Sezione: Poesie
Ma ora non sappiamo
celarvi
ne come coinvolgervi
Come trascinarvi
in ciò che è manifesto
Eppure memori siete
della selva lussureggiante
profonda di vite azzardate
E nominarvi è inutile
ma siete coloro che sostengono
le cose nell’invisibilità
e siete cullati dai primordi
dal silenzio della vita
che ha fondamento
nella luminosa morte.
Ora si scuote e si pacifica
E allo stesso tempo
travolge e stravolge
Ora nella stanza si manifesta
sconvolgente e sconvolto
Nel silenzio si strugge
E ha le fattezze della dea obliqua
E i seni
violentemente
esternati
della regina del sud
E le tende agitate dal vento
nel sole meridiano
Ora è tra le pareti di ocra
nella convulsione della mente
tra il frusciare di fronde
E più tardi è il cielo in tempesta
il tremito dei lecci
il fremito dei tigli
nella luce assoluta
Alla fine
eravate giunti
con le magiche trasparenze
e con i giochi di luce
che attraversavano
il vostro corpo di arcobaleno
Perché vi celate
tra i recessi di edera e di muschio ?
E perché il simulacro si nasconde
nel profondo della selva incantata?
E che cosa tacitamente indica?
L’anima è un luogo arcano
che imprigiona tra aceri e tigli tormentosi ?
Perché tanto patire per incontrare
il vostro sguardo
trafisso dall’alloro e dal vuoto ?
E’ nel sostrato luminoso
che contenete le cose
che sembrano ignorarvi
O così
appare ai nostri occhi infermi
malati di tempo e di spazio
E per nulla credenze e gesti vi sfiorano
Per nulla il terreno originale
è incrinato da fedi e da assoluti
ne è inficiato da imperativi dirompenti
ne da monoteismi infarciti di nulla
e di opaca gestualità
Aborrite il fremito dell’anima appassionata
poiché nella selva incantata la lievità è fondamento
Che poi nel turbinio delle cose
si dispieghi un’arcana epifania
è cosa affabilmente
deposta nell’incomprensibilità.
6
Si curva e si flette
come un giunco
davanti al mistero inconcepibile
Ma la sostanza originale non cambia
Come un vecchio Holderlin
nuota tra pietre sottomarine
tralucenti di luce
ma non ci sono
interventi divini in quel mondo.
7
Ma nominarvi è vano nella selva incantata
e si intuisce la mancanza
per la contratta ricercatezza
è meglio non nominare
e prender atto dell’accadimento
nell’apertura del cuore
E poi a nulla serve
questo disporsi all’attesa
questo macerarsi
per l’egemonia dell’aspettazione
Siete tremendamente distanti
tragicamente appagati
e apparentemente non siete
Nel minuetto parnassiano del vuoto
non apparite: l’arte vi offende
E nominarvi è ingiusto nella selva incantata.
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Tra ontani e pioppi
a volte
vorrei
nella selva incantata
verso ciò che è assente
spingermi
E umanamente dimorare
e genuflettermi nel silenzio
di ciò che è e ciò che non è
inchinarmi davanti
all’arcano contenersi
che appare come trasecolante abbondanza
Eppure nulla è
se per essere
si intende ciò che agli occhi
e ai sensi è manifesto
9
Mi sono inginocchiato
nella schiuma del mare:
la sublimazione è eterna
e stravolge le cose
ma ora sono tornato
alla presenza originale
e ho visto le corna dei cervi
stagliarsi dall’erba ondeggiante
ho visto diluire il mio potere
nel sogno
ora mi dissolvo nel baratro della vita.
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Il pensiero degli dei non lo cancelli
è scritto nelle cose
è impossibile annientare la vibrante aspettazione
questi primordiali eventi
si dispiegano come vessilli rattoppati
come brandelli di bandiere
sfilacciate dal vento
Si sfaldano
come manifestazioni licenziose
della luce piovosa
E come possono intimidire?
Su che terreno ardito
si scontrano le spettrali schiere?
E a che servono le mie parole?
