intendono sottomissione alla legge islamica.”
“E molti si domandano- disse Olmo – perché i musulmani, che sono scesi in piazza per le vignette blasfeme, non hanno dimostrato quando sono esplose le bombe a Madrid e a Londra. Ma come si può tollerare che un deficiente inviti alla decapitazione dei blasfemi nelle strade di Londra?”
“Quando sento che sono riusciti a far sospendere il dramma Bezthi perché offensivo verso i Sikh, la pièce Mahomet di Voltaire perché offensivo verso i musulmani e a far sparire dalla TateGallery il dipinto di John Latham, God is great, perché si riferisce all’esclamazione coranica Allah u Akbar!, allora penso che la tolleranza ha i suoi limiti.”
“Delle volte mi viene da pensare che la cultura islamica sia qualcosa che si è congelata nel tempo. La loro cultura sacrale come la chiama Dan Diner è solidificata nel tempo e assorbe tutta la loro vita. Il marxismo doveva ovviamente fallire in quei paesi: l’ateismo non poteva essere accettato.” Spiegò Olmo.
“Solo dei cretini occidentali potevano immaginare che la democrazia poteva essere introdotta con le armi. – Dissi -. Se introduci la democrazia vincono le forze radicate nell’indigenza islamica. Trionfa Hamas, trionfano gli Sciiti, trionfano i Fratelli Mussulmani. Le elezioni sono uno scrigno di Pandora. Che gli americani non lo capiscano… bene… ma gli inglesi…via!”
“Però su un punto vorrei correggerti – ribatté Olmo – : mica sono solo le religioni monoteiste che danno i numeri. Rushdie evidenziava che i fanatici induisti stanno trasformando la loro religione in un movimento nazional- fascista e dice che uno dei capi indù ha sulla scrivania l’immagine di Hitler. Ecco come finisce la compassione dei grandi mistici…”
“Però ho letto che in Siria circolano libri scritti da atei…”
“E questo lo trovo assai strano…”
“Insomma… niente spirito, niente religioni… allora, come afferma Crick, siamo solo un ammasso di neuroni?” Domandò Sara ridendo e cercando di cambiare discorso.
Risposi: “Se Cartesio stabilisce che gli animali sono solo macchine, ingranaggi, pulegge di carne perché non potremmo essere noi solo un ammasso di neuroni?”
“Lo sa cosa dice Richard Dawkings? Chiese Sara, – dice che siamo macchine per la sopravvivenza, ciechi robot programmati al solo scopo di trasmettere i nostri geni. Vede, Arnobio, io non credo assolutamente a questo e – senza arrivare alla pura libertà di Sartre che afferma che la natura umana non è, ma è solo quello che decide di essere e che l’uomo è pura e totale libertà -, io penso che noi abbiamo grandi spazi di libertà, anche se il limite è il nostro corpo che, in un certo senso, é il nostro destino. Io ho letto con attenzione Simone Weil quando dice che l’incredulo è come un bambino che non sa che c’è il pane in casa ma grida di aver fame. Il bambino ha fame ma si autoconvince di non averla. La Weil spiega che la realtà della fame è una certezza che l’ateo cerca di negare. Io sarò vittima di allucinazioni ma una cosa so con certezza: la mia anima sta bene e non ho bisogno di nulla. E so che sono libera nelle mie limitazioni, che la realtà che percepiamo non è la basilare realtà e che Richard Dawkings può dire quello che vuole ma io non gli credo.”
“Le certezze? Quali certezze?” Chiese Olmo, grattandosi la testa e proseguì. “Certezze? Questa, Arnobio, te la devo raccontare, una signora ebrea chiamata Vera Reitzer esce, miracolosamente, viva da Auschwitz , si trasferisce in Sud Africa e che fa? Diventa membro dell’NP il partito dell’apartheid. E quando le chiedono ma come fai dopo Auschwitz a fare parte di un’associazione di nazisti che odiano neri ed ebrei, risponde che lo fa per arginare il comunismo e l’avanzata del potere nero… ridi? Pensa ai francesi ci hanno rifilato la certezza del mito napoleonico per due secoli e ora scoprono che Bonaparte aveva reintrodotto la schiavitù e che le comunità delle Antille della Guaiana lo vedono come una specie di Satana…”
“Non per cambiare soggetto… ma posso chiederle una cosa Arnobio? Cosa intende quando dice che Nietzsche demolisce la casa platonica dietro le cose?” Chiese Sara.

Nietzsche piccona la casa luminosa dietro le cose.
Il significato ascoso del reale, che è per molti la vita vera.
Con una furia sovrumana si getta contro la risposta platonica atomistica di Democrito che immagina un universo dominato dal caso ove gli atomi sbattono qua e là, come palle su un tavolo da bigliardo, creando ciò che noi percepiamo come realtà.
Socrate e Platone cercano disperatamente di cancellare questa rigida visione del mondo e s’inventano una teleologia antropomorfica.
Comincia la “pia frode” dell’immaginazione sfrenata che, davanti all’orrore dell’immenso, cerca di dare un senso alla meraviglia, al timor panico, che coglie i mortali davanti allo splendore terribile di ciò che si manifesta, di ciò che appare.
Nietzsche assalta all’arma bianca i valori platonici. Cerca di disintegrarli. Dice: sopporterò la mia conoscenza anche se mi dovesse uccidere.
E si incammina per un viaggio tremendo e glorioso che lo porta a vagare per lande inesplorate.
Dopo Nietzsche l’assalto alla casa luminosa dietro le cose diventa totale.
Heidegger, Sartre tutta la filosofia contemporanea demoliscono la “pia frode” che ci conforta davanti all’abisso del nulla.
La filosofia di questo tempo determina che la casa di luce dietro le cose non esiste.
E ci sprofonda nell’abisso cosmico e glaciale di Pascal senza il conforto di una fede.
Siamo abbandonati in uno luogo gelido, come una formica in un deserto lunare.
Improvvisamente un distinto signore, che a prima vista sembra un dirigente ministeriale, appare
sul proscenio del pensiero del mondo. Si rivolge verso i filosofi contemporanei e grida: “Alt! Non avete capito nulla! Non avete compreso la verità più profonda.”
E spiega che l’Occidente è il luogo dove diventa manifesta la menzogna basilare, è il luogo ove il non vero si erige a signore del Tutto.
Spiega che l’Occidente è il luogo ove scaturisce l’inganno che fa credere che le cose sorgano dal nulla e nel nulla ritornino.
E fa un esempio: se diciamo che la legna diventa cenere, si crede che questa sia una verità evidente.
Ebbene, quella è, invece, la follia più radicale.
Ed è la follia che domina l’Occidente.
Quello che per tutti noi è lapalissiano è messo in dubbio con veemenza dal filosofo.
L’idea che la legna diventi cenere è menzogna, dice, un corpo non diventa qualcos’altro.
La menzogna dell’Occidente è credere che le cose diventino nulla.
Il nichilismo è credere che le cose diventino nulla.
E’ pensare che qualcosa che è stato diventi nulla.
Il nichilismo è il credo che annuncia che tutto è precario e mortale.
Tutta la filosofia contemporanea indulge in questo ossessionante refrain -dice il filosofo – e grida che tutto è effimero, precario, vacuo.
Gli epigoni del nulla insegnano che tutto si rovescia nel nulla e che l’unica salvezza è differire l’annientamento del corpo e delle cose attraverso la tecnica.
E la tecnica domina il mondo con il suo procedere tracotante.
Gli epigoni del passato sono “foglie secche” essiccate dal rigore del nichilismo.
Ma la verità autentica è un’altra.
La verità essenziale è quella che nega la follia del divenire e del nulla e dice che ogni cosa e ogni stato del mondo sono eterni.
Mentre passeggiavo per Santiago de Compostela pensavo a questo sconvolgente, esorbitante pensiero.
Un pensiero incredibile, audace al livello della follia.

Questa città è edificata su un astruso mito. Si dice che Giacomo, figlio di Zebedeo e di Maria Salomè e fratello dell’apostolo Giovanni, partì dalla lontana Palestina e giunse in Galizia dove visse e predicò.