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Come erano evanescenti
nella selva incantata
quando si concretizzavano
emettendo un sottile squittio
e quando tra l’intreccio delle parole
li trovai vaganti
verso la torre maestosa
mentre batteva le scogliere
e squassava le sponde
con la sua intemperanza
il fiume Oceano
Come disfecero la tristezza mia:
era come e non fossi mai più
12
Ti eri dissolta nella pietra:
il piccolo era entrato nel tuo corpo
una simbiosi di tufo sulla tomba sconosciuta
sotto la grande quercia
e il ruggito dei tuoi spiriti protettori
che non varca la soglia dello spazio tempo
ecco: un inchino profondo che non è una genuflessione mendace
e l’odore d’incenso
e gli spiriti tenui
come sfumature di bruma
nel gioco merlato della luce
filtrante tra le foglie di quercia
hai vanificato un mondo con la tua immobilità appassionata
A voi che sostenete il tempo, dico:
radi fiori sbocciano
lo scoiattolo saltella su croci
e i neri corvi riposano
sul campanile cimiteriale
Ah….l’albero dalle foglie arrossate
e il figlio inabissato nel ventre!
Sembravi, Madre,
schiacciata dal peso del mondo demiurgico
abbandonata in una landa desertica
nel tempo della tecnica che trionfa
uno spirito cerca la stele tra le querce possenti:
tutto un lacerarsi
Il mio petto si dissolve
per il vostro svanire:
l’essere tutto si dirompe
per la costernazione
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Ora mi cogli
nella dissoluzione biancastra
in questa estatica luce
non posso sostenermi
e potessi nel lucore primordiale edificarmi
come un tempio abitato dai dei di ossidiana
come era arcano
il riflesso secolare della mente
che non accetta mai l’Oltre
è come un cielo composito
di nubi sfumate
che si lacerano verso il biancore
aste acuminate mi hanno
conficcato tra le costole
ascoltate spiriti:
a voi brucio questo incenso incontaminato
e i mietitori saranno gli angeli
alla conclusione del tempo
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Ma io avrei voluto raccogliervi
nello sgomento frastornante
quando la folgore transita
verso le terre iperboree
ed io sto riparando
lo sterzo di una Cadillac
d’una consunta megera
In questa terra
d’assolato abbandono
mi sono estenuato
per assorbire la luce degli dei
E non è stata manifestazione
della luce diafana
o dell’ebbrezza d’Aurora;
è stato come se un maroso
di divina sovrabbondanza ti investe
e la testa ti copri
perché il cranio non può contenere
il numinoso fondamentale
Sono un’energia latente,
uno spettro ectoplastico,
con le mani bisunte di olio
nel vuoto dell’incontaminata potenza
Ma cos’è, figlio di Leto,
che nella mente degenera e cancella?
Ho praticato il distacco nei giorni ventosi
mentre mortali disarmonici
sguazzavano nella disarmonia della dismisura:
almeno la morte del sole ci cancellerà
Ho fatto,
ho riparato lo sterzo,
in questo garage merdoso di Creole,
ho risuscitato la rosata Cadillac
Ecco la megera,
Febo – Apollo,
sta agitando le flaccide chiappe,
nella luce mendace.
15
Le cose tutte
dispiega
Siamo qui stravolti
per opachi accadimenti
Questo tempo, ci ha condotti,
mendacemente, fuori da noi stessi
Ora, confusamente,
percepiamo la volontà velata
articolarsi nella quotidiana abiezione
Questo dire è agghiacciante
Ci dà i brividi sulla pelle.
E non sappiamo dove attingere
luce o flessuose nozioni.
Il divenire è diventato
essenza luminosa
ha scalzato la casa dell’Essere
come fondamento originale
Noi
sempre
ondeggianti
nel gioco dell’apparenza e dell’essere insostanziale
Tra la caducità e la mansione di luce
che è fondamento delle cose
Sempre
in questo dondolio
oscillanti.
Ondeggianti tra il dominio dell’apparenza e la sua negazione
Dondolanti nel fruscio degli olmi e della sopraggiungente tempesta.
E dice il poeta:
“ce ne andiamo zitti,
impacchettati in un qualche involucro,
via da regno dei viventi.”
16
Ora mi è dato solo
di curvarmi per lo strazio delle cose:
vi ho protetto con il mio essere inutile
Frastornati siamo
e le cose si dissolvono
le cose,
nell’enormità della ragione smussata,
si sfaldano
Dove sei perdurante splendore?
Dove sei tracciato luminoso,
ove è edificato il regno
dell’agghiacciante indigenza?
Nel tempo dei primordi l’Aurora già parla d’abbandono
e non c’è cosa più tragica della coscienza davanti alla luminosità
La compassione per le cose immote
mi ha nel suo grembo serrato
Dialogare con il vuoto è la cosa essenziale:
le parole si manifestano nel tempio della mente
ove trasandate Koirè sopportano una fatiscente architrave.