E questo è un mito più incomprensibile di quello di Giuseppe di Arimatea che porta il Graal in Inghilterra.
Si dice che Giacomo fu sepolto in un luogo chiamato Libredòn, che è ora nella strada del Castro,
e che i due guardiani del sepolcro, Teodoro e Atanasio, furono sepolti al suo fianco.
La tomba col tempo fu coperta da una fitta vegetazione e divenne nei secoli metafora del cristianesimo:
da un’essenziale e semplice sepolcro si arrivò al baldacchino barocco e all’immensa cattedrale, come da una essenziale e semplice predicazione si arrivò al tomismo, alle astruserie dei teologi, e più tardi anche all’Inquisizione. Quando si seppe del ritrovamento della tomba dell’apostolo cominciarono i pellegrinaggi che resero la città famosa. Il santo che ascoltò le miti parole di Gesù e predicò l’amore e il perdono, diventò nel tempo il matamoros , l’assassino dei musulmani, e li scannava in battaglia con grande maestria.
Si dice anche che Maria giunse miracolosamente a visitarlo. Più tardi anche la casa della Santa Vergine volò, sulle spalle degli angeli, dalla lontana Palestina a Loreto: la fede muove le montagne.
Mentre eravamo nel Parque de San Domingos de Bonaval, davanti a strani loculi, coperti da un rivestimento bianco, che non si riusciva a comprendere cosa fossero, cercai di capire qual era la seconda ragione che, dopo Sara, aveva cambiato così radicalmente la visione del mondo del discepolo di Valerio Junio Borghese.
E chiesi ad Olmo: “Jonathan mi ha detto che sei preoccupato per il pianeta…”
“E come si fa a non esserlo? – Mi rispose – quello che mi colpisce è l’indifferenza della gente al problema.
E’ come se non succedesse nulla. Hanno figli piccoli, sentono che un pericolo tremendo minaccia la terra
e fanno finta di niente. Chi ha negato quello che sta accadendo è un assassino, come la NASA che evita il problema. Loro sono assassini ma anche Sara e i suoi mistici – che vogliono salvarsi l’anima – del pianeta se ne strafregano…vero Sara?”
“Non è giusto quello che dici… ci interessa eccome il destino del pianeta…”
“Ma la terra è parte dell’illusione, dell’apparenza…la vera vita è altrove…no?” dissi io.
“E allora la mandiamo al diavolo? L’amore abbraccia tutto…” rispose Sara.
“Anche gli animali?”
“Certo anche gli animali…”
“E allora perché li massacrate e li divorate?”
“Di questo parleremo un’altra volta, è troppo complesso ora…” concluse Sara.
“Ma scusa se alla gente importa il destino della terra perché non ci sono grandi manifestazioni per le strade del mondo? – Chiese Olmo. – Perché tolleriamo che il pianeta sia avvelenato? Come si fa ad accettare che i mari si innalzino di sette metri provocando cataclismi; come si fa ad accettare l’idea – senza batter ciglio- che due gradi di aumento della temperatura provochino un disastro ecologico immane senza reagire? Ci dicono che l’intero ecosistema è minacciato e nessuno fa niente. Ma come: i mari si innalzano, nazioni come il Bangladesh e il Mozambico rischiano enormemente, i ghiacciai si sciolgono, l’oceano diviene sempre più acido, gli uragani sconvolgono intere regioni, la corrente del golfo sta diventando sempre più debole, e la gente non dice niente? Come fa la gente a non dire niente? E anche viaggiare comporta in termini di emissioni di gas venefici un espurgo inaccettabile: lo sapete che un viaggio da Londra alle Bahamas – oltre 4000 miglia di distanza – equivale a un emissione di quasi 1000 chili di anidride carbonica. Io non capisco come sia possibile tollerare il comportamento di Bush o dell’altro fesso, Berlusconi che vanno in giro dicendo che il problema è enormemente ingrandito dai media. Crichton andrebbe impiccato per le cose che scrive. Star of fear, il suo libro, va protetto nei secoli perché prova l’umana imbecillità. Perché solo degli imbecilli incoscienti non si curano del proprio habitat. Il responsabile del clima americano James Connaughton è un’altra persona da attaccare a un palo. Lo scienziato Hansen, massimo esperto della NASA l’ha detto chiaramente a Bush.: “State fottendo il mondo”. E’ trent’anni che dice che la terra diventerà un pianeta diverso, e ora la NASA stessa lo sta ostracizzando. Cheney è uno dei massimi responsabili del disastro e per me è una delle massime rappresentazioni del male banale sulla terra; Sì. Lo esecro con tutto il cuore. ..”
“Lo sai che Cheney ha impallinato un altro reprobo mentre cacciava?”
“Ah…va pure a caccia?”
“Certo… è un condensato di tutti gli orrori del mondo. La sua è una famiglia diabolica.”
“Chi ha impallinato Cheney?”
“Un suo amico avvocato…un certo Harry Whittington…”
“Che goduria… Arnobio, lo abbracceresti Cheney come fa Sara con i mostri nazisti?”
“Sì … per conficcargli uno stiletto nella schiena…”
“ Ah…ah ..ah … va bene… riprendiamo: sì, sono mortalmente offeso dal fatto che la terra non venga difesa, mi indigna profondamente come essere umano. E vi dico una cosa: ben venga anche il terrorismo a difenderla. Altro che Bin Laden e la sua stupida versione dell’Islam, il pianeta va difeso con tutte le forze.
E se imponi al mondo un sistema economico planetario che avvelena la terra non sei forse un assassino alla stessa maniera di un terrorista? Il terzo mondo emergente produrrà con le sue economie in via di sviluppo una catastrofe biologica. Ma scusa se desertifichi un zona e costringi la gente a morire di fame non sei forse un terrorista? Hai letto che entro la fine del secolo la terra sarà desertificata al 30 per cento?”
“Eccome… – e aggiunsi – in doppiopetto! Devo dire che la Svezia è un grande esempio. Leggevo ieri che ha ridotto le emissioni venefiche e che prevede per il 2020 di creare un’economia basata sull’energia rinnovabile. Altro che nordici noiosi, quelli ci insegnano a vivere politicamente ed eticamente… un esempio? Nella UE l’energia rinnovabile usata è di media il 6 per cento, in Svezia il 26 per cento.”
“Quelli umanamente ci contano i peli del culo…si preparano al mondo senza petrolio – stigmatizzò Olmo -.
Biomasse, Idrogeno, energia solare, energia eolica, energia degli oceani… tutto va provato per salvare la terra…”
“Però voi come al solito dimenticate gli animali…quelli non contano…” dissi.
“Come non contano? Ma come non contano se 800 specie sono a rischio di estinzione? Stiamo stravolgendo il mondo…- precisò Olmo – ci sono tre immensi problemi: la fame nel mondo, la distruzione del pianeta e i suoi abitanti, e il massacro prodotto dagli enormi squilibri sociali. Ma ti rendi conto che ci sono quasi nove milioni di bambini schiavi e che ce ne sono oltre 126 milioni che fanno lavori che minano la salute? Dico… è in bambino su dodici che vive una vita mostruosa..”