Un poeta è un essere scudisciato dal mondo
e sovrastato dal bagliore aurorale.
Ho scartabellato le opzioni:
ora, mi pongo davanti al tempo
come un bimbo desolato.
17
Un misticismo intenso
una personale invocazione
nella percezione del disfacimento
della dissoluzione nel Nulla
nella percezione del dolore
la fine ineluttabile delle cose
nella solitudine e nell’abbandono
una personale, intima preghiera
di fronte al mistero e all’angoscia
che questo intendimento accompagna
tenui, nitide percezioni della luminosità
diafane per chi vive nella deiezione
fortissime e chiare, terribilmente esili sembrano
e la mancanza esprime un’essenza
che rimane celata
come un riflesso sull’acqua
nel gioco della luce sfocata
noi siamo i destinatari del messaggio
del riverbero e dell’esigua tenuità
ma nessuno sa niente
e vacilliamo
percezioni reali provengono da un non – luogo.
ed è faticoso esprimerle
sensazione di movimenti
un ricercare ossessivo
un vacillare continuo
per approdare
ad una contemplazione disarmonica, dissonante
in perenne bilico sul vacuo
mi stringe?
mi seduce?
ho spolverato l’arduo concetto.
18
La madre di tufo è inerte
Cosa contiene quel grumo di densa pietra tufacea?
Cosa abita la persistenza immobile dell’immagine?
Cosa alberga nel figlio fuso nel seno?
Ho timore di estendere
l’ombra della mia inquietante presenza
mi annichilisce la sottomissione delle cose.
Siamo esseri vacillanti massacrati da fedi
rigurgitanti sulle cose.
E ciò che incede,
ciondolando nel mondo,
è sempre
di menzogna intessuto.
19
Ho letto:
hai ragione
“Ciascuno patisce il suo demone”
immagini magiche
allucinazioni e visioni del bosco
trascinano in un vortice.
come la Zona
in uno spazio metafisico
dove sussurrano spiriti
ho bisogno di leggere
lentamente
“sloggiamo dal corpo”
voglio assorbire
le percezioni
e viverle
è emozionante
riesci a trasmettere
intrappolate immagini
in parole assillanti
e a donarle
in dimensioni precluse
come bere
da un calice divino
che alimenta lo spirito
“Ciascuno patisce il suo demone”
voci mistiche
inaudite
mitiche e storiche
bibliche ed eretiche
come un rientrare nel tempo
per brevi istanti
per immergersi
nella riflessione
fuori dal tempo
lampeggiamenti
metafisici dell’Oltre
“sloggiamo dal corpo”
la percezione
empatica della natura
degli spiriti che la abitano
ho bisogno ancora
lentamente
di assorbire
e di immergermi
in questa dimensione
“Ciascuno patisce il suo demone”
occorre un’apertura del cuore
la fatica della percezione:
sensazioni
visive
auditive
olfattive
la selva rivive
gli spiriti rispondono
e ciò che sembra arcano
si manifesta
attraverso il mondo naturale
“sloggiamo dal corpo”
e rimani piegato
e devoto di fronte al sacro
che misteriosamente appare
in quel mondo incantato
un atteggiamento estatico
“Ciascuno patisce il suo demone”
non osi
quasi parlare
e ascolti
e senti il bosco mormorare
mentre si manifesta
nelle sue multiformi entità
per comporre un messaggio
che riesci a intuire
e decifrare
lo cogli
la vita è sospesa
su imponderabile luminosità
che rimane mistero
Si….ma e’ giusto dire:
tralucente di luce…?
o meglio sarebbe dire:
di luce velata tralucente….?
O tralucente di luce velata?
“sloggiamo dal corpo”
“Ciascuno patisce il suo demone”
20
Cos’è tempo, che penzola
nell’inaudita regione
e si manifesta nell’ambiguità
come soppesato dalla percezione
come pietra
che si sveglia ai miei occhi
tra i miei occhi
tra i miei occhi
nello sguardo obliquo
nello sguardo sbieco
come essenza mai conosciuta
che tende un ramo di quercia
verso il volto dilatato, espanso
e che inconsistenza è questa
se tra le musiche degli universi
tutto è obbligato a svanire?
21
La sovrabbondanza mi ha disgregato:
una Sura coranica
hanno scritto,
con una penna d’oca,
sulle palme dei miei piedi
Hanno scritto:
grandezza è questo oscillare nella precarietà
è questo ondeggiare nel vuoto.
La musica che odo
in questo tunnel spisciato
traboccante di defecazioni
é come un’essenza lontana
radicata su una struggente nostalgia
Qualcosa mi si è dissolto nel petto:
la carne pesa
tutto vibra.
E il gioco della mente inganna:
non è un aprir varchi e fessure tra dimensioni
ma un tessere alacremente sul vuoto.
La grandezza è questa striscia di spiaggia ondeggiante
tra oceano e laguna
e il piccolo Holderlin che canta alla luna.
mentre il silenzio tutto assorbe
nella sua incontaminata preghiera
Come vorrei,
eccezionalmente,
poetare
e limare,
piallare le parole
in questa terra nettata dal sole:
pallida Albione,
patria evanescente ed effimera
di brume e abbandoni.
Un mattatoio con una scritta elegiaca:
fuck you.
Povere bestie,
massacrate e scannate nel nome di dei ignobili:
questa specie derelitta la odio
Dei luminosi
crollare nel mondo è audace:
una checca dal riporto imbrunito,
“a leccata di vacca”,
e con un orecchino infilzato
in un lombo deformato mi dice:
Questo ponte arrugginito è ricolmo di dei
queste foglie autunnali rossicce
e questi olmi sono traboccanti di dei.
Una donna sbracatamente diffusa
ondeggia sul ponte crollante
la checca dice:
è un Atman
mascherato
da carne sovrabbondante
e che la preservi la follia.
Mi sono grattato la pelata
Max sta pisciando
contro il tronco di un albero
stipato di dei.
22
Madre mia,
le condizioni dell’orbe terracqueo
sono laide
i gorilla hanno annientato
e non c’è misericordia sulla terra.
Sono transitato per un mondo di fiamma
ma bisogna morire
e il riflesso della vita,
Dei portentosi,
lo vedete in questi corpi disfatti
Numi fosforescenti,
in queste mansioni di vuoto
gli scoiattoli danzano su croci
e questi fiori di plastica offendono
L’angelo tufaceo
è stato decapitato
dalla specie egemone,
ora, ha una testa di luce
sull’annerita pesantezza del corpo.
Omaggio all’ardire infinito:
le noccioline ho trasferito
su una piattaforma vulcanica
ed anche la Vergine Maria,
edificata nel tufo,
ondeggia tra le bestie esultanti.
Numi inauditi,
la materia si sgretola
e lo spirito si dissolve,
l’angelo decapitato sorride:
un barbone sdentato si è avvolto nel suo manto.
Siete qui e io vi sento
tra le esigue fessure:
vi inerpicate sulla pietra tormentata
vi esaltate e mi prendete
e mi avvolgete nell’impronta poetante
La traccia psichica si manifesta
ora è schiva
ora è audace
ora è tangibile
ora è precaria
Dei al neon,
cosa rimane di questo infernale gracchiare?
Il fondo del cuore è un bordello,
queste scimmie pelate
tutto si sono inventate,
e dai recessi dell’oscuro,
come da un cappello di un mago
in un consunto avanspettacolo,
hanno estratto l’Atman immortale
che è Ubris infinita.
L’ossessione estrema è aprirsi al divenire:
il barbone è Lan Ts’ai -Ho,
lo straccione immortale,
che cantava la caducità della vita,
assunto in cielo come Enoch ed Elia
Numi di cobalto,
un nano di coccio arancione
su una soglia bislenca
un “Car Hand Washing”
nel centro del mondo
mi si è dipanato il coccoricò
nel teschio putrescente:
sto interiorizzando il mondo
nel mio osceno vagare.
23
Per noi non c’è luogo ove riposare:
e come vorrei,
in questa precarietà,
proporre il delirio,
Dei immoti,
la rinascita è un’asta per reprobi
è necessario proteggersi
con balle folgoranti
per mantenere
l’Atman incontaminato
L’esistere è ciò
che ti proietta e ti vilipende
e ciò che ti concede
brutalmente alla vita.
Mi si è annichilito il coccoricò:
siamo nel pieno di un terrore indecente
gli occidentali non vogliono morire
navigano il suk orientale
di una perversa speranza.
Dei immutabili,
ho contemplato
un’orientale numinosa:
il verme mai muore;
ora, mi balla tra le gambe
una ninfetta metafisica
non sarà il raggiungimento del Nirvana
ma è sicuramente una cosa da sballo.
Numi possenti
la luna ha perso il suo chiarore
gli americani imperversano,
anche i mostri dolenti di Halloween
hanno esportato:
una ragazzina brufolata
vestita da strega
mi si para dinanzi
penso: neanche sei nata,
e come la DC di Andreotti,
sei già una mignotta.