“Già…- aggiunsi – da un sistema economico osannato da tutti che riduce il terzo e quarto mondo a esistere tra cumuli di rifiuti. Nel mondo ci sono 50 milioni di bambini invisibili, un bambino su tredici è orfano. Due milioni sono sfruttati sessualmente… uno su sei muore di fame, di stenti o di malattie prima dei cinque anni…e sai una cosa? Il mondo spende 561 miliardi di sterline per l’acquisto di armi e concede ai poveri, agli affamati, ai disperati, per aiuti internazionali 37 miliardi di sterline. Hai capito? 561 miliardi di
sterline per ammazzarci contro 37 miliardi di sterline per far sopravvivere gli poveri…ma ti rendi conto? Ascolta: Nel Niger una donna su sette rischia di morire per il parto; in Svezia una su quasi 30.000…è mai possibile? Parti da Stoccolma, sei ore di volo e sei nell’inferno. E poi – se mi permetti – i problemi non sono tre ma quattro. C’è anche il problema del massacro continuo degli animali: ne sterminiamo 1500 al secondo…”
“Molti di più…- continuò Olmo – e qui non è un problema d’amore – quello lo lasciamo agli angeli come
Sara – qui è un problema di non permettere che la terra muoia. E’ un problema vitale. Essenziale. Se distruggo l’ecosistema e condanno le specie artiche alla distruzione io sono un assassino: sono peggio
di Bin Laden, molto peggio. Se io massacro innumerevoli specie e riduco popolazioni alla fame perché il mio sistema di vita occidentale ha bisogno di un immenso consumo di energia, io sono un killer globale che merita anche la morte. Altro che sharia, io che distruggo il pianeta sono peggiore dei mass killer. Con questo insulso mito della sacralità della vita umana ci siamo eretti a giudici della terra. E questo mi ha colpito. Mi vergogno. Non capisco come si possa condannare a morte la terra. L’Anima? Ma lasciamo andare…”
“Quella ce la siamo inventata di sana pianta.” Precisai.
Sara sorrise: “Mah…questo lo dite voi…”
“Però – dissi – improvvisamente i cristiani si sono svegliati. Anche i redneck bushiani si sono resi conto dell’enormità. Richard Cizik improvvisamente si è accorto che i suoi taliban erano una massa esorbitante tra i distruttori del pianeta, e allora ha iniziato una crociata in difesa della terra. E improvvisamente gli evangelici – che ci hanno elargito Bush – si sono accorti che il cosmo e la terra sono creazione di Dio e che noi – mentre attendiamo the rapture, il rapimento in cielo promesso da Paolo, e il Secondo Avvento dobbiamo amministrare il nostro pianeta con amore e non solo sfruttarlo, e ha anche detto che abbiamo peccato distruggendo specie e ambiente…”
“No???? Non posso crederci…Ma quando è successo?” Chiese Olmo.
“L’ho letto giorni fa navigando su internet, lo scrivevano i media americani: Cizik ha detto che siamo responsabili per il trattamento osceno che abbiamo riservato alla natura e alle specie.”
“Ma non dirmi: Dracula sorge dalla tomba. Oddio si risvegliano i vampiri!”
“E mica ha finito lì, Cizik, ha anche detto che il surriscaldamento e la fame nel mondo sono correlati.
E questo reverendo è presidente di un associazione nazionale di 30 milioni di taliban cristiani!”
“E come ci sono rimasti male Pat Robertson e il reprobo James Dobson che sostengono l’opposto per tenere contenti i ricchi bastardi?”
“Di sasso ci saranno rimasti… e lo scemo si è mosso?”
“Bush si è mosso? Sì…contrordine compagni! Con 30 milioni di bastardi che votano non si scherza…”
“Beh è un passo avanti dal credere che la terra fu creata 4000 anni fa…non pensi?”
“Ma noi questo lo diciamo da secoli… “ precisò Sara.
“Sì ma voi contate come il due di picche in una briscola da bar…” disse Olmo e sorrise.
“E’ vero…” rispose Sara e l’accarezzò.
“Siamo schiacciati dall’indifferenza della massa. Il pianeta morirà per colpa del dominio delle mezze seghe; la terra svanirà perché le toppealculo sono state – con la loro obbrobriosa modernità intessuta di banale quotidianità – egemoni nel mondo. La normalità ci uccide. Abbiamo anche sradicato la morte! La normalità? Ma che vada a cagare!” Concluse Olmo.

Heidegger dice che la normalità, Das Man, il “si dice”, il Normalmensch (l’uomo normale) è la tirannia dei molti.
Afferma che il mondo moderno è radicato su un terreno banale che non permette al Dasein di comprendere che la quotidianità ha rimosso, tragicamente, il terrore della morte.
La massa si chiude alla nozione della precarietà e della fine.
Serra i battenti del suo sentire davanti al Nulla.