Il barbone John Bulton
si è sparato una sega
pensando alla Tatcher:
sprofondiamo nell’abisso
non c’è più moralità sulla terra.
La borghesia è questo
abbagliante incenerirsi
nel consumismo
senza alcuna interiorità.
Il gatto Byron
si è curvato verso Max.
e gli ha sussurrato:
questa specie di merda
ha devastato il mondo,
ha disintegrato l’orbe terracqueo
una luce iperfisica
ci ha visitato,
cervi possenti,
gli dei ci han fregato
sono solo pupazzi
d’ossidiana
Maria vergine,
obliqua,
è in balia delle onde
non c’è cosa più grande
della vita bilanciata nella morte:
quando il tempo giunge
gli occhi del vivente restituiscono
al simulacro il lucore originale.
24
Numi imperscrutabili,
Il tempo è venuto
tra le corone di luce:
un’estasi minore,
la vita ha oscenamente mutilato
i simulacri di marmo e di plastica.
La sublimità romantica,
numi impermanenti,
è un pervertito sentire,
un karma infelice ci ha visitati,
ci sono cose più tremende dell’abbandono
un’essenza speciale ho coltivato
le anime necessitano di incenso silenzioso
il tempo è questo,
pupazzi di ossidiana:
il rapporto con l’ombra è fondamentale,
Max ha dato di fuori
con lo scoiattolo Nicolino,
la sostanza si dissolve
il centro nero dell’essere,
non emette mielosa luminosità
ma emana profonda impermanenza
La disposizione e il rigurgito del vento
non inducono a pensare che le cose
si volgano, religiosamente,
verso un accorato silenzio,
con un accendino da Cow Boy,
ho invocato il dio del fuoco
e una divinità minore.
Angeli di rugiada,
Il cuore dell’ego è una città diroccata
tutto si dilegua, si disperde,
e smussa la nostra innata stupidità.
25
Mi rivolgo a voi,
pupazzi d’alabastro
come i politeisti si rivolsero
ad ‘Al – Lat e ad Al – ‘Uzza
ho un grande segreto da rivelarvi:
nella selva misericordiosa
le querce frusciano,
gli ontani mormorano,
gli olmi sussurrano,
e Max piscia
contro un tronco di un albero
banalità sembrano,
angeli celofanati,
ma il tempo è giunto
e ci ha marchiato nelle ossa
siamo esseri disperati
aggrappati ad inani quisquilie,
imploranti vuoti simulacri
che intimano
che per risolvere
l’oscura notte dell’anima
sia sufficiente l’idromassaggio.
Numi anchilosati,
chi vi ascolta è demolito:
lo spazio – tempo
gli ha disintegrato il cranio;
una cappa di piombo
è calata sulle cose:
l’oceano ruggisce
e la vita non perdona
Triste è questo vivere
assillati da ombre,
il tempo si è evoluto
nella negatività,
una gioia infame ci pervade.
Angeli al plutonio,
siamo posseduti,
da inferiori entità
da essenze metafisiche
emanate dallo squallore universale
Siamo invasi
non da demoni della notte
ma da sostanze
dell’infinita banalità
dell’inanità universale
Numi al cobalto,
il profeta Isaia dice:
l’alba è lontana
ed ancora lunga è la notte.
Angeli d’amianto,
l’apertura del mondo è un
fugace rincorrersi di nuvole
su un mare tempestoso
il tempo delle cogitazioni è concluso
solo demoni abitano quei luoghi
di decadimento tenebroso
la salvezza è questa selva misteriosa
compenetrata da gelo e rugiada;
una coltre di neve, di foglie morte
e di luce filtrata
ha coperto lo sfacelo delle cose:
quanta gioia in questa perversa amnesia.
Numi plastificati,
la terra è come una battona disperata,
il tempo del silenzio è venuto,
è giunta l’età della meditazione
sull’occaso,
dalla caverna di ghiaccio.
E cos’è il tempo?
Il tempo è l’erigersi delle cose
nella indeterminatezza
e il poeta? Un essere monologante nel nulla
e il nulla? un concetto bislacco:
lo svanire coscienziale delle cose.
tigli e betulle,
ontani e faggi,
gelsi e lecci
querce fruscianti,
alberi santi,
dai residui dell’oblio
è necessario levarsi,
scuotersi,
ascoltate:
hanno strangolato l’elfo sacro