Se si esce dal sentire limitato, ottuso si incontra la morte.
Se si esce dalla maniera usuale di vedere le cose ci si confronta con il Nulla incombente.
La massa ignora la morte. Il mondo della normalità fa si che la massa ignori o rimuova la morte.
La massa, Das Man, il soggetto della quotidianità, tenta di allontanare la più sicura delle certezze:
la certezza che siamo mortali.
Il Das man opera nel mondo del “si dice”, della ovvietà mielosa e il Dasein “che è una entità fluida” è quasi sempre sommerso dal Das Man.
Heidegger spiega che questa maniera di affrontare le cose e il mondo conduce alla vita inautentica.
La morte dà significato alla vita e rimuoverla attraverso le pratiche della banalità quotidiana conduce nel regno dell’inautenticità.
Il mondo moderno è strutturato per ignorare questa essenziale verità.
Non c’è nulla di più angoscioso della rimozione del nulla come sfondo del nostro “essere verso la morte”.
Il Das Man, il Normalmensch, cercando di sradicare l’idea della morte, si concede un senso di falsa permanenza negando, attraverso la vorticosa attività e il febbrile attivismo, che le nostre esistenze siano radicate sull’abisso del nulla.
Il Das Man fa quello che fanno, in un senso, le religioni quando ci propinano la “pia frode” dell’immortalità dell’anima.
Il “peccato” del Das Man conduce alla “caduta”: il Dasein viene assorbito nel mondo dell’inautenticità. Dominato dall’attivismo sfrenato, crede di riempire il vuoto interiore, e recide, invece, sempre di più le sue radici ontologiche, alimentando inconsapevolmente lo stesso terribile vuoto.
La curiosità, lo scribacchiare, la vuota chiacchiera sono gli ostacoli verso una comprensione autentica delle cose, l’oltraggio sorridente della dittatura dei molti aliena l’uomo dalla patria dell’anima.
Heidegger dice che è l’angoscia, l’angst, che apre le porte all’esistenza autentica: quel sentimento di profondo, indefinibile disagio è la chiave che schiude il portale dell’insignificanza e del vuoto esistere.
Il terrore del Normalmensch è sapere che un giorno la coscienza, il nostro ego, si dissolverà come la foschia mattutina al sorgere del sole; è sapere che questa “cosa pensante” non sarà più e avrà dopo l’estinzione le stesse sensazioni di una pietra.
Quando l’angoscia fa capolino nella nostra interiorità ci rende nudi davanti a noi stessi e la nostra maniera di percepire le cose è stravolta.
L’abisso del nulla che contiene le cose e il nostro essere si manifesta nella quotidianità.
Il mondo del Das Man, radicato nella banalità della vita – paradossalmente – vissuta come fosse eterna, è sradicato dall’angoscia che sola può restituire il nostro essere alla verità della mortalità, alla verità della sua essenza mortale.
L’angoscia, l’angst si manifesta in un momento indefinito ed è come una grazia nera concessa al Dasein. Quando l’angoscia si manifesta, le cose si sfaldano in una nebbia peculiare e assumono una singolare instabilità.
Da quel momento non si è più a casa nel mondo.
Diventiamo ospiti erranti sulla terra e come Oreste, perseguitato dalle Erinni, vaghiamo per il mondo anche se non ci muoviamo dalla nostra città.
Heidegger dice che la condizione essenziale per l’autenticità è precipitare dallo stabile mondo nella certezza quotidiana nell’angoscia che dischiude le porte del Nulla.
L’angoscia ci fa comprendere la nostra “gettatezza”, il nostro originario stato esistenziale che è l’essere gettati nel mondo.
Non confrontandoci con la nostra angoscia rinunciamo alla vita autentica.
Heidegger dice che se chiudiamo gli occhi di fronte all’abisso del nulla, che ci si apre innanzi attraverso l’angst, non potremo mai diventare noi stessi.
Il Dasein è radicato nella mortalità che il Normalmensch tenta di ignorare rigettando la propria mortalità;
respingendo la propria mortalità il Dasein affonda nell’esistenza inautentica.

